
(Giuseppe Gagliano – lafionda.org) – Alle celebrazioni e ai grandi convegni europei, i richiami alla pace non mancano mai. Si parla dell’Unione come di un’area che ha garantito stabilità e prosperità ai popoli, come se Bruxelles fosse di per sé un antidoto ai conflitti. Ma la verità, se si scende dal livello della retorica a quello dei fatti, appare ben diversa.
L’Unione non fa guerre, gli Stati sì
È corretto affermare che l’Unione Europea, come entità, non ha mai dichiarato guerre. Non ne ha gli strumenti, non dispone di un comando militare unico né di una personalità giuridica che le consenta di agire come uno Stato sovrano. Ma è altrettanto vero che i suoi membri hanno partecipato, spesso con ruoli da protagonisti, a conflitti sanguinosi: dalla Jugoslavia nel 1999 all’Iraq nel 2003, fino alla Libia nel 2011-2012. Guerre condotte non sotto una bandiera europea, ma con la piena complicità di Stati che siedono oggi ai tavoli comunitari.
L’ambiguità della retorica ufficiale
Quando si sostiene che “l’Europa è un’area di pace”, si omette un punto decisivo: l’Europa non è uno Stato, ma una somma di Stati che hanno politiche estere e militari autonome, spesso integrate nella Nato. Da Londra a Parigi, da Berlino a Roma, gli eserciti europei hanno preso parte a conflitti che nulla avevano a che fare con la difesa collettiva, ma molto con gli interessi geopolitici e le pressioni atlantiche. La famosa battuta di Kissinger – “qual è il numero di telefono dell’Europa?” – resta attuale.
La nuova ideologia dei valori
Oggi la narrativa ufficiale cerca un nuovo nemico: le cosiddette “autocrazie”. La contrapposizione morale tra un’Europa dei valori e un mondo non democratico è diventata la formula ricorrente. Ma si tratta di una costruzione fragile. La Cina, ad esempio, viene spesso descritta come minaccia, mentre nel dibattito internazionale appare sempre più come un attore che punta all’equilibrio, non allo scontro. Altri giganti come l’India trovano in Pechino un riferimento inevitabile. Parlare di superiorità morale europea, dunque, non significa analizzare la realtà, ma continuare una propaganda già logora.
La crisi dei “valori occidentali”
Da anni si invoca la categoria dei “valori occidentali” per giustificare scelte politiche e militari. Ma oggi questa formula vacilla. La ragione è semplice: l’alleato americano, che di quei valori era il principale custode, è diventato spesso un interlocutore conflittuale. Le divergenze su energia, commercio, sicurezza mostrano una frattura profonda tra Stati Uniti ed Europa. Parlare di un Occidente unito appare sempre più anacronistico.
L’Europa incompiuta
Il cuore del problema è che l’Europa resta incompiuta. Non ha scelto di diventare uno Stato federale. In campo militare, si fa guidare da una Gran Bretagna che nemmeno appartiene più all’Unione. Sul piano economico, è divisa tra chi vuole assecondare Washington e chi preferirebbe rapportarsi con Mosca o con Pechino in modo autonomo. In questo scenario, il destino del continente non sarà deciso a Bruxelles, ma altrove.
Un continente sospeso
L’Europa parla di pace, ma vive in guerra. Rivendica valori comuni, ma non sa più definirli. Invoca unità, ma è divisa tra interessi divergenti e pressioni esterne. Così, mentre si moltiplicano i richiami solenni, l’Unione scivola in una condizione sospesa, incapace di guidare il proprio futuro. E rischia di restare prigioniera delle decisioni altrui, ridotta a cornice istituzionale di una storia che si scrive altrove.
Quest’Europa con la Germania egemone ha mostrato i suoi limiti e, a oggi, è finita. Occorrerà armarsi di coraggio e buona volontà e ricominciare.
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La RUSSIA sta lanciando una potentissima offensiva. Rischio crollo fronte. Nel mentre numeri record di lanci missilistici sull’Ucraina.
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