Uno su tre arranca: consumi reali -11% dal 2019. La fiammata inflattiva ha colpito più forte la classe media. Disuguaglianze ai massimi dal ’22

Uno su tre arranca: consumi reali  -11% dal 2019

(di Marco Palombi – ilfattoquotidiano.it) – La stabilità può certo essere un valore, e d’altronde ce lo ripetono tutti i giorni, però può anche essere quella della morte. La stabilità della spesa per consumi delle famiglie, rilevata ieri dall’Istat su dati 2024, è invece solo apparente: formalmente le famiglie italiane l’anno scorso hanno speso ogni mese quasi la stessa cifra dell’anno precedente (2.755 euro invece di 2.738 euro) e di più rispetto al 2019 pre-Covid (2.519 euro), ma in realtà se la cifra è salita la quantità di beni e servizi comprati è calata e pure di molto. È l’effetto dell’inflazione o meglio di quella che va sotto il nome di “perdita del potere d’acquisto”: in sostanza prima col mio stipendio riuscivo a comprare dieci zucchine e oggi nove, ho perso il 10% del mio potere d’acquisto. A voler essere precisi, perché i dati li ha dati sempre ieri la stessa Istat, il saldo negativo rispetto al 2021 – quand’è iniziata la fiammata dei prezzi – è del 9%.

Stabilito questo, torniamo al report sulla spesa dei privati in Italia: “Tra il 2019 e il 2024 – scrive l’istituto statistico – la spesa per consumi delle famiglie è aumentata del 7,6% a fronte di un’inflazione, misurata sullo stesso arco temporale dall’Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), del 18,5%”. C’è un divario che sfiora l’11% ed è a questo che si riferiscono le associazioni di imprese e consumatori commentando negativamente i numeri dell’Istat: “L’aumento dei consumi è un’illusione ottica – dice Confesercenti – Nel 2024, secondo nostre stime, la spesa complessiva per consumi è aumentata in termini nominali di appena lo 0,6% rispetto al 2023, ma al netto dell’inflazione il potere d’acquisto delle famiglie ha registrato una nuova frenata”, che “si aggiunge a una perdita strutturale più ampia: rispetto al 2019 la spesa reale delle famiglie risulta ancora inferiore dell’11% circa – pari a 3.400 euro in meno l’anno per nucleo familiare, di cui 600 euro per alimentari. La stabilità dei valori medi maschera un disagio diffuso”.

E che il disagio ci sia lo prova fin troppo quel 31,1% delle famiglie che anche nel 2024 (erano il 31,5% l’anno prima) ha dichiarato di aver limitato in quantità e/o qualità la spesa per il cibo (per le bevande si sale al 35,3%), un dato anche più rivelatore del 47,5% che ha tagliato abbigliamento e calzature o del 40% abbondante che ha sforbiciato sui viaggi. “Un dato drammatico”, dice Federconsumatori, che “non fa che confermare le preoccupazioni che manifestiamo da tempo sulle condizioni economiche delle famiglie”.

Sul calo della spesa reale in realtà, cioè quella depurata dall’inflazione, si può essere più precisi. Secondo l’Istat, che usa strumenti statistici più raffinati (la “spesa equivalente”), le uscite reali delle famiglie italiane sono calate “solo” del 7,2% dal 2018 al 2024, un dato superiore alla media soprattutto per quello che potremmo definire “ceto medio”: divisa in cinque parti la popolazione italiana, sono i tre gruppi che stanno in mezzo ad aver subito i colpi più duri dal 2018 (-9,1%, -8,5%, -8,1% di spesa reale), mentre il quinto delle famiglie più spendaccione – che valgono il 40% dei consumi, come i primi tre quintili messi insieme – se la sono cavata con un -4,7%. Il rapporto tra i diversi quintili, che misura il grado di disuguaglianza tra le varie fasce della popolazione, l’anno scorso restava ancora alto: “Il più elevato livello della disuguaglianza, raggiunto a partire dal 2022, si conferma invariato”.

I divari, com’è ovvio che sia parlando di soldi, sono una costante nel report. Ad esempio c’è quello ultra-secolare tra Nord e Sud del Paese: “I livelli di spesa più elevati, superiori alla media nazionale, si registrano nel Nord-est (3.032 euro), nel Centro (2.999 euro) e nel Nord-ovest (2.973 euro), mentre sono più bassi e inferiori alla media nazionale nelle Isole (2.321 euro) e nel Sud (2.199 euro). Nel 2024, le famiglie del Nord-est spendono in media 834 euro in più rispetto al Sud (il 37,9% in più) e 711 euro in più rispetto alle Isole (il 30,6% in più)”.

Non sorprendentemente, dividendo il dato per Regioni, si scopre che quelle con “la spesa media mensile più elevata si confermano Trentino-Alto Adige (3.584 euro) e Lombardia (3.162 euro), mentre Calabria e Puglia sono quelle con la spesa più contenuta, rispettivamente 2.075 e 2.000 euro mensili”. In sostanza nella provincia di Bolzano (3.990 euro) si spende il doppio che in Puglia. Il gap peraltro, dopo il calo post-Covid, per il Mezzogiorno è tornato ai livelli del 2019, mentre resta più basso nelle Isole.

Le disuguaglianze non sono solo geografiche. Ancora in modo non sorprendente i dati Istat rivelano che “le famiglie di soli italiani spendono in media, ogni mese, 2.817 euro, a fronte dei 2.138 euro delle famiglie con almeno uno straniero” e i 1.781 di quelle con soli stranieri: in percentuale fa +31,8 e +51,8%; in soldi 680 euro e 1.036 euro a famiglia. Anche nella composizione della spesa, altrettanto ovviamente, pesano le disuguaglianze: le famiglie più povere non solo spendono meno, ma nelle loro uscite i beni primari – cibo e casa, in media il 55% delle spese – pesano assai di più che per le altre lasciando poco spazio al resto.

Dati che sono un problema anche per il governo e non solo per il sempre poco sottolineato disagio sociale cresciuto negli anni dell’iperinflazione. Anche a non voler tener conto del calo reale dei consumi delle famiglie, infatti, la stagnazione della spesa nominale è un bel problema per Meloni e soci. Come Il Fatto ha già scritto, infatti, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) appena approvato non solo prevede una crescita reale anemica per quest’anno e per il prossimo triennio (roba da zero virgola), ma affida ai consumi interni un ruolo di traino (insieme agli investimenti del Pnrr) nell’ottenimento di quei miseri risultati: nel primo semestre dell’anno i consumi privati stanno andando peggio del previsto, ma – scrive il governo – l’anno prossimo saliranno dell’1,2% per via delle “dinamiche del mercato del lavoro in termini di occupazioni e di retribuzioni reali” (entrambe in frenata) e della “graduale riduzione del tasso di risparmio” (cioè perché agli italiani verrà voglia di spendere o di investire). A leggere il report dell’Istat, però, gran parte delle famiglie residenti in Italia pare in realtà sulla linea di galleggiamento e difficilmente sarà la manovrina annunciata per l’anno prossimo a cambiare la situazione.