
(Fabrizio Venafro – lafionda.org) – Come da previsioni, la Global Sumund Flotilla è stata attaccata dalla marina israeliana. E come anticipato, il sindacato, quello di base e una parte di quello confederale, la CGIL, ha proclamato lo sciopero generale. Un atto dovuto, dopo lo sciopero del sindacalismo di base del 22 settembre che ha superato, quanto a partecipazione, qualsiasi aspettativa. Quale significato assumono l’iniziativa della Flotilla e la conseguente proclamazione dello sciopero generale? Significano riattivare una dialettica democratica in paesi che, considerandosi la culla della democrazia, hanno archiviato questa pratica politica. L’azione della Flotilla prova a rianimare all’insegna della democrazia i corpi politici stanchi e stantii degli stati occidentali. La motivazione primaria è umanitaria, ma si è arricchita di moventi politici tra i più ambiziosi. Quello che è andato in frantumi, evidentemente, è il patto tra governanti e governati. Le scene del genocidio in corso sono penetrate in tutte le case. Hanno infranto la fittizia tranquillità delle famiglie occidentali e messo a nudo il vero volto del capitalismo mondiale. Di fronte al dramma palestinese, i governi europei, succubi del dispotismo statunitense, non sono stati in grado di proporre alcuna iniziativa. Dopo oltre sessantamila vittime, di cui, come è stato documentato, più del 70 per cento consta di civili, la reazione è venuta dal basso. Dato che non ci si poteva aspettare alcuna azione da parte di governi collusi con lo stato genocida, l’iniziativa è partita dalla popolazione. In primo luogo attraverso la promozione internazionale della Flotilla, poi attraverso quella che in Italia ha costituito una sorta di flotilla terrestre, in appoggio a quella di mare, e che ha visto la propria consacrazione con lo sciopero del 22 settembre.
Il significato di tale impresa travalica i confini della motivazione umanitaria. In tal senso, la presidente del consiglio Meloni ha visto giusto. Certo, si è sopravvalutata quando il proprio ego le ha fatto attribuire alla Flotilla l’intento di sabotare il governo italiano. Però non va lontano dalla realtà, se solo allargasse il ragionamento ai governi complici del genocidio del popolo palestinese. L’azione della Flotilla, unita con quella dei sindacati che hanno promosso lo sciopero, portuali in testa, rimarca una volontà da parte delle popolazioni di alcuni paesi di svolgere un ruolo di primo piano nella politica nazionale e internazionale. In sostanza, viene rifiutato il ruolo di sudditanza attribuito dalle classi dirigenti alle popolazioni. Le quali possono esercitare il diritto di decisione ed espressione del proprio volere nel solo momento in cui mettono un segno sulla scheda elettorale.
Ciò che si rifiuta è un sistema basato su una delega in bianco che viene espressa unicamente nel momento delle elezioni. Per questo, la questione palestinese rappresenta la punta dell’iceberg del malessere diffuso tra le popolazioni che non hanno voce in capitolo sull’ordine del giorno della politica, per dirla con Colin Crouch. La scommessa, allora, è quella di innescare un cambiamento su vasta scala nei rapporti tra classi dirigenti e popolazioni che in epoca neoliberale si sono sbilanciati a favore delle prime. Ed è per questo che la resistenza del popolo palestinese rappresenta a buon diritto la resistenza dei popoli del mondo. Insomma, siamo tutti palestinesi. E la bandiera palestinese travalica i confini della Palestina per rappresentare le classi popolari di tutto il globo.
Il piano di pace ideato dai carnefici, Trump e Netanyahu, come ha ricordato l’economista Emiliano Brancaccio su “il manifesto” del primo ottobre, assume il sapore del fenomeno delle enclosure, ossia delle recinzioni avviate nell’Inghilterra del XVI secolo. Si trattò di un fenomeno di privatizzazione delle terre ad uso collettivo, che avrebbe poi dato origine alla rivoluzione industriale e alla formazione del proletariato industriale. Un furto di terra alle collettività che Marx aveva definito accumulazione originaria, e che prosegue tutt’oggi a scapito delle popolazioni del Sud del mondo. Nancy Fraser parla in tal senso di espropriazione razzializzata, a scapito di popolazioni emarginate rispetto al ricco occidente, uno step successivo rispetto allo sfruttamento perpetrato nei confronti delle popolazioni occidentali. Un altro termine per configurare tale fenomeno è land grabbing, ossia furto di terre. È questo il vero senso del piano di pace di Trump che Meloni teme venga messo a repentaglio dalla Flotilla. Trasformare la striscia di Gaza in un resort per ricchi in cui la popolazione palestinese non ha diritto di cittadinanza, secondo i canoni del colonialismo insediativo perpetrato da Israele in Cisgiordania. Allora, l’altro significato simbolico che assume l’azione della Flottilla è l’alleanza tra le popolazioni sfruttate con quelle espropriate.
Non possiamo che augurarci che la protesta allarghi sempre più il suo raggio, coinvolgendo le classi lavoratrici di altri paesi per uno sciopero generale internazionale, e inneschi una rivolta operante sul piano nazionale-internazionale che aspiri a un ribaltamento graduale del liberal-capitalismo e del sistema della guerra. Di fronte a una classe dirigente che in Occidente cerca di rendere plausibile una prospettiva di riarmo e di guerra globale (gli Stati Uniti di Trump assomigliano sempre più all’America del romanzo distopico The Man in the High Castle) l’azione di contrasto non può che appartenere alle classi lavoratrici. Le quali sono le uniche che hanno interesse ad opporsi a un sistema di dominio che produce distruzione, disuguaglianza e dispotismo.
Ben vengano queste manifestazioni, una boccata d’ossigeno in questa atmosfera grigia.
Sarebbe bello se ne nascessero altre altrettanto frequentate per la sanità allo sfascio, per il ripristino dell’abuso d’ufficio, per una politica seria per i poveri, per una Rai libera dai partiti…
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Mi ricordo che un certo Landini della CGIL, è andato ciulo e camicia con le porcate imposte dal governo Draghi, che non ha fatto nulla per quel periodo, è un caso di omonimia o è lo stesso?
Forse era il caso di presentarsi senza lo stendardo dei sindacati?
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Gli Stati Uniti di Trump assomigliano sempre più all’America del romanzo distopico The Man in the High Castle.
L’ho sempre pensato, poiché ho visto la serie tv. Il romanzo in sé, vero titolo è La svastica sul sole, non angoscia più di tanto: è la trasposizione nella serie tv che allarma.
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