(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Quando durante il concerto di Wembley il cantante dei Coldplay ha invitato il pubblico ad alzare le mani per mandare un abbraccio di amore alla famiglia del trumpiano assassinato Charlie Kirk, lo stadio lo ha sommerso di «buu» e i social di insulti. 

In fondo gli è andata bene. Qualcun Altro ci aveva provato duemila anni fa ed è stato messo in croce. Forse «ama il tuo nemico» non è mai stato lo spirito di nessun tempo, ma certamente non lo è di questo, consacrato alla rabbia e alla frustrazione, più ancora che all’odio. Si tratti di armi o di parole, la regola è sempre la stessa: reagire colpo su colpo. Offendere, minacciare, infangare sono diventati sintomi di vitalità, elogiati anche da illustri opinionisti. Se ti astieni dal praticarli, passi per un ipocrita, un privilegiato, un venduto. Per un debole, se proprio ti va bene.

Non c’è più spazio (ma c’è mai stato?) per chi vuole ascoltare le ragioni degli altri, perché la scena è occupata dagli ultrà del derby permanente: Noi contro Loro. Dove tutti – compresi certi Capi di Stato o di governo che in teoria dovrebbero parlare a nome della collettività – si sentono di una parte sola, quella giusta, quella dei buoni e delle vittime. Lo ha ribadito ieri il generale Vannacci (e prima di lui tanti altri di entrambe le curve): la violenza non riguarda mai Noi, è soltanto opera Loro. Senza rendersi conto che già questa affermazione è una forma di pregiudizio, quindi di violenza.