L’idea e l’identità. Le sue istituzioni minacciano di dissolversi nel caos feroce dei partiti, delle fazioni e delle culture contrapposte

(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – L’assassinio di Charlie Kirk, l’odio feroce che esso testimonia e il truce scambio di accuse tra trumpiani e antitrumpiani che ne è seguito ripropongono la domanda che da tempo gli europei e non solo si pongono: che cosa è accaduto negli Stati Uniti che ha sconvolto nel modo brutale che è sotto i nostri occhi la loro vita pubblica, il loro ruolo politico, e la loro immagine? Che cosa è successo di così devastante da rendere irriconoscibile quell’America che in tanti abbiamo amato e ammirato?
In realtà è la stessa grande storia di quel Paese che in qualche modo si ritorce contro se stessa. La storia degli Usa è una storia assai diversa da quella dei Paesi europei. A differenza di questi — costituitisi per effetto di una lunga e tormentata vicenda che nei secoli ne ha plasmato l’identità — gli Stati Uniti, invece, sono nati come Stato e come nazione in conseguenza di un’audace operazione rivoluzionaria di natura tutta ideologica. Essi sono nati, potremmo dire, come uno «Stato ideologico» (o se si preferisce uno Stato intimamente legato a un mito politico). L’ideologia era quella racchiusa nella dichiarazione d’Indipendenza e nella Costituzione del 1787 (tuttora in vigore: un caso unico al mondo), costruita intorno a due caposaldi.
Da un lato, un’idea radicale di libertà dell’individuo-cittadino, un’idea della libertà in quanto strumento anche del successo e della felicità personali, e dall’altro una profonda ispirazione religiosa fondata sul retaggio biblico-protestante che affidava alla nuova comunità una missione profetico-salvifica di portata mondiale («A Nation under God», una nazione sotto Dio, come un tempo si proclamava nel giuramento ufficiale di fedeltà agli Stati Uniti). Fino a ieri essere americani ha significato credere in Dio e nella libertà: sostenere i principi fondamentali dell’etica giudaico-cristiana (non importa secondo quale confessione religiosa, magari anche essendo atei…) e insieme i principi del governo rappresentativo e della «rule of law».
Proprio questa fortissima, compatta e onnipresente natura ideologica ha reso possibile la straordinaria capacità degli Usa di crescere assorbendo senza strappi ondate enormi di immigrazione. Non importava dove si fosse nati, quali memorie o quale lingua ci si portasse dietro. Per diventare ed essere americani bastava riconoscersi nella sua ideologia costitutiva, nei suoi principi e nella sua missione. Una bandiera a stelle e strisce piantata davanti casa attestava la fede del nuovo venuto nel destino americano. Una fede condivisa praticamente dalla generalità dei cittadini: ci si poteva dividere tra sostenitori di una sua versione più conservatrice o più progressista, ma l’identità ideologica — e dunque alla fine anche culturale dell’insieme — restava intatta e saldamente comune.
E quando è suonata l’ora fatale — è bene non dimenticarlo — quell’idea e quella saldezza hanno salvato il mondo. Senza gli Stati Uniti, oggi a Pechino siederebbe un proconsole nipponico, le terre da Vladivostok agli Urali costituirebbero una grande riserva di manodopera schiavistica per l’Impero hitleriano esteso dal Dniepr all’Atlantico, e l’islamo-fascismo dominerebbe la Mezzaluna Fertile.
Ma dopo due secoli, a cominciare dalla seconda metà del ‘900, la fede condivisa nell’idea americana di cui dicevo ha cominciato a sgretolarsi. La guerra scatenata dalle minoranze in cerca di riconoscimento (neri, donne, omosessuali, gender) contro il passato nazionale — dipinto da Cristoforo Colombo in poi come un ammasso di nequizie, di razzismo, sessismo ed oppressione — è stata fatta propria, divulgata e amplificata dai settori cruciali dell’intellettualità, dell’istruzione, dei media e dello spettacolo (spesso per pura pavidità conformistica). Tutto ciò che sapeva del passato suddetto è divenuto quasi segno di colpa e di vergogna, senza che si levasse con forza alcuna voce potente e autorevole a porre un freno. Perfino la statua di Lincoln ha fatto le spese di una tale furia iconoclasta: di cui è immaginabile l’effetto devastante sulla parte più conservatrice del Paese ma insieme anche sui più larghi strati dei «semplici» e degli incolti (cioè della maggioranza degli elettori) educati al più tradizionale patriottismo. Una parte di americani si è trovata ad abitare in un Paese irriconoscibile che non era più quello in cui erano nati.
