(Orazio Luongo – lafionda.org) – Ma allora l’Italia s’è desta o no? È questa la domanda che sorge spontanea in questo principio d’autunno davanti alle piazze piene e alle urne sempre più vuote. Gli italiani sono usciti dal loro lungo letargo politico, oppure sono ancora immersi nel sonno profondo di una prolungata stagione di disaffezione a tutto ciò che sa di partecipazione? Dipende.

A giudicare dalle piazze che in queste settimane si sono riempite di cittadini, lavoratori, moltitudini di giovani, non si può che constatare il risveglio di una società fino a ieri avvolta in una coltre spessa di disillusione e apatia. D’altra parte, a guardare le urne semivuote di Marche, Calabria e Toscana, l’unico risveglio registrato è stato forse quello dell’elettore disamorato tra un abbiocco e l’altro, sul divano davanti all’ennesimo talk.

Centinaia di migliaia di persone a manifestare in solidarietà con un popolo lontano, per la sua autodeterminazione, e altrettante centinaia di migliaia di persone che in qualche modo rinunciano alla propria autodeterminazione, restando lontane dalle urne. Per rendere l’idea, prendendo il caso toscano, qualcosa come circa 450 mila votanti in meno rispetto a soli cinque anni prima.

Una contraddizione estrema, si direbbe, che tuttavia in realtà nasconde una questione tanto semplice quanto enorme: la crisi della rappresentanza. Ovvero il problema, ormai annoso e strutturale, del rapporto tra rappresentati e rappresentanti dentro un modello di società democratica. Dove sempre più spesso accade che chi governa non è altro che la maggioranza di una minoranza di elettori.

Un logoramento che riguarda tutti i corpi intermedi di una democrazia rappresentativa e di massa come la nostra, ma che investe particolarmente l’arcipelago politico e partitico della sinistra. E che la mobilitazione dal basso per Gaza, senza un sostanziale riflesso nei consensi elettorali – a parte la conferma della Toscana, dove però l’affluenza ha fatto registrare un tracollo del 15% – si è incaricata di evidenziare in modo plastico. Mettendo a nudo una volta di più il divario tra la sinistra che siede in Parlamento – con la sua classe dirigente che ha provato chiaramente a cavalcare il movimento per Gaza – e il cosiddetto popolo della sinistra, o più latamente il popolo dei “senza rappresentanza”, che ha riempito le piazze mobilitandosi in maniera perlopiù spontanea e autonoma. Senza una guida, ma con la volontà precisa di riprendersi la parola e smettere di delegare a questo ceto politico. E soprattutto con le idee molto chiare su da che parte stare, rimarcando così le ambiguità e i tentennamenti di una sinistra “piddì-centrica” in abbondante ritardo. Distratta e impreparata di fronte a un moto di partecipazione che, a dispetto di quel processo di spoliticizzazione della società in corso da decenni, ha manifestato la presenza nel Paese di una grande domanda politica che da tempo non trova più alcuna rappresentanza. Che da tempo non trova più né forma né tantomeno voce nelle istituzioni, ma che ha dimostrato con la lotta democratica di essere capace di farsi ascoltare da quelle istituzioni.

Un moto che, sulla spinta delle mobilitazioni in molti luoghi di lavoro, a cominciare dai principali porti del Paese, ha colto in contropiede sia i partiti della sinistra parlamentare, lanciatisi nella mischia nell’intento di capitalizzare la protesta, sia la direzione del più grande sindacato nazionale, costretta a rompere gli indugi e convocare lo sciopero.

Tentativi tardivi di recuperare il gap tra piazza e palazzo, che alla fine, nonostante le decine di manifestazioni, non hanno spostato di una virgola gli equilibri elettorali delle sfide regionali.

E soprattutto non hanno invertito la fuga degli italiani dalle urne di una democrazia a suffragio sempre più censitario.

Di quegli italiani, in particolare, stanchi di non ricevere risposte, che continuano a vedere la propria condizione peggiorare, ma che davanti a un orizzonte di guerra infinita e riarmo globale hanno dal canto loro risposto in massa come non accadeva da tempo.

Come non ci si sarebbe aspettato dopo anni di svuotamento della democrazia. Di passività indotta e politica-spettacolo. Di derive autoritarie e tecnocratiche. Di popolo senza rappresentanza e sinistra senza popolo.

L’autunno riempie le piazze. Le urne perdono voti. Il campo è ancora largo, ma, a guardar bene, sempre più spoglio.