La non belligeranza italiana e le bugie che portano al fronte. Quelle similitudini con il 1939

Europa, verso la guerra come sonnambuli

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Siamo diventati da poco orfani di una bugia. Purtroppo. Perché era una bugia utile, che ci ha miracolato da un abisso, bugia condivisa tra nemici e quando le bugie sono così diventano quasi pseudoverità che si possono far bere ai sudditi facendole gestire da manichini parlanti sugli schermi. Se l’interesse reciproco lo richiede il bianco può persino diventare nero. Lo rimpiangeremo questo “adminiculum” un po’ losco che permetteva di socchiudere gli occhi sulle cose sconvenienti. Hanno strappato il velo alla guerra europea: è ufficiale, dichiarato, garantito: siamo, noi, in guerra con la Russia.

Se vi attardate tra coloro che attendono di ottenere una spiegazione del perché in nell’età della ragione si sia aperta, in piena luce, questa abominevole voragine nella cerniera d’Europa, se siete affaticati dal disagio indefinibile di fronte a tanti fantasmi guerreschi, a tanti illuminati spiriti che son lì ogni giorno a sobillarci perché il tempo dei deliri guerrafondai è tutt’altro che passato, anzi deve impegnare le nostre midolla per i prossimi decenni, almeno avete un po’ di chiarezza. Ora le sole domande reali sono quelle che la realtà ci pone e non più quelle che ci ponevamo per evitare di rispondere al presente.

Tutta colpa del prosaico portavoce della presidenza russa Peskov: «Di fatto siamo in guerra con l’Alleanza atlantica». “Di fatto” vuol dire che manca solo il ritiro degli ambasciatori. Non è rozza propaganda alla Medvedev, è una secca constatazione della realtà. Mentre diecimila soldati Nato si schierano alla frontiera con quarantamila polacchi e dall’altra parte, a vista, decine di migliaia di russi con i vassalli bielorussi “manovrano”. Tutto ciò che da tre anni funzionava “normalmente”, come numerazione decimale, quotidiana di missili vittime e insulti, è ammutolito. Il fruscio della parola maledetta si è levato: siete in guerra. Lo scenario è perfetto per provocazioni, incidenti pilotati, errori fatali: sono tutti gli armamentari che precedono e scatenano sempre le guerre grosse.

La guerra indiretta si reggeva dunque su una condivisa, reciproca bugia: intendo la bugia che significa banalizzazione, normalizzazione, viatico alla indifferenza. Tutti d’accordo a Mosca, a Washington, a Roma che il conflitto fosse solo tra Kiev e Russia. Punto e basta. Nel leggero show della classe politica e propagandistica occidentale era una aggressione che si legava alla ancestrale bulimia di conquiste, l’ossessione dello spazio vitale ex sovietico e zarista che farebbe parte della “aggressività” russa, con un Putin replica in miniatura delle caldane di Caterina la grande e di Stalin. Da Mosca invece si predicava la necessità di punire i “nazisti” di Kiev e difendere i fratelli del Donbass. Entrambi anno dopo anno hanno omesso per reciproco utile di dichiarare la verità: che lo scontro era diretto, un duello di potere e di status, e che gli sventurati ucraini erano solo protagonisti e vittime per procura. In realtà la guerra non dichiarata, neppur troppo nascosta, con armi sofisticate, informazioni satellitari, “istruttori”, specialisti travestiti da contractor o volontari in azione sul campo perché gran parte degli armamenti navali terrestri e missilistici sono fuori portata per i soldati ucraini, procedeva e cresceva anno dopo anno.

Entrambi fingevano perché ne hanno ricavato vantaggi interni, oltre che il poter posticipare il baratro del possibile conflitto globale e soprattutto atomico.

I leader occidentali potevano servire alle proprie perplesse, indifferenti, talora ostili opinioni pubbliche ed elettorali il fiabesco menu a la carte: noi non siamo in guerra con la Russia, per carità!, semplicemente aiutiamo con armi e sanzioni l’eroica Ucraina a resistere. Si poteva sdilinquire con l’Ucraina fino alla pace giusta! senza dover affrontare l’incandescente furore non delle lillipuziane minoranze dei pacifisti tolstoiani ma delle moltitudini dei richiamati mediante cartolina precetto e relative famiglie. Ecco: si capitalizzava il diffuso rifiuto di prevedere e prepararsi, eloquente testimonianza sia della forza che della debolezza delle democrazie. Manca la abitudine alla tragicità. Ma chi ne ha voglia di parlarne in Paesi, Europa e Stati Uniti, che sono un gran teatro di attriti economici, sociali, razziali? Quindi: minacce, esecrazioni, pacchetti di soldi e di sanzioni, proiettili e propaganda ma nessun atto che potesse far superare la linea della guerra diretta. Nelle retrovie gli sciacalli ingordi del riamo intanto arrotavano i denti.

Putin a sua volta, poteva prolungare il raccontino della “operazione militare speciale”, insaporendola, visti gli imprevisti tempi lunghi, con gli spartiti di nuovi ordini mondiali. Che la tenace resistenza ucraina sia una conseguenza del sostegno occidentale i russi lo sanno benissimo: non è come dice il presidente un’altra prova del subdolo assedio nemico iniziato nel disgraziato ottantanove?

Perché Mosca ha scelto di annunciare la guerra diretta? Forse perché dopo il vertice di Anchorage sa che di fronte non ha la Nato, ma la Nato senza Trump. Come ha dimostrato la levità con cui Washington ha osservato la vicenda dei droni in volo sulla Polonia. La Nato degli europei non vale neppur la pena di reticenze nello scavalcare il Rubicone. Reagirà a chiacchiere, eserciti futuribili e i soliti pacchetti di sanzioni, ovvero con il niente.

A rinunciare candidamente alla semantica dell’eufemismo è stato il ministro della difesa italiano Crosetto: «In caso di attacco non siamo in grado di difenderci… ». Queste singolari impotenze valgono anche per i sedicenti Grandi del continente, Francia e Gran Bretagna. Allo scoppio della guerra nel 1939, dopo vent’anni di quadrati legioni e di milioni di baionette, anche Mussolini dovette annunciare che non eravamo pronti… Adotteremo anche noi la scorciatoia della non belligeranza?