(di Luca De Carolis – ilfattoquotidiano.it) – I parlamentari del M5S si ripetono quel dato come una sentenza: “Abbiamo preso il 3 per cento a Reggio Calabria”. Un numero che racconta la batosta calabrese di lunedì scorso, certo, con il candidato a 5Stelle Pasquale Tridico fermo al 41 per cento e con il M5S al 6 e qualcosa: di fatto la stessa percentuale del 2021, quando correvano da soli e senza un loro nome a raggrumare il centrosinistra. Deludente (anche se diversi voti a 5Stelle sono andati alla lista civica di Tridico, al 7 per cento). Dati che sono l’ennesimo sintomo di una crisi cronica per il M5S nelle elezioni locali. Così radicata che il 5 per cento nelle Marche di dieci giorni fa è stato accolto con sollievo dai parlamentari (“la base era spaccata sul candidato dem Ricci, temevamo il 3”). A botta meno calda, un big si macera: “Se siamo contenti per un 5 per cento c’è qualcosa che non va”. O qualcosa che manca: per esempio, un vero partito, “ciò che ancora non siamo” scandisce il veterano. È il cuore del problema, per il M5S. Incapace di fare liste competitive. Con coordinatori locali che non hanno la rete – e sovente le risorse – dei partiti tradizionali. Dove il salto dai tradizionali meet up ai gruppi territoriali dell’era contiana è tuttora incompleto.

Arrivano anche da qui i numeri bassi o ancora peggio del M5S, anche dove i progressisti hanno vinto (il 3,5 in Emilia Romagna, il 4,7 in Umbria). Il M5S che nei sondaggi veleggia al 13 non conosce la doppia cifra nelle Amministrative (eccezione l’11 per cento a Taranto, la scorsa primavera). Perché paga anche la difficoltà a tramutare il Movimento – a Giuseppe Conte la parola “partito” non piace – in una forza radicata sui territori, obiettivo su cui pure il leader ha impostato buona parte della costituente di dicembre. In una parola, sconta la transizione. “Ci vuole tempo per cambiare modello e rotta rispetto al M5S liquido che fu” sostengono fonti di peso. Ma certe regole non aiutano. “Nel nuovo codice etico – ricorda un parlamentare – è previsto come requisito per autocandidarsi essersi candidati almeno una volta a livello locale e l’aver conseguito una determinata quota di preferenze”. Norma contro i saltafossi della politica. “Ma così abbiamo tagliato fuori tanti ragazzi della Giovanile, su cui vogliamo investire” è l’annotazione. Sarebbero stati utili in certe liste. Così come quegli esterni che tutti invocano – imprenditori, società civile – ma che il M5S non riesce ancora ad attrarre. Nelle liste potrebbero planare su indicazione diretta del presidente, cioè di Conte. “Ma è difficile convincerli, e talvolta sono gli eletti locali a frenarli” dicono. E allora? In diversi invocano una norma transitoria nel codice etico, “per non tagliare fuori ragazzi e certi attivisti”. E altre novità. “Serve una valutazione effettiva del lavoro dei vari comitati interni e un collegamento maggiore con Roma”. Conte non ha voluto finanziare le sedi, per problemi pratici – la gestione dei soldi – e politici (il timore di piccoli potentati). Ce ne sono alcune, aperte con i soldi degli eletti. “Ma negli altri partiti c’è gente che si occupa solo di parlare con i sindaci dei paesi” notava ieri un deputato. Duro: “Troppi di noi non si vedono sui territori: non incontrano le parti sociali, non fanno iniziative”. Se ne è lamentato anche Conte, che per le Regionali in Puglia lavora a civici di nome. Per rimediare.