
(di Milena Gabanelli e Simona Ravizza – corriere.it) – Fra dieci anni, con pensioni verosimilmente sempre più basse per la maggioranza dei lavoratori, il Tfr potrà fare la differenza tra la sopravvivenza e una vita dignitosa. La quota di Tfr accantonata ogni anno si calcola dividendo la retribuzione annua lorda per 13,5 (art. 2120 Codice civile qui). Questa somma, pagata dal datore di lavoro e rivalutata annualmente, viene liquidata alla cessazione del contratto, che sia per pensionamento, dimissioni o licenziamento. Non sempre il lavoratore è consapevole, però, che l’importo finale della liquidazione dipende anche da dove viene accantonata. La questione è particolarmente di attualità.
La pensione di chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, verrà interamente calcolata sui contributi versati. Con la riforma Dini del 1995 (legge 335/95 qui) infatti il sistema pensionistico italiano ha abbandonato il metodo di calcolo retributivo per passare a quello contributivo. Una differenza non da poco. Con il retributivo la pensione viene calcolata sulla base degli ultimi stipendi, solitamente più alti rispetto all’inizio dell’attività lavorativa; con il contributivo, invece, l’importo della pensione è legato ai contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa. Questo significa che anni di lavori precari e stipendi bassi fanno media con stipendi più alti e vanno a ridurre in modo significativo l’assegno finale. Secondo il modello di calcolo stabilito proprio dalla legge 335/95, significa per esempio che nel 2036 un insegnante di scuola superiore con 40 anni di contributi e uno stipendio netto a fine carriera di 2.036 euro andrà in pensione con 1.650 euro netti. Per un impiegato con 1.754 euro la pensione sarà di circa 1.460 euro, mentre un responsabile vendite con uno stipendio di 2.413 euro riceverà 2.031 euro.
Quanto vale il Tfr
Questi calcoli mostrano quanto sia decisivo giocarsi nel migliore dei modi il Tfr, che nell’arco di una carriera può mediamente trasformarsi in 93.658 euro netti per un insegnante, 87.358 per un impiegato, 122.146 per un responsabile vendite. Gli importi rispecchiano le proiezioni del Fondo Tesoreria dell’Inps nel caso il Tfr sia lasciato in azienda, ma ci sono altre possibilità. In sostanza il valore finale dipende da come il lavoratore ha deciso di gestire il Tfr, e dalla sua propensione a prendersi dei rischi.
Le tre opzioni
La legge 252 del 2005 (articolo 8, comma 7 qui) prevede 3 opzioni.
1) Se entro sei mesi dalla prima assunzione non decidi a chi affidare il Tfr, la mensilità annua confluirà automaticamente nel fondo pensione stabilito dal contratto collettivo di riferimento. Si tratta di fondi che investono sui mercati finanziari e che, secondo il Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali guidato da Alberto Brambilla (su dati della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), negli ultimi 10 anni hanno registrato rendimenti medi compresi tra il 2,2 e il 2,9%, a seconda della tipologia e del livello di rischio.
2) Puoi scegliere in autonomia a quale fondo pensione affidarlo, tra i 291 attivi che oggi raccolgono quasi 10 milioni di iscritti.
3) Puoi decidere di lasciarlo in azienda con una rivalutazione annua dell’1,5% più il 75% dell’inflazione: se l’impresa ha più di 50 dipendenti, il Tfr viene trasferito al Fondo di Tesoreria dell’Inps (legge 296/2006, articolo 1, commi 755 e 756 qui). In questo caso l’incasso è sempre garantito anche se l’azienda fallisce. Tra il 2014 e il 2024 la rivalutazione media, sempre secondo Itinerari previdenziali su dati Covip, è stata del 2,4%. Oggi il Tfr vale complessivamente 445 miliardi di euro, ma solo il 24% è affidato ai fondi pensione, mentre la maggior parte (76%) resta nelle aziende. Cosa cambia concretamente tra queste due possibilità?