Non basta. Sempre a cominciare dalla seconda metà del ‘900 le grandi trasformazioni culturali della modernità, insieme all’incalzare travolgente delle novità sia tecnologiche che della struttura capitalistica, hanno provveduto a svuotare e distruggere gli antichi valori del legame comunitario, dell’individualismo benevolo e intraprendente, del «self help», fin dall’inizio cuore e sangue della società americana. Al tempo stesso la secolarizzazione minava inesorabilmente quella presenza del «sacro», del suo pathos unificante, che da sempre aveva costituito una gigantesca risorsa simbolica sulla quale il Paese aveva costruito la sua identità e il suo destino. Pezzo per pezzo, insomma, l’idea americana è andata perdendo la propria essenza vivente. L’idea americana è diventata un involucro vuoto.
Ma una volta priva di quell’idea l’Unione — la quale è nata proprio muovendo da essa e facendone la sua ragione d’essere — l’Unione che è nata per l’appunto come «Stato ideologico» e tutto politico, fatica a reggersi in piedi. E infatti sotto i nostri occhi lo Stato e le sue istituzioni minacciano di dissolversi nel caos feroce dei partiti, delle fazioni e delle culture contrapposte che non riescono a riconoscersi più in nulla capace di tenerli realmente insieme. Se è consentito un paragone ardito e da prendere con beneficio d’inventario viene da pensare che così come la progressiva inagibilità storica del comunismo ha voluto dire la fine dello Stato sovietico, cresciuto con esso e grazie ad esso, altrettanto, pur con le ovvie differenze, possa accadere in futuro a quello americano. Ma se così fosse, allora l’augurio migliore che per quel giorno noi, spettatori lontani ma in realtà vicinissimi, potremmo farci sarebbe io credo uno solo: quello di non esserci.
La verità è che gli Usa sono il nostro frutto acerbo . La violenza spietata degli europei è scritta nei libri di storia quindi ernestino si rifaccia una a lettura di essa riguardante almeno gli ultimi duemila e cinquecento anni . La differenza tra noi europei e gli yankee è che tra noi era ed è presente anche una cultura diffusa in una minoranza consistente della popolazione mentre da loro è il far west assere sempre in auge senza distinzione tra progressisti e conservatori .
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America che abbiamo tanto ammirato? Ma parla per te…
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Se la prima metà dell’articolo,a mio avvio,è la solita boiata intellettualoide per dirla in modo tranchant, il resto si avvicina molto al sogno “pulp e punk” utopico disilluso che personalmente accolgo con sorriso abozzato mentre Ernesto,quello destro,presagisce come un incubo.
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“La violenza spietata” nel senso della volonta’ di imporsi agli altri, e’ connaturata in qualunque comunita’ nazionale umana e da sempre. Si esprime semplicemente nei modi e nei mezzi che gli vengono concessi. Finche’ potranno i discendenti
di Ciccio Kim manterranno il loro spietato controllo sul paese. Forse che qualcuno dei Brics si vergognava di un
tale amico ?
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EGDL s’è scordato il lato economico. Gli USA sono in crisi.
Hanno buche nelle strade più grosse di quelle di Roma. E non le riparano perché non hanno piccioli.
Dire che è tutta colpa dei neri, delle donne, dei trans e della mancanza del pathos di una volta fa un po’ ridere.
Oltre a fare vecchio nonno rinco e mezzo razzista che se la prende coi tempi nuovi.
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ma voi avete capito l’atrocità che ho capito anch’io in questo passaggio? Cioè i guai sono iniziati quando gli schiavi e i sottomessi e diversi hanno preteso di essere uguali?:
di cui dicevo ha cominciato a sgretolarsi. La guerra scatenata dalle minoranze in cerca di riconoscimento (neri, donne, omosessuali, gender) contro il passato nazionale — dipinto da Cristoforo Colombo in poi come un ammasso di nequizie, di razzismo, sessismo ed oppressione — è stata fatta propria, divulgata e amplificata dai settori cruciali dell’intellettualità, dell’istruzione, dei media e dello spettacolo
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Se dovessi descrivere questo articolo con una sostanza, direi che si tratta di Alginato di sodio (fa parte degli ingredienti dei gelati industriali: dà tanto volume ma poca sostanza).
