(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Nel vedere il D’Alema sottotitolato in cinese sostenere che da Pechino era arrivato «un messaggio per la pace nel mondo», ho temuto di essermi perso qualcosa. 

Eppure, in piazza Tienanmen non avevo visto sfilare pacifisti e crocerossine, ma missili grossi come baobab e carrarmati di ultima generazione. E in tribuna non avevo rintracciato un Gandhi o un Mandela, ma quel personaggino a modo di Kim Jong-un, uno dei leader diversamente femministi dell’Iran e il capo della giunta (militare) birmana. Per tacere di san Xi Jinping martire e di quell’altro francescano, padre Vladimir. Tutti galantuomini da cui scapperei a gambe levate, se li incontrassi in una strada buia, ma anche in una illuminata. 

Chissà che cosa avrebbero detto, i tantissimi che in Italia la pensano come D’Alema, se quella mostruosa esibizione di celodurismo atomico allestita per il diletto di un gruppo di satrapi maschi fosse stata organizzata in Europa o negli Stati Uniti del Puzzone in Chief. Avrebbero parlato di «messaggio per la pace» o non piuttosto di segnale provocatorio, violento, minaccioso e sprezzante?

A chi sostiene che il cancro del mondo sia l’Occidente, e nel dirlo si