Differenze sugli anticipi
Se hai bisogno di un anticipo del Tfr per comprare casa puoi richiederlo, sia che sia stato destinato a un fondo pensione sia che sia rimasto in azienda, ma solo dopo 8 anni di lavoro/ contribuzione al fondo. Per le spese mediche, invece, la regola cambia: se il Tfr è in un fondo pensione l’anticipo può essere chiesto subito, mentre se è lasciato in azienda occorre attendere otto anni (qui).
Se il Tfr rimane in azienda puoi chiedere un anticipo fino al 70% dell’importo accumulato, con una tassazione che va dal 23 al 43% a seconda del reddito. Se invece è in un fondo pensione l’anticipo può arrivare al 75%. In questo caso l’imposta è fissa al 23%, ma scende tra il 9 e il 15% quando la richiesta è legata a spese mediche.
A differenza del Tfr lasciato in azienda, il fondo pensione consente di chiedere anticipi anche più volte e senza dover presentare una motivazione particolare, fino a un massimo del 30% a volta di quanto accumulato.
Cosa succede quando vai in pensione
La grossa differenza emerge al momento della pensione. Se il Tfr è rimasto in azienda, ricevi l’intero importo in un’unica soluzione e su quella somma paghi le imposte in base al tuo scaglione Irpef, con aliquote che vanno dal 23 al 43%, e non è prevista la possibilità di trasformarlo in una rendita mensile. Se invece il Tfr è stato versato in un fondo pensione, a fine rapporto puoi scegliere di incassare fino al 50% del capitale in un’unica soluzione e convertire il resto in rendita mensile, oppure trasformare l’intero importo in una rendita periodica. Per un insegnante, il tesoretto accumulato può trasformarsi in una rendita mensile di 409 euro, per un impiegato di 382 euro, mentre per un responsabile vendite può arrivare a 534 euro al mese.
È possibile cambiare idea?
Se decidi di lasciare il Tfr in azienda puoi comunque aderire a un fondo pensione in un momento successivo. Il trasferimento delle somme già accantonate, però, non è automatico: dipende dalla disponibilità dell’azienda. E c’è un limite importante. Quando il Tfr pregresso è stato versato dall’impresa — nel caso di aziende con più di cinquanta dipendenti — al Fondo di Tesoreria dell’Inps, la volontà del lavoratore e l’accordo con l’azienda non sono sufficienti per spostare quelle somme in un fondo pensione (vedi messaggio INPS 413/2020).
Al contrario, se decidi di aderire a un fondo pensione non puoi più tornare indietro e spostarlo in azienda, a meno che non cambi lavoro. È utile sapere però che, dopo due anni di adesione a una forma di previdenza complementare, c’è la possibilità di trasferire la propria posizione da un fondo pensione a un altro per qualsiasi motivo. Lo prevede il decreto legislativo 252 del 2005, che impone al fondo di provenienza di completare il trasferimento entro 6 mesi, senza alcuna penalizzazione.
In caso di decesso
In caso di decesso del lavoratore prima di aver maturato il diritto alla pensione integrativa, l’intera posizione individuale accumulata, al netto di imposte e spese, viene riscattata dagli eredi. Sia che il Tfr sia stato lasciato in azienda che messo in un Fondo. La Covip precisa che la destinazione della rendita invece dipende dalla scelta effettuata dall’aderente al momento della richiesta della prestazione complementare: solo chi ha optato per una rendita reversibile garantisce che, dopo la propria morte, l’erogazione continui a favore dei soggetti indicati. La rendita percepita ovviamente sarà inferiore. In caso contrario, con la morte dell’aderente il rapporto si chiude e non sono previste reversibilità per i familiari.
Perché informarsi
In definitiva, le aziende con meno di cinquanta dipendenti non hanno alcun interesse ad informare i lavoratori, perché il Tfr lasciato in azienda garantisce loro liquidità. Allo stesso modo lo Stato non ha convenienza a spingere verso i fondi pensione, dal momento che le somme versate al Fondo di Tesoreria dell’Inps vengono utilizzate per la spesa corrente. Proprio per questo è fondamentale che i lavoratori dispongano di informazioni chiare e complete, così da poter scegliere in modo consapevole la soluzione più adatta a loro.
dataroom@corriere.it
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La Gabbianella ha firmato la brochure pubblicitaria sui fondi pensione perchè i padroni vogliono che i lavoratori non avranno più diritti ma opportunità tra cui “scegliere in modo consapevole la soluzione più adatta a loro”.