Apparentemente ha struttura e “forma” (argomenti storici, riferimenti, retorica), sembra denso e coerente, ma alla sostanza reale manca analisi critica dei fatti, contesto storico concreto e contraddizioni evidenti.
A differenza di questi — costituitisi per effetto di una lunga e tormentata vicenda che nei secoli ne ha plasmato l’identità — gli Stati Uniti, invece, sono nati come Stato e come nazione in conseguenza di un’audace operazione rivoluzionaria di natura tutta ideologica. Essi sono nati, potremmo dire, come uno «Stato ideologico» (o se si preferisce uno Stato intimamente legato a un mito politico)
Definire gli Stati Uniti come “Stato ideologico” è parzialmente vero, ma fu anche frutto di un retroterra europeo molto solido. I padri fondatori portavano con sé diritto inglese, filosofia illuminista e tradizione biblico-protestante.
Da un lato, un’idea radicale di libertà dell’individuo-cittadino, un’idea della libertà in quanto strumento anche del successo e della felicità personali, e dall’altro una profonda ispirazione religiosa fondata sul retaggio biblico-protestante che affidava alla nuova comunità una missione profetico-salvifica di portata mondiale («A Nation under God», una nazione sotto Dio, come un tempo si proclamava nel giuramento ufficiale di fedeltà agli Stati Uniti).
Parlare dell’America come nata da un’“idea radicale di libertà” e da un “retaggio biblico-protestante” ignora una contraddizione evidente: mentre si proclamava che “tutti gli uomini sono creati uguali”, milioni di persone erano schiave. Molti padri fondatori possedevano schiavi pur predicando libertà. La religione, indicata come collante morale, fu spesso usata per giustificare la schiavitù. L’“idea americana” era quindi un mito selettivo, valido solo per pochi e profondamente ipocrita, al punto tale che per squarciare questa ipocrisia si è dovuti passare attraverso una guerra civile, seguita da decenni di segregazione e terrorismo razziale (Ku Klux Klan), fino alle lotte del movimento per i diritti civili di Martin Luther King e Malcolm X. Ogni passo avanti fu conquistato con fatica, sangue e conflitti interni.
Ancora oggi l’uguaglianza resta largamente un principio più che una realtà. Le disuguaglianze economiche, razziali e sociali sono enormi, e i diritti civili e di genere possono essere messi in discussione da leggi o sentenze.
Proprio questa fortissima, compatta e onnipresente natura ideologica ha reso possibile la straordinaria capacità degli Usa di crescere assorbendo senza strappi ondate enormi di immigrazione.
Dire che gli Stati Uniti hanno assorbito gli immigrati grazie alla loro “fortissima natura ideologica” è una balla colossale. La ragione principale era pratica: serviva manodopera per costruire infrastrutture, sviluppare industrie e far crescere il Paese. L’ideologia americana esisteva, ma per la maggior parte degli immigrati contava poco; chi si trasferiva cercava lavoro e opportunità, non di abbracciare un mito politico. L’integrazione fu quindi più un processo economico e sociale che culturale.
Negli ultimi decenni, profondi cambiamenti culturali, tecnologici ed economici hanno accentuato differenze economiche, sociali, politiche, etniche e culturali; l’esaltazione dell’individualismo, unita a tutto ciò, ha portato a una frammentazione ulteriore della società e le istituzioni faticano a mediare tra visioni contrastanti su cosa significhi essere “americano”.
Senza un terreno comune di valori condivisi, cittadini e istituzioni lottano per trovare punti di coesione, creando instabilità e conflitti continui, un circolo vizioso che si autoalimenta.
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Dagli USA arrivò l’ordine di inginocchiarsi e al di qua dell’Atlantico alcuni giornalai e politici (VdL sul primo inginocchiato disponibile) si inginocchiarono e nacque il BLM terracqueo mondiale. Adesso morto Kirk c’è la new wave KLM
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