
(di Marco Palombi – ilfattoquotidiano.it) – L’anziano professor Franzò di Una storia semplice di Sciascia, di fronte a un ex allievo magistrato “debole in italiano” ai tempi della scuola, spiegò al malcapitato: “L’italiano non è l’italiano, ma il ragionare. Con meno italiano lei sarebbe forse ancora più in alto”. Ecco, parlando della giornata di lavoro di 13 ore votata dal Parlamento di Atene si dovrebbe dire che la Grecia non è la Grecia, ma l’Europa e che con meno Grecia vedremmo noi stessi nel laboratorio ellenico. Intanto i fatti. In Grecia si poteva già lavorare per 13 ore al giorno, ma solo per due padroni diversi: da ora si potrà farlo per un massimo di 37 giorni all’anno per la stessa impresa, come straordinario, con una retribuzione maggiorata del 40%. In sostanza, significa lavorare ogni anno 23 giornate equivalenti da 8 ore in più, compensando di fatto le ferie. Alcuni commentatori hanno fatto notare che anche in Italia la giornata lavorativa massima è di 13 ore: non che questo normalizzi la scelta greca, ma va pure detto che le deroghe all’orario normale sono temporanee e affidate per legge alla contrattazione nazionale, mentre in Grecia – dettaglio che sfugge – i creditori internazionali hanno preteso l’indebolimento degli accordi nazionali (coprono il 14% dei lavoratori) e l’incentivazione della contrattazione individuale, cioè la legalizzazione del ricatto del bisogno. È questo il Paese di cui oggi ci dicono che ha fatto i compiti a casa ed è tornato a crescere, in cui però il Pil è il 70% di quello del 2008 e la povertà resta endemica anche tra chi lavora. Eppure la Grecia non è la Grecia, ma l’Europa perché, in forme magari meno barbare e razziste, questo processo ha riguardato, pur con diversa intensità, tutta l’Ue: scaricare sul lavoro – per mezzo di una crisi finanziaria o meno, con letterine della Bce o meno – l’aggiustamento necessario a tenere in piedi la moneta unica. Non ci credete? Ma se ve l’ha detto pure Draghi: “Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale” (La Hulpe, aprile 2024). La Grecia, signori, non è la Grecia.
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