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Da ventennale spettatore di Report ho un ottimo ricordo della Gabanelli, mi spiace vederla adesso relegata al ruolo di Promoter a libro paga del potente di turno.
L’articolo di per se è vero; nel senso che non contiene errori fattuali. Il problema è che è parziale.
Quando si fa un investimento, qualunque esso sia, si guardano due aspetti il rendimento, che l’articolo descrive bene, e il grande assente: IL RISCHIO.
Al contrario, se decidi di aderire a un fondo pensione non puoi più tornare indietro e spostarlo in azienda, a meno che non cambi lavoro.
Se un fondo è così bello, così buono perché non devo avere la possibilità di tornare indietro? Se le cose vanno bene sono il primo a tenermelo, perché se le cose vanno male o se trovo di meglio non posso lasciarlo? Perché lo istituisci infilandoci dentro una sorta di “effetto nassa” ?
Nei fondi chiusi, l’aderente subisce un vincolo strutturale: non può ritirare liberamente il capitale se la gestione si dimostra rischiosa o i rendimenti deludenti. Questo “effetto nassa” aumenta il rischio complessivo e viene ignorato dall’articolo, che enfatizza solo i vantaggi fiscali e la possibilità di rendita mensile.
Altro aspetto non di poco conto
Formalmente, i fondi pensione devono fornire rendiconti e prospetti ai propri iscritti.
Tuttavia, la comunicazione è spesso complessa e difficile da interpretare, soprattutto con il livello medio di alfabetizzazione finanziaria in Italia.
Questo significa che un lavoratore può sottoscrivere un fondo senza comprendere appieno rischi, costi impliciti e composizione degli investimenti, scoprendo eventuali problemi solo a conclusione dei giochi.
Però c’è il “rimedio”, la COVIP.
L’articolo presenta la COVIP come garante della correttezza dei fondi, ma la vigilanza è prevalentemente formale e prudenziale, non interviene sulle scelte di investimento dei fondi né può garantire rendimento o tutela completa del lavoratore.
La COVIP non elimina il rischio di gestione inefficiente né protegge l’aderente dalle oscillazioni di mercato o da strategie aggressive dei fondi.
La Covip dipende dallo Stato per finanziamenti e nomine: il Presidente e i membri sono nominati dal governo.
Per chi ha seguito la vicenda MPS/Mediobanca, se la contestualizza all’articolo, dovrebbe essere molto più di un campanello d’allarme.
le nomine dei vertici COVIP affidate a Meloni e Salvini; come far custodire la casa dai ladri.
L’unica in grado di porvi rimedio è la magistratura , ma questa interviene solo in casi estremi e quando la possibilità di riprendersi il maltolto è molto molto bassa.
Infine, va ricordato che i problemi degli assegni pensionistici derivano dalla bassa produttività e dalla demografia da incubo . La pensione integrativa può aiutare, ma è una tachipirina, non una cura: utile solo come rimedio temporaneo, non per risolvere la malattia di fondo del sistema.
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Pare che la storia degli scandali dei fondi pensione USA, faro dell’Occidente e meta ideale di ogni costrutto, sia irrilevante.
Se si rompe il patto pensionistico sociale e si segue l’America nel suo burrone di sanità, fondi pensionistici (ricordiamoci quando li investivano nei subprime), acquisto liberalizzato delle armi etc…non c’è altro epilogo del burrone stesso anche per noi. Sarebbe più onesto, da parte dello Stato che si arrende, consentire all’investitore nel fondo pensionistico di gestirlo come un investimento finanziario a tutti gli effetti, invece di continuare a vincolarlo pregando di ritrovarsi con qualcosa nella sua vecchiaia, o che sia libero di ritirare i contributi pensionistici e farci ciò che ritiene più opportuno, sarebbe più onesto. Questa è come la storia della nuova mungitura dell’assicurazione per le imprese sulle catastrofi naturali, con la franchigia del primo 15% e lo scoperto dell’ultimo 15% e l’obbligo di ricostruire nell’area danneggiata, anticipando i costi, e poi fare richiesta per ottenere un rimborso spese. Quindi per la maggior parte dei danni che si verificano nel primo 15% paghi tu, se invece viene un cataclisma totale che ti sbraca l’azienda sei obbligato a ricostruire prima di poter richiedere il 60/70% del montante complessivo. Quindi è una tassa ulteriore sulle imprese che non assicura da una cippa.
