La scena è facile da prevedere in un qualsiasi salotto televisivo, da qui all’ultima settimana di novembre. Quasi certamente lunedì 24. Quel giorno infatti si completerà l’estenuante […]

(di Fabrizio d’Esposito – ilfattoquotidiano.it) – La scena è facile da prevedere in un qualsiasi salotto televisivo, da qui all’ultima settimana di novembre. Quasi certamente lunedì 24. Quel giorno infatti si completerà l’estenuante calendario delle elezioni regionali (Marche, Valle d’Aosta, Calabria, Toscana, Puglia, Campania e Veneto) e gli esponenti di maggioranza e opposizione si dedicheranno esclusivamente alla conta delle rispettive bandierine, perdendo di vista, ancora una volta, il dato più forte che probabilmente uscirà dalle urne: la vittoria del partito del non voto. Un fattore ormai endemico del nostro sistema politico e che può trascinare la democrazia in una fase più che critica, “potenzialmente autodistruttiva”, e tendente a regimi di autoritarismo della maggioranza in prevalenza di destra (nazional-populismo).

A sostenerlo è Federico Fornaro nel suo ultimo saggio per i tipi di Bollati Boringhieri: Una democrazia senza popoloAstensionismo e deriva plebiscitaria nell’Italia contemporanea. Fornaro è uno storico, un autorevole studioso dei risultati elettorali nonché un deputato dem di tradizione socialdemocratica. Ma la lettura del suo libro è consigliabile a tutta la politica ché è una analisi oggettiva e spietata della crisi della democrazia rappresentativa in Italia, in un periodo che peraltro segna “il drammatico ritorno dell’uso dello strumento della guerra nello scenario geopolitico planetario”.

Il titolo del volume evoca il celebre saggio di Maurice Duverger, La democrazia senza popolo, anno 1968, e fissa un dato clamoroso del “disincanto democratico” che vive il nostro Paese: alle ultime Politiche, quelle del 2022, l’astensionismo ha sfondato il muro del 30 per cento, assestandosi al 36,09, record assoluto dal 1946. Per non parlare delle elezioni europee e locali, laddove i votanti sovente sono sotto al 50 per cento. Altri dati: dal 2008 a oggi, i due partiti di sistema di allora, Pd e Forza Italia, hanno perso 18 milioni di voti, pari al 40 per cento degli aventi diritto di voto alle Politiche. E così l’Italia da Paese modello virtuosissimo di civismo elettorale (affluenza dell’87,3 nel 1992) si trova a essere uno degli Stati europei con una drammatica crisi dell’affluenza. Per Fornaro i tarli che corrodono la nostra democrazia sono quattro: “Diseguaglianze, perdita di memoria storica, avvelenamento dei pozzi della conoscenza, rancorosa paura del futuro”. Risultato: nel 2023, il 58 per cento degli italiani era a favore di un leader forte (Rapporto LaPolis-Università di Urbino), mentre il 68,5 riteneva che “le democrazie occidentali non funzionano più” (Censis). Ma che colore, politico e sociale, ha l’astensionismo di oggi, tenendo presente, incredibile a dirsi, che tuttora il 35 per cento degli italiani (dato Ocse) rientra nell’analfabetismo funzionale (in pratica, non capisce quello che legge)? Prima novità: a partire dalle elezioni del 2013, dopo la “tempesta perfetta” scatenata dall’infausto governo di Mario Monti, sulla scena ha debuttato l’astensionista intermittente, cioè il cittadino che decide solo nell’ultima settimana di campagna elettorale. Accanto, quindi, al 20 per cento di astensionismo apatico (e cronico) oggi l’astensionismo intermittente copre il 40 per cento degli aventi diritto. E senza dimenticare che il rimanente 40 fedele alle urne si caratterizza sempre più per l’alto tasso di volatilità elettorale, cioè di infedeltà. Di qui i picchi raggiunti nell’ultimo decennio da Renzi, grillini, Salvini e adesso Meloni. Questo quadro ci dice chiaramente, anche a proposito delle prossime Regionali, che oggi in Italia esistono due grandi minoranze che si contendono la metà degli italiani che vanno a votare. In passato una corrente di studiosi indicava nell’astensionismo un fattore positivo, indice di “un’apatia da benessere”. Oggi la realtà dice il contrario: c’è una rabbia sociale forte e trasversale, spinta propulsiva per Fornaro per i populismi di oggi, completamente diversi da quelli del Novecento (il rischio, appunto, in alcuni casi è la democratura non un ritorno al fascismo tout court). Del resto, l’altra novità è l’astensionismo di classe (contrapposto al voto di classe di un tempo). A disertare le urne è chi vive una “condizione economica insoddisfacente” non chi non ha problemi. E accanto alle famiglie povere oggi avanza anche la figura del lavoratore povero (working poor) che patisce il peggioramento della distribuzione della ricchezza e il costo della vita (inflazione) e vede un futuro nero, con un livellamento continuo verso il basso. Per essere più precisi. Oggi al di sopra della media nazionale di astensionismo ci sono tante “voci”: le donne; la fascia d’età 18-34 anni e quella tra i 35-49; chi ha un livello di istruzione basso; chi si trova in una condizione economica medio-bassa e bassa; gli operai; i disoccupati; le casalinghe e i pensionati. Un elenco impressionante. Altro che studiare nuove alchimie di coalizione, inseguendo fantasmi vari. Il Paese reale è un’altra cosa.