Il combinato tra demografia (la popolazione invecchia) e legge Fornero (si va in pensione più tardi) fa sì che gli ultra 50enni stabiliscano “record”, mentre i giovani stagnano o calano

(di Roberto Rotunno – ilfattoquotidiano.it) – I posti di lavoro in Italia continuano a salire, ma quasi esclusivamente grazie all’aumento degli occupati con oltre 50 anni di età. Come è possibile? Sembra un’assurdità, ma è così. La crescita cui stiamo assistendo nel nostro mercato del lavoro non è segno dell’età dell’oro di cui parla il governo Meloni, ma prima di tutto la conseguenza di due fattori: quello demografico “trascina” sempre più persone nella fascia over 50; quello previdenziale, l’innalzamento dell’età pensionabile, le trattiene al lavoro. Ogni mese l’Istat mostra un aumento di occupati con incrementi enormi tra gli over 50 mentre nelle fasce più giovani vediamo avanzamenti miseri o persino riduzioni.
Guardiamo i dati di luglio. Su base annuale, gli occupati sono cresciuti di 218 mila. Segno che l’economia è ancora in espansione, come avviene dal 2021, anche se negli ultimi mesi ha rallentato con il Pil che ha segnato -0,1% nel secondo trimestre 2025.
Sempre nell’ultimo anno, gli occupati over 50 sono saliti di 408 mila, mentre nella fascia 35-49 anni sono addirittura scesi di 160 mila. Come è spiegabile? Torniamo ai due fattori, demografico e previdenziale, che agiscono ai due estremi. La popolazione sta invecchiando e ogni mese aumentano gli over 50; quindi sale fisiologicamente il numero di occupati che entrano nella fascia over 50. Questo aumento, però, non sarebbe così grande se non intervenisse anche il fattore all’altro estremo: la salita dell’età pensionabile che blocca l’uscita dei sessantaduenni, sessantatreenni, sessantaquattrenni etc… Se l’età pensionabile fosse più bassa, le maggiori uscite mitigherebbero l’effetto demografico sui dati sul lavoro, con minore crescita tra gli over 50.
Guardiamo ora i 35-49enni. In questa fascia, la popolazione si riduce, perché i neo-trentacinquenni che entrano sono meno dei neo-cinquantenni che escono. Su base annuale, diminuiscono tutte le componenti: -160 mila occupati, meno mille disoccupati e -83 mila inattivi (quelli che non cercano nemmeno un lavoro). In questa fascia, malgrado la sensibile riduzione di occupati, il tasso di occupazione – che è una percentuale – è invece cresciuto dello 0,3%, arrivando al 77,6%. Anche in questa fetta di popolazione agiscono due elementi: la demografia, che fa calare il numero di persone, e la crescita che, seppur lentamente, fa aumentare le assunzioni delle imprese.
Come è possibile, quindi, che il tasso di disoccupazione generale continui comunque a scendere, malgrado la gran parte dell’aumento di occupazione sia dovuto all’innalzamento dell’età pensionabile che mantiene gli anziani al lavoro? Anche questo è dovuto a una diversa dinamica nelle varie fasce d’età. Premessa: la disoccupazione può diminuire sia per l’aumento dell’occupazione sia per l’aumento dell’inattività. Infatti, se le persone smettono di cercare un posto, diventano inattive e questo fa calare la disoccupazione, ma non è affatto positivo. Nell’ultimo anno, il tasso di inattività degli over 50 è calato di molto (-1,3%), nei 35-49enni è migliorato molto poco (-0,3%), mentre è salito – quindi peggiorato – dello 0,4% nei 25-34enni e dell’1,7% negli under 24. Mentre gli over 50 fanno scendere la disoccupazione grazie all’aumento degli occupati, i gruppi più giovani la fanno calare grazie alla crescita degli inattivi, cioè delle persone che rinunciano a cercare lavoro. Lo conferma Giorgio Alleva, economista ed ex presidente Istat: “Negli ultimi tre mesi – spiega al Fatto – gli occupati sono aumentati significativamente solo per gli over 50, e i disoccupati sono leggermente aumentati in tutte le classi di età. Gli inattivi sono invece molto aumentati tra i giovani (15-24 e 25-34 anni di età), cosa non certo positiva, e diminuiti per le altre classi (35-49 e 50 e oltre)”. Alleva tiene però a specificare che i dati mensili vanno letti con cautela, e che per comprendere la dinamica del mercato del lavoro bisogna “leggere, unitamente a quei dati, su base almeno trimestrale, le ore lavorate e le retribuzioni”.
