Non ha torto il nostro lettore Augusto Secchi quando osserva che tra chi accusa Emilio Fede di avere sdoganato un tipo di giornalismo apertamente schierato spesso troviamo […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Non ha torto il nostro lettore Augusto Secchi quando osserva che tra chi accusa Emilio Fede di avere sdoganato un tipo di giornalismo apertamente schierato spesso troviamo “gli epigoni di questo genere di giornalismo che, ovviamente non è giornalismo, a meno che piaggeria e adulazione non siano sinonimi di informazione”. Infatti, il tanto deriso “Emilio Fido”, per la sua cieca e totale devozione al presidente-padrone Silvio Berlusconi, ha fatto talmente scuola che oggi dell’appartenenza a questa o a quella chiesa politico-partitica non solo non ci si vergogna affatto ma anzi essa fa curriculum nel casting dei talk televisivi. Salotti dove l’ospite è preferibile che manifesti una consolidata militanza a favore del governo, o dell’opposizione, altrimenti serve a poco. Forse, un giorno, quando si studieranno le cause profonde che hanno portato alla scomparsa dei fatti per non disturbare le opinioni (Marco Travaglio, 2006) e dunque all’evaporazione dello spirito critico nell’informazione, Emilio Fede verrà considerato un caposcuola.

A parte l’antica tradizione nostrana fondata sul servo encomio e sul codardo oltraggio tutto forse cominciò nella stagione in cui per contrapporsi al berlusconismo, sempre più invadente e prepotente, l’opposizione cartacea e non diede vita a forme di antiberlusconismo assoluto e compulsivo (a cui pure chi scrive diede il suo fattivo contributo). Generando non soltanto un’informazione orgogliosamente faziosa e manichea (bianco e nero, buoni e cattivi, amici e nemici) ma anche un uso spudorato dell’aggettivazione, vistosamente incapace di contenersi soprattutto nell’apologia dei propri eroi. Saltando di palo in frasca (ma mica tanto) è lecito chiedersi, per esempio, se onde magnificare la grandezza planetaria di Giorgio Armani fosse proprio necessario procedere alla estrema unzione spalmata e celebrata dagli estremi untori in ogni dove, quale quella che abbiamo letto e ascoltato nelle ore successive alla illustre dipartita? Un’orgia dionisiaca di iperboli che ha perfino coinvolto la famosa giacca destrutturata, concepita anch’essa, si presume, dall’ispirazione “democratica e antifascista” (“La Stampa”) del geniale stilista (resa politicamente trasversale dal comune omaggio tributato sul “Corriere della Sera” sia da Giorgia Meloni che da Lilli Gruber). Così come, divagando tra gli entusiasmi francamente eccessivi colpiva nella telecronaca di Italia- Estonia la foga dei commentatori nell’esaltare le giocate degli Azzurri eroicamente opposti alla povera nazionale numero 126, o giù di lì, nel rating mondiale (dopodiché i titoli dei giornali erano tutti un Ringhio di qua e un Ringhio di là).

Commemoriamo dunque la scomparsa dello spirito critico, quello capace di spernacchiare qualsiasi celebrazione turibolare in onore di qualunque umana divinità, vera o imposta. E di cui oggi sopravvive, purtroppo solo nella tradizione orale, quel grido di rivolta fantozziana che, finalmente, prorompe sul conto della corazzata Potëmkin: una cagata pazzesca. Tutto il resto è noia (e ce la prendiamo con Emilio Fede?).