(Di Gianvito Pipitone) – La linea più breve tra due punti è l’arabesco, si potrebbe dire parafrasando Ennio Flaiano. E non c’è immagine più precisa per descrivere il groviglio di parole, opinioni, insulti e verità parallele che avvolge ogni giorno chi frequenta i social. Da quelle parti non si va per il sottile: si insinua, si grida, si urla, si sputa odio. Tutto tranne che ascoltare. È la cifra stilistica di una comunicazione che predilige il contorno al centro. È in questo arabesco che il Movimento ha trovato casa.

I nuovi giustizieri della notte, leoni da tastiera con criniera pixelata, si muovono nell’ombra digitale con la ferocia di chi non ha mai imparato a dubitare. Nemmeno per un secondo. Populismi cresciuti online, nutriti di semplificazioni e slogan, hanno generato una nuova antropologia: quella dell’australopiteco digitale. Nessun anticorpo alla complessità, nessuna educazione all’ascolto. Solo reazioni al veleno. E in mezzo, un attivismo che confonde partecipazione con aggressività, e dissenso con rumore. La legge del branco.

Ma come diavolo siamo arrivati fin qui?

Certo, c’era poco da illudersi, già dopo aver ascoltato i primi comizi a metà fra il serio e il faceto, tra un vaffanculo, un rutto e una scorreggia. Eppure, agli albori, tra zampate comiche ed estenuanti discussioni online, molti avevano provato a investire le due lire che non avevano. Rousseau tentò di cucinare qualcosa di dignitoso, ma ci si accorse presto della glassa debordante — stomachevole e priva di sostanza — che nascondeva un ripieno a base di idealismo hegeliano, pomposo e indigesto come il suo autore. E infine si manifestò ciò che molti temevano: la personificazione del nichilismo di Nietzsche, amaro come una verità detta troppo tardi. Altro che cassata: un dolce travestito da rivoluzione, servito su un piatto che puzzava di passato. Filosofia come ornamento, più che fondamento.

E così, fra steward promossi a ministri e rivoluzionari all’acqua di rose, si fece largo un avvocato che spodestò il gestore, seppellendo il gestore sotto una risata lunga e definitiva. La nuova covata – the Brood – è ormai in circolazione. Le uova schiuse hanno prodotto brutti anatroccoli, così brutti e intolleranti da duellare con gli squadristi, convinti di combatterli. Una degenerazione della promessa originaria, smarrita tra le pieghe dell’ambiguità ideologica.

Nel frattempo, in fondo a sinistra, hanno parcheggiato il carro funebre del reddito di cittadinanza. Mentre i suoi orfani, inconsolabili, vagano ancora tra le timeline cercando un nuovo padre putativo.

Ma un movimento che passa da un venditore di bibite a un tribuno della plebe meriterebbe di più. Anche dopo aver dilapidato il 20% dei voti in un quarto di legislatura, con la disinvoltura di un Renzi qualsiasi. Eppure, dopo aver contribuito a due governi di sussistenza, con tuffi da coefficiente 3.6 e triplo carpiato, il sopravvissuto di Palazzo è ancora lì. Ha regolato tutti i conti possibili, ha spedito l’ex steward nel Golfo Persico, ha sfilato la casa alla chiocciola, riducendola a un guscio vuoto. Una fine ingloriosa per il fondatore, rimasto chiuso fuori dalla costruzione che aveva edificato mattone dopo mattone.

Ormai, di nomi e figure ne restano pochi, all’infuori di “io sono il Signore Dio tuo”. L’unico vincitore, autoproclamato profeta del nulla. La monade con il buco intorno. Ha ammaestrato la sua platea, modellandola a colpi di indignazione prefabbricata. Senza perdersi in ragionamenti troppo complicati, ha zavorrato ogni voce interna come si schiaccia una zanzara molesta. Evaporato il dissenso, si gode ora il tramonto di un impero che non ha mai visto la luce.

Nel silenzio assordante dei compagni del campo largo, è riuscito persino a parlare per loro. Ha rubato il loro già striminzito spazio di manovra, superandoli con un colpo a sinistra e uno a destra. Scavalcando il centro, che li considera un fastidio più che un interlocutore. Del resto, per loro il centro è un miraggio: il punto più lontano da qualsiasi direzione si provi a guardarlo.

Una cosa, però, sono riusciti a costruire: un apparato mediatico ben oliato, con fanfare e truppe cammellate schierate attorno a redazioni specializzate nell’addestramento del pelo sullo stomaco. Con pazienza certosina, queste hanno elevato le loro modeste gesta a epica quotidiana, dipingendoli come i nuovi rivoluzionari. E nel vuoto di alternative, molti hanno continuato ad abboccare.

E infatti, la pesca continua. Certo, pesce azzurro: minuto, modesto, senza pregio. Pesce che, se non lo congeli all’istante, dopo due ore già puzza. Ma tant’è. In tempi davvero grami, ci si accontenta anche di questo.

Lo so, con un pezzo del genere si rischia di sfidare l’odio algoritmico, quello che pulsa nei clic compulsivi dell’anonimato notturno. Ma non è lì che si pesano le idee. Al massimo, si contano i follower.