La soprascritta intende dare il proprio contributo tramite il racconto della sua esperienza a sostegno della proposta di ieri di Marco Travaglio di fare una “legge Ranucci” che imponga […]

(di Daniela Ranieri – ilfattoquotidiano.it) – La soprascritta intende dare il proprio contributo tramite il racconto della sua esperienza a sostegno della proposta di ieri di Marco Travaglio di fare una “legge Ranucci” che imponga ai politici di risarcire i giornalisti contro cui hanno intentato querele temerarie, in caso di sconfitta in sede processuale, con almeno la metà della somma richiesta. A esergo del mio libro Il Rottamato. Antropologia di Matteo Renzi mi sono premurata di compilare una nota legale che desse conto dell’esito giudiziario di tutti i processi in cui sono (stati) coinvolti i soggetti di cui scrivo, a vario titolo legati a Matteo Renzi e/o facenti parte del cosiddetto Giglio magico; superfluo sottolineare che mi sono avvalsa della consulenza di una dei migliori avvocati su piazza in fatto di diffamazione, Caterina Malavenda, e che abbiamo controllato al meglio delle nostre possibilità il casellario giudiziario di ciascun renziano al momento dell’uscita del libro, tenendo traccia, con l’acribia dei miniaturisti medievali, di ogni condanna, assoluzione, proscioglimento, imputazione, rinvio a processo, appello, contro-appello, ricorso, sentenza di primo, secondo, terzo grado (lorsignori tengono parecchio impegnati i già ingolfati tribunali d’Italia) che lo riguardasse. Ebbene, nonostante questo, c’è scappato l’errore: ho scritto che l’ex tesoriere del Pd renziano Francesco Bonifazi fu indagato per finanziamento illecito ai partiti per mezzo della Fondazione renziana Open insieme all’avvocato Bianchi, all’ex ministra Boschi, al sodale Carrai e allo stesso Renzi, per un totale di 14 indagati che verranno prosciolti dal gup di Firenze nel dicembre 2024. In realtà, Bonifazi è stato sì indagato, e pure processato, per finanziamento illecito, ma per la fondazione Eyu (il nome della fondazione successiva alla Open), che Bonifazi presiedeva da parlamentare e da tesoriere del Pd. Per sua fortuna, nell’aprile del 2024 Bonifazi è stato assolto dall’accusa di aver ricevuto 150mila euro dall’imprenditore Luca Parnasi per girarli al partito di Renzi. Cioè: è vero che nell’infornata della Open Bonifazi non c’era, ma in quella dell’inchiesta sullo stadio della Roma sì.

Naturalmente io, autrice di un libro su Renzi e la sua sciagurata stagione di erosione dei cardini dello Stato sociale, non avevo alcun interesse a far passare come prosciolto dall’accusa di finanziamento illecito un politico che invece per lo stesso reato, ma in un’altra inchiesta, è stato addirittura processato. Ciò nonostante Bonifazi, adesso deputato di Italia viva, mi ha fatto arrivare una lettera dal suo avvocato in cui mi chiede la somma di 40mila euro per riparare al grave danno morale e reputazionale che il mio refuso deve avergli causato, con tanto di tabella pecuniaria a somme crescenti, a dire, neanche tanto implicitamente, “meglio che paghi subito, sennò scatta il raddoppio ogni tot di tempo”. Ci siamo presi paura: e che è, un taglieggiamento? Così quello che è evidentemente un errore in totale buona fede, e dovuto semmai all’eccessiva mole di processi che amici e familiari di Renzi hanno sul groppone (oltre che, non si offenda Bonifazi, al fatto che trattasi di personaggio di secondo piano nell’epopea renziana), per Bonifazi e i suoi avvocati è un danno di tale portata che io, giornalista ad Articolo 2 che purtroppo non percepisce compensi dal principe dell’Arabia Saudita Bin Salman, dovrei vendermi mezza casa per ripararlo.

E pensare che la mia svista sarebbe tecnicamente favorevole al Bonifazi: 1000 volte meglio un proscioglimento senza processo che un’assoluzione dopo un processo di sei anni. E invece di ringraziarmi, o di chiedermi una rettifica nell’edizione digitale e in quelle cartacee successive (rettifica che comunque abbiamo subito provveduto a fare), l’avvocato Bonifazi mi chiede moneta sonante, così la prossima volta, prima di nominarlo, ci penso bene. È il metodo Renzi, che in questi anni ci ha crivellato di querele, e non solo per errorini di tal fatta, ma anche per opinioni, critiche, epiteti (il “bullo” di Travaglio), gadget (la carta igienica nella libreria di Travaglio) etc. A indurmi in errore deve aver certo contribuito un passaggio della lettera che Tiziano Renzi, papà di Matteo, mandò al figlio, finita agli atti del processo Consip, che recita: “A fronte… della Banda Bassotti… Bianchi, Bonifazi, Boschi… che hanno davvero lucrato senza ritegno dalla posizione di accoliti tuoi, io sono stato quello che è passato per ladro prendendolo nel culo”. Non risulta che Bonifazi abbia querelato Tiziano Renzi per averlo paragonato, insieme agli altri accoliti di Matteo, ai tre malviventi di Paperopoli con la mascherina da ladro e la targhetta col numero di matricola carceraria. Naturalmente, noi non pagheremo: deciderà un giudice se volevamo davvero rovinare la reputazione del politico renziano o se abbia fatto tutto da solo.