Ha poco senso vantarsi dei record di occupati in un Paese che da decenni occupa gli ultimi posti nel confronto europeo. Il governo Meloni però insiste nell’enfatizzare i numeri. La crescita c’è, è innegabile, ma è stata trainata dall’edilizia e dai servizi; la produzione industriale è invece in calo da due anni. Da quando Meloni siede a Palazzo Chigi, gli occupati sono cresciuti di 1 milione e 147 mila. Nella fascia over 50, sono saliti di 1 milione e 172 mila. Per i motivi appena detti, la crescita di occupati nella popolazione anziana è addirittura superiore all’intera crescita generale. La disoccupazione nella fascia tra 25 e 34 anni è ancora alta, all’8,4%. Con questi dati, un osservatore serio avrebbe ben poco da esultare.
Per conoscere i dati reali ed effettivi dell’andamento dell’occupazione, invece di incaricare l’Istat di elaborare statistiche mensili, basate su interviste, sondaggi praticamente, il governo potrebbe estrarre i dati reali dalle banche dati dell’Inps, dell’Inail e delle Camere di Commercio e verificare quante nuove posizioni lavorative vengono create, quali tipologie e quante ne spariscono ogni anno. Tutti coloro che invece non svolgono nessun lavoro (disoccupati registrati presso l’ufficio di collocamento, disoccupati inseriti nelle liste delle agenzie di collocamento, disoccupati non inseriti in nessuna lista e disoccupati in cassaintegrazione) dovrebbero invece essere ovviamente considerati disoccupati.
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L’Istat oltre a fare rilevazioni dirette su campioni della popolazione si basa anche su dati di provenienza da istituzioni quali quelle che citi.
Per i dati su disoccupazione cita ovviamente l’INPS.
Per i dati su infortuni sul lavoro, malattie professionali cita L’INAIL ( che non può fornire dati sull’occupazione)
Per vedere la distribuzione di addetti per settore cita le camere di commercio ( registro per le imprese).
Quindi non è che non lo fa già, lo fa eccome,
Tutti coloro che invece non svolgono nessun lavoro (disoccupati registrati presso l’ufficio di collocamento, disoccupati inseriti nelle liste delle agenzie di collocamento, disoccupati non inseriti in nessuna lista e disoccupati in cassaintegrazione) dovrebbero invece essere ovviamente considerati disoccupati.
Non esiste il secondo me o il secondo qualcun altro; esistono norme ben precise; il primo è questo.
ILO – International Labour Organization
Risoluzione della 13ª Conferenza Internazionale degli Statistici del Lavoro (ICLS), 1982; ha definito le categorie fondamentali di occupati, disoccupati e forza lavoro.
Aggiornata poi con la 19ª ICLS, 2013, che ha introdotto chiarimenti sulle varie forme di lavoro (es. lavoro informale, lavoro autonomo, attività di cura, ecc.).
Poi
Risoluzione della 13ª Conferenza Internazionale degli Statistici del Lavoro (ICLS), 1982 → ha definito le categorie fondamentali di occupati, disoccupati e forza lavoro.
Aggiornata poi con la 19ª ICLS, 2013, che ha introdotto chiarimenti sulle varie forme di lavoro (es. lavoro informale, lavoro autonomo, attività di cura, ecc.).
Regolamento (CE) n. 577/98 del Consiglio; istituisce l’indagine europea sulle forze di lavoro (EU-LFS).
Regolamento (UE) 2019/1700 del Parlamento europeo e del Consiglio: stabilisce il quadro integrato per le statistiche sociali, inclusa l’indagine sulle forze di lavoro.
Atto di esecuzione Reg. (UE) 2019/2240 con le specifiche tecniche.
Non è difficile: leggere, comprendere, informarsi e poi scrivere.
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Fonte: Istat https://share.google/AoJufQaNnm6ocFzUo
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Scusami, non tenere conto del precedente link, se avessi tempo dai un’occhiata a https://www.istat.it/notizia/informazioni-generali/ anche perché non è difficile, leggere, comprendere, informarsi e poi scrivere.
