All’ospedale di Khan Younis giungono le salme dei gazawi consegnate da Israele in cambio degli ostaggi morti. “Hanno ferite, funi al collo e lacci”, denunciano i medici legali. I cadaveri sono conservati nei camion dei gelati, solo pochi vengono riconosciuti dai famigliari.

(Fabio Tonacci e Sami Abu Salem (Khan Younis) – repubblica.it) – All’ospedale Nasser danno i cadaveri in televisione. Le immagini si soffermano sui dettagli, le dentature, le mani cristallizzate nella posizione innaturale di chi le aveva legate dietro la schiena, i volti anneriti e incrostati di sangue, alcuni con una corda al collo, altri bendati, i brandelli di vestiti, la biancheria, per i pochi che ce l’hanno ancora addosso: qualsiasi particolare che possa permettere agli spettatori, ammassati nel padiglione accanto di questo obitorio improvvisato fatto di tende assalite dalle mosche e di camion dei gelati usati come celle frigo, di riconoscere fratelli, padri, figli, cugini, amici.

Lo schermo, appeso in alto a un tubo di sostegno del padiglione, trasmette a ripetizione pezzi dei loro defunti. La telecamera indugia, senza fretta. Il silenzio attonito ogni tanto si fa brusio, gli uomini stanno in piedi con le braccia conserte e lo sguardo serio, protesi verso il monitor, le donne sono sedute, ma quando pensano di aver intravisto qualcosa, un particolare, un ricordo, perdono la compostezza. L’attesa, una lotteria.
Centocinquantatre salme palestinesi sono state portate all’ospedale Nasser in cambio dei resti dei 12 ostaggi deceduti nelle mani di Hamas, durante la prigionia nella Striscia di Gaza. Centocinquantatre sacchi di plastica bianchi consegnati finora dagli operatori del Comitato internazionale della Croce Rossa. Israele non ha detto quasi niente della identità dei corpi che esse contengono, solo che fanno parte del gruppo di «360 terroristi gazawi» che il governo ha accettato di scambiare pur di riavere tutte le spoglie degli ostaggi.
Su ogni sacca c’è un cartellino con la data di arrivo a Khan Younis e un codice alfanumerico. Su molti cartellini le iniziali S.T., che secondo i medici indicano la provenienza: S.T. come Sde Teiman, la base militare israeliana nel deserto del Negev riconvertita, nel dicembre 2023, a campo di detenzione. L’ «Abu Ghraib israeliana», come l’hanno ribattezzata gli attivisti dei diritti umani che denunciano le violenze e gli abusi subiti dai gazawi arrestati durante la guerra e lì rinchiusi in base alla legge marziale israeliana dei combattenti illegali, che permette la cattura senza processo e senza l’ostensione delle prove. «La prigione dell’orrore», come la ricorda chi ne è uscito.

Per mesi e mesi i palestinesi uccisi sono stati conservati dall’esercito dello Stato ebraico, che già sapeva che prima o poi sarebbero tornati utili. La maggior parte dei cadaveri è stata tenuta nelle celle frigorifere, e infatti sono abbastanza integri, alcuni invece sono in decomposizione, probabilmente esumati da poco, come dimostra la sabbia nella bocca e sui vestiti. Addosso portano le tracce del racconto delle loro ultimo capitolo.
«Ce ne sono di ammanettati, di bendati, qualcuno aveva le mani e i piedi legati con delle fascette di plastica, altri una fune attorno al collo», dichiara a Repubblica Ahmed Dhair, direttore della Medicina forense all’ospedale Nasser. È il primario che riceve, dal suo team di sanitari, le analisi di ciascun cadavere. «Per ora sono solo ispezioni esterne, non facciamo le autopsie». Nei giorni precedenti era circolata la notizia dell’esistenza di salme con del cotone al posto degli organi. Non è confermata, ma la voce, nei reparti del Nasser, continua a girare.

