
(Dario Lucisano – lindipendente.online) – Nonostante le proteste e gli scioperi generali, il parlamento greco ha approvato la legge che consente l’allungamento della giornata lavorativa. La legge permette ai datori di lavoro di ampliare la giornata lavorativa fino a 13 ore al giorno per un massimo di 37 giorni l’anno, su base volontaria. La modifica aveva ricevuto diverse critiche dal mondo della politica e dai sindacati, che denunciavano uno «smantellamento dei diritti dei lavoratori» affermando che in molti, sebbene dotati di facoltà di scegliere se aderire all’allungamento della giornata lavorativa, non avrebbero potuto rifiutare a causa delle basse paghe e dello squilibrio di potere tra datore di lavoro e impiegato. Contro di essa sono state organizzate diverse manifestazioni in tutte le maggiori città greche, tanto che solo nel mese di ottobre sono scoppiati due scioperi generali, che hanno bloccato treni, traghetti e traffico in tutta la penisola ellenica.
La legge sull’ampliamento della giornata lavorativa fa parte di una più ampia riforma delle norme sul lavoro che mira a rendere le regole da seguire nel mercato lavorativo più flessibili. In Grecia si lavora di norma otto o nove ore al giorno con un massimo di tre ore di straordinario, pagate il 40% in più della normale paga oraria. La misura prevede un ampliamento del tetto degli straordinari a quattro ore lavorative per non più di 37 giorni l’anno e su base volontaria; essa vuole inoltre che il monte ore settimanale resti invariato, così come il totale delle ore straordinarie permesse in un anno, che in Grecia ammonta generalmente a 150. La nuova legge si inserisce sulla scia di analoghe manovre sul lavoro proposte negli anni precedenti dall’attuale governo Mitsotakis, che ha precedentemente introdotto la settimana lavorativa da sei giorni e permesso ai dipendenti di lavorare fino a 74 anni, 7 anni oltre l’età pensionabile attualmente prevista. È anche per tale motivo che è stata contestata dalle opposizioni e dai lavoratori, che denunciano come la Grecia sia uno dei Paesi dell’UE in cui si lavora di più e guadagna di meno.
La misura era stata approvata mesi fa, ma è stata discussa dal parlamento ieri, e approvata oggi, giovedì 16 ottobre. Contro di essa, sono state organizzate diverse proteste, tra cui due scioperi generali nel solo mese di ottobre. L’ultimo, martedì 14 ottobre, ha visto migliaia di manifestanti riversarsi nelle piazze del Paese, e bloccare le infrastrutture elleniche. Lo sciopero è durato 24 ore, ha impedito ai treni di circolare, interrotto i servizi locali di trasporto pubblico, il traffico automobilistico, e i servizi di traghetti. A Tessalonica e Atene sono state organizzate ampie proteste; nella capitale i manifestanti hanno raggiunto piazza Syntagma, protestando davanti al palazzo del parlamento.
Secondo i dati Eurostat, la Grecia è il Paese dell’UE dove si lavora di più, con gli uomini che raggiungono una media settimanale di 42,8 ore e le donne con 39,1. Sebbene non siano toccati da questa norma, anche i lavoratori autonomi ellenici risultano i più carichi di lavoro, con una media di 46,6 ore per settimana. Il Paese è il terzo peggiore per salario annuo corretto per il tempo pieno (che stima, in termini assoluti, quanto guadagnerebbero i lavoratori di un Paese se tutti lavorassero a tempo pieno), e il peggiore per reddito reale, seguito proprio dall’Italia. Nel Belpaese non è possibile lavorare più di 13 ore al giorno, e il monte ore di straordinari annuale è generalmente fissato a 250 ore, nonostante le variazioni previste per i singoli contratti collettivi.
Nel tardo Ottocento si lottava per ridurre la giornata lavorativa da 12-14 ore a 8, e oggi, più di un secolo dopo, sembra quasi di fare il percorso inverso.
A prima vista può sembrare paradossale: in un’epoca in cui si parla di automazione, intelligenza artificiale e bilanciamento vita-lavoro, arriva una legge che va nella direzione opposta.
C’è anche un aspetto simbolico molto forte: queste misure danno il segnale che il lavoro umano è ancora trattato come una risorsa da estendere a piacere, non come qualcosa da tutelare o valorizzare.
È un po’ come dire: “non abbiamo imparato davvero nulla dalla storia del lavoro”.
La realtà tuttavia descrive bene la situazione: la Grecia, formalmente parte dell’UE e quindi di un sistema che si proclama fondato su diritti sociali e dignità del lavoro, ma che si ritrova in una posizione di semi-periferia economica dentro la stessa UE.
Non è “sottosviluppata” nel senso classico, ma subisce una condizione strutturale di debolezza: salari bassi, produttività ridotta, alta disoccupazione giovanile, forte dipendenza dal turismo e dai servizi stagionali; tutto questo la spinge a competere sul costo del lavoro, non sulla qualità.
Si tratta di una strategia di sopravvivenza economica che assomiglia molto a quella dei paesi in via di sviluppo: non potendo offrire innovazione o capitale, si offre forza lavoro a basso costo e alta disponibilità.
Solo che qui il paradosso è doppio, perché accade dentro l’Europa, non ai suoi margini geopolitici.
Un paese che si abitua a vivere di turismo cioè di un’economia stagionale, volatile e dipendente dal potere d’acquisto altrui finisce quasi inevitabilmente per accettare la precarietà come normalità.
E da lì a giustificare leggi come questa il passo è breve: se il tuo modello di sviluppo si basa su “lavorare tanto quando c’è domanda”, allora l’idea di allungare la giornata lavorativa sembra persino logica.
Non mi indigna quindi questa legge, quello che più mi fa rabbia è come sia possibile non prendere atto di questa debolezza strutturale ed agire di conseguenza.
Se un paese sa di trovarsi in una posizione economica fragile, la via d’uscita non può essere “spremere più ore di lavoro”, ma investire in intelligenza, tecnologia e competenze.
È così che si rompe il circolo vizioso del basso salario, bassa produttività, necessità di lavorare di più.
E la Grecia, come altri paesi del sud Europa è intrappolata proprio in questo schema; compresa l’Italia, compreso quel paese che ha un tasso di crescita del PIL del 3% (sic), compresa la Francia anche se in misura minore.
In un certo senso è come se dicessi: prendi atto che sei povero, non puoi comportarti da paese povero; devi comportarti da Paese che vuole smettere di esserlo.
Quello che il governo greco ha fatto è stato non di costruire una Grecia che produce valore, ma una Grecia che serve chi il valore lo produce altrove.
E questo, nel lungo periodo, erode la dignità collettiva tanto quanto quella individuale.
Non è stato difficile scrivere questo commento, scrivevo della Grecia e pensavo ad un altro paese.
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i prossimi saremo noi, tanto ormai accettiamo passivamente tutto
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