E se il cataclisma sbraca un’intera area? Le compagnie assicurative pagheranno? Bah
E in caso di guerra invece, molto più probabile ormai di quanto ci augurassimo? Nessuno ne risponde.
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Tu sollevi un tema importante: è l’asimmetria di comportamenti che c’è tra chi riceve soldi (il fondo) e chi i soldi li da (l’aderente); impresa o singolo cittadino.
Il primo è libero di fare e disfare a suo piacimento, il secondo invece di trova ingabbiato in una serie di vincoli di varia natura.
Quanto al fatto che i fondi investano in imprese che operano nella produzione di armi: l’obiettivo primario del fondo è quello di garantire la remunerazione dei suoi aderenti, non investe in armi perché “crede nella causa”, lo fa perché al momento può essere conveniente farlo.
Probabilmente tu. come il sottoscritto, non aderisci a nessun fondo; ma mettiti nei panni di un operaio che con la crisi generalizzata e diffusa che c’è, oggi si vede garantito il suo “tesoretto” dal fatto che il fondo cui aderisce ha investito in armi; pensi che farebbe le tue stesse osservazioni?
Magari è lo stesso operaio che partecipa pure alle marce per la pace.
Magari è lo stesso operaio che si lamenta perché non si fa una seria lotta all’evasione fiscale e quando gli arriva a casa l’idraulico pone la fatidica domanda: e senza fattura quanto?
Schizofrenico vero?
Ma questa è la realtà
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La sig.ra mescola un po’ le mele con le pere. La storia del ” contributivo/ retributivo” è un BALLA mediatica. L’ineffabile R. nell’aprile del 2015 ha cambiato le regole: è l’INPS a decidere quale metodo applicare purché l’ente risparmi e il pensionato prenda di MENO ( è capitato a me). Il Tfr rappresenta una somma distinta e a parte che non dovrebbe essere confusa con l’assegno pensionistico.
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Non ho capito.
Cosa avrebbe fatto Renzi nel 2015?
Spiegati meglio, cosa decide l’INPS?
Per metodo ti intendi contributivo/retributivo?
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Egregio, durante il governo di R.( aprile 2015) una circolare dell’INPS – zitta, zitta – dettava le nuove regole: non si era più legati indissolubilmente ai sistemi contributivo/ retributivo bensì, semplicemente, era l’Ente che stabiliva quale metodo applicare. Il risultato, infatti, doveva essere quello più favorevole all’INPS a detrimento del pensionato. Trovo, pertanto, ridicolo il richiamo ai due sistemi, poiché si tratta – come ho scritto – di una balla mediatica. Ciao !
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Ok grazie adesso è un po pouchiaro di coss si tratta stasera andro a verificare
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No, la storia del retributivo/contributivo non è una balla mediatica; è reale.
Ho capito a cosa ti riferisci; si tratta della circolare n° 74 del 10 aprile 2015 che è stata emanata dall’INPS a seguito all’introduzione della Legge di Stabilità del 2015, targata appunto Renzi.
Cosa dice questa circolare? Parla del “doppio calcolo”
Per i lavoratori che, alla fine del 1995, hanno almeno 18 anni di contribuzione e che maturano la pensione con il regime misto (sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011, contributivo da gennaio 2012), si introduce un meccanismo di “doppio calcolo
In cosa consiste: Si confrontano il calcolo della pensione con le regole attuali (quota retributiva fino al 2011, quota contributiva dal 2012) da un lato e dall’altro un calcolo “virtuale” come se tutta la contribuzione fosse stata valutata col metodo retributivo (anche dopo il 2012), usando però unicamente l’anzianità contributiva necessaria per avere diritto alla pensione, integrata da quella maturata fra il momento in cui si ha diritto e l’effettiva decorrenza della pensione.