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Quando dico leggere intendo dire leggere tutto, compreso quello che non fa comodo per sostenere il proprio punto di vista
Il mercato del lavoro
Portale Inps – Note trimestrali sulle tendenze dell’occupazione
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”La crescita c’è, è innegabile, ma è stata trainata dall’edilizia” Chissà come mai?
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Per fare una verifica seria sull’andamento dell’occupazione non ci si dovrebbe basare sul numero e sulla percentuale di disoccupati e inattivi, ma sul numero reale di occupati calcolati considerando 1 unità un occupato che lavora a tempo pieno per tutto l’anno.
Se, per esempio, il lavoro che prima veniva svolto per tutto l’anno da 1 persona a tempo pieno viene ora svolto da 2 persone in part time involontario o addirittura da 3 il numero per quella tipologia di occupati magicamente raddoppia o triplica. La stessa cosa succede per i lavori cosiddetti intermittenti. Se consideriamo occupata 1 persona che magari ha lavorato solo una parte del tempo preso in considerazione (1 giorno in una settimana, una settimana in un mese, etc.) e poi viene sostituito con un altra persona, anche in quel caso il dato viene drogato.
Se in Italia fosse tutto questo bengodi che ci vogliono far credere non si capisce perchè una così stragrande parte dei giovani (soprattutto quelli con un alto grado di istruzione) se ne va a cercare lavoro all’estero.
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Ottime osservazioni.
Tuttavia le metodologie statistiche cle decrivono il fenomeno rispondono a standard internazionali e ciò petmette di fare anche comparazioni tra stati.
Inoltre le statistiche fanno anche la suddivisione tra tipologie contrattuali ( part time full time indeterminato ecc ecc)al di là di quelle che sono poi le interpretazioni strumentali che la politica ne fa, chi vuole li può andare a verificare e farsi comunque un quadro chiaro.
Il motivo per cui i giovani ( e non) con alto grado di istruzione vanno via dipende da altri fattori secondo me: il primo è legato alle retribuzioni; il secondo è legato alla medianente bassa dimensione d’impresa.
Nelle PMI sono molto in voga i concetti di mio padre e mio nonno hanno sempre fatto così; il risultato è che un giovane laureato ogni giorno che va al lavoro si chiede che cosa ha studiato a fare visto che il nonno e il padre hanno sempre fatto cosi.
Arriva un certo momrnto in cui il giovsne inizia a capire che avendoo fatto cosi da sempre , la barca affonda e giustamrnte se la svigna.
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Certamente. Hai ragione. Ma quanta gente va a verificare i dati per farsi un quadro chiaro della situazione relativa all’occupazione. Molto poca. Il messaggio che passa è quello veicolato dalla politica attraverso i suoi mainstream dell’informazione che è quasi tutta controllata dalla politica. Giornali, televisione che sono la stragrande maggioranza delle fonti dove la gente comune si abbevera di informazioni, invece di rappresentare la realtà la distorcono per come conviene a chi comanda.
Per quanto riguarda i giovani che se ne vanno all’estero, sicuramente, come dici tu, il problema principale è legato alle retribuzioni basse, ma secondo me anche a una tipologia di lavoro offerto molto precario (credo che in nessun altro paese esistano così tante tipologie di contratti di lavoro precari come in Italia).
Che futuro può avere, che prospettive per un giovane, magari laureato, a cui offrono contratti a tempo determinato, stage non pagati, contratti part time involontario, contratto a chiamata (o intermittente), somministrazione di lavoro e le varie forme di lavoro autonomo o collaborativo come le partite IVA (soprattutto quelle finte), collaborazioni coordinate e continuative, etc._ Con questa situazione come fa un giovane a costruirsi una famiglia, ad avere un futuro? Che tutela avrà quando sarà anziano?
Certo vanno all’estero dove per lo stesso lavoro che svolgono in Italia le retribuzioni sono 3 o 4 volte superiori e anche se la vita è più cara possono costruirsi una carriere e un futuro.
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Tra l’altro da quando c’é Gioggia usciti dall’Italia oltre 300.000 giovani (quanti rientrati?) e calato il livello delle nascite da 420.000 a 380.000.
Questi successi Gioggia non li conteggia?
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lei è mamma per i. Fatti suoi e non ha problemi di disoccupazione!
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