Fino a sabato le famiglie accorse al Nasser, senza sapere chi ci fosse in quelle sacche ma tutte con un disperso da ritrovare, avevano identificato appena dieci corpi. «Non abbiamo le strumentazioni adatte a facilitare il riconoscimento», spiega Dhair. «I laboratori per la comparazione del dna non esistono più». Non si sa esattamente chi siano, se sono tutti miliziani di Hamas che hanno partecipato al pogrom del 7 Ottobre e poi al conflitto, come sostengono le autorità israeliane, o se tra essi ci sono civili di Gaza colpiti dalle bombe, o anche qualcuno morto mentre era in stato di detenzione a Sde Teiman. «Solo su sei sacche abbiamo trovato un cartellino con l’indicazione del nome, e abbiamo pure scoperto che due nominativi erano sbagliati», dice il capo della medicina forense del Nasser. I cadaveri sono nudi, ma non tutti: ce ne sono diversi che hanno addosso abiti civili che si sono attaccati alla pelle e i medici non possono rimuoverli.
Quindi si va a occhio, a tentativi, frugando nei sacchi bianchi per trovare i dettagli.
Cadavere numero “H6nmc, 15/10/2025”, appena estratto dal camion dei gelati, usato dagli operatori dell’obitorio come deposito temporaneo. «Non abbiamo altro spazio, del resto, le celle frigorifere dell’ospedale sono già piene». La sacca è aperta, affiora la testa di un uomo congelato, rigido come un pezzo di legno. Il tanfo della decomposizione attira le mosche e allontana i curiosi. I medici si proteggono con le mascherine per il Covid.
Ci sono sette sacche su sette brande, e Nada Zoghra, venuta da Gaza City, è china su quella col cartellino “H6nmc”, trasferita al Nasser il 15 ottobre. Sta cercando suo padre Mohammed, sparito due anni fa. Attorno al cadavere ci sono Nada e sua madre, le due donne si concentrano sulla faccia che è una maschera nera senza più connotati, toccano il collo della statua contorta, parlano tra loro sottovoce. La mamma collassa a terra, è proprio suo marito Mohammed. Nada l’aveva già capito da un po’ e piangeva in silenzio. «Mio padre era solo un autista, e ora non sappiamo niente, né dove, né quando, né come è stato ucciso hanno ucciso. Ci vuole del sadismo per non fornire informazioni così importanti a una famiglia in lutto».
Nella tenda del riconoscimento si aggirano anche dei ragazzi. Akram Awad sta cercando i suoi due fratelli. «Li hanno rapiti i soldati israeliani nel 2024 a Jabalia», dice. Altri ragazzi sono meno loquaci, più sospettosi, con lo sguardo basso. «Sono qui per mio fratello», fa uno. «Ma come si chiama non ve lo dico».
…. ci vorrei Galli della Loggia Mentana e Mieli a fare i riconoscimenti, più la Incoronata Boccia e Parenzo.
Questo è ORRORE PURO, almeno in guerra in genere sai chi siano i morti, i documenti ce li avranno avuti.
Sadismo, sì. E’ il minimo che si può dire di questi criminali.
Mentre Gasparri vuole fare una legge che protegga dall’antisemitismo pure lo stato di Israhell.
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Ricordatevi la fine dell’eroico Falken Bernadotte, ucciso dai Zionisti mentre cercava di mediare sulla disputa territoriale, proprio lui che aveva salvato tanti ebrei dai nazi:
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L’autore tedesco ed ex deputato Jürgen Todenhöfer è stato arrestato a Monaco dopo aver twittato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu stava facendo ai palestinesi ciò che i nazisti fecero agli ebrei.
Fonte: The Telegraph
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Purtroppo, ahimé, è la verità.
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A questo punto dovrebbe dichiararsi prigioniero politico. Non esiste un altro modo, Crucchi e inglesi devono piantarla di perseguitare il diritto ad esprimere un’opinione!
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Un articolo scioccante! La testimonianza che lo Stato ebraico si è trasformato in uno Stato Canaglia dove ormai tutti gli abusi sui Palestinesi sono consentiti. Alla faccia di chi ancora si ostina a definire Israele come “l’unica democrazia” del Medio Oriente… Di democratico in Israele ormai non c’è quasi più niente.
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