Si paga l’importo minore dei due; poi ci sono altre norme e deroghe.
Quindi si, quella circolare penalizza i lavoratori,
Adesso mi è tutto chiaro, dal tuo commento posso capire che sei stato (o sei) tra quelli penalizzati.
Resta da dire che l’INPS non c’entra nulla; ha solo applicato una legge emanata da Renzi e non aveva ( come non ha adesso) nessun mezzo per opporsi.
Da queta vicenda di domande senza risposta ne emergono molte, ma meglio lasciar perdere; pensare nuoce gravemente alla salute.
Rincuora sapere che su questo articolo ci sono 14 commenti; su quelli di Travaglio ce ne saranno quanti una novantina in questo momento?
Vuoi mettere le dotte discussioni sulla lacca di VdL o sul doppiopesismo occidentale?
Credo che l’età media dei frequentatori di Infosannio sia di 25 anni.
E poi dissertano con convinzione e cognizione sul come mai l’Italia come anche la Francia si trovano nella m3rda.
Almeno tu adesso lo capisci come si fa in fretta a finire nella m3rda?
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No, la storia del retributivo/contributivo non è una balla mediatica; è reale.
Ho capito a cosa ti riferisci; si tratta della circolare n° 74 del 10 aprile 2015 che è stata emanata dall’INPS a seguito all’introduzione della Legge di Stabilità del 2015, targata appunto Renzi.
Cosa dice questa circolare? Parla del “doppio calcolo”
Per i lavoratori che, alla fine del 1995, hanno almeno 18 anni di contribuzione e che maturano la pensione con il regime misto (sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011, contributivo da gennaio 2012), si introduce un meccanismo di “doppio calcolo
In cosa consiste: Si confrontano il calcolo della pensione con le regole attuali (quota retributiva fino al 2011, quota contributiva dal 2012) da un lato e dall’altro un calcolo “virtuale” come se tutta la contribuzione fosse stata valutata col metodo retributivo (anche dopo il 2012), usando però unicamente l’anzianità contributiva necessaria per avere diritto alla pensione, integrata da quella maturata fra il momento in cui si ha diritto e l’effettiva decorrenza della pensione.
Si paga l’importo minore dei due; poi ci sono altre norme e deroghe.
Quindi si, quella circolare penalizza i lavoratori,
Adesso mi è tutto chiaro, dal tuo commento posso capire che sei stato (o sei) tra quelli penalizzati.
Resta da dire che l’INPS non c’entra nulla; ha solo applicato una legge emanata da Renzi e non aveva ( come non ha adesso) nessun mezzo per opporsi.
Da queta vicenda di domande senza risposta ne emergono molte, ma meglio lasciar perdere; pensare nuoce gravemente alla salute.
Rincuora sapere che su questo articolo ci sono 14 commenti; su quelli di Travaglio ce ne saranno quanti una novantina in questo momento?
Vuoi mettere le dotte discussioni sulla lacca di VdL o sul doppiopesismo occidentale?
Credo che l’età media dei frequentatori di Infosannio sia di 25 anni.
E poi dissertano con convinzione e cognizione sul come mai l’Italia come anche la Francia si trovano nella m3rda.
Almeno tu adesso lo capisci come si fa in fretta a finire nella m3rda?
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La Gabanelli sembra persa.
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Purtroppo si
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La Gabbianella “si è persa” completamente la sua credibilità con il killeraggio di Di Pietro (pace all’anima sua, ormai è rimbecillito, crede alla Coldiretti e alla Fata Gioggina)
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@peppino casella: anche quando caldeggiava l’eliminazione del denaro contante non dava segni di particolare centratura, ma lì si poteva giustificare con l’illusione di togliere potere a evasori e criminali, anche se pure un bambino poteva intuire i risvolti di una completa sovranità di governi e banche sulla gestione economica del singolo….. si guardi a esempio ultimo quello della vicenda Francesca Albanese, senza contanti oggi farebbe la fame e invece può almeno contare sulla solidarietà degli amici ( anche se su questo Dante ha espresso il sentimento che si prova, costretti a questo favore altrui :
“Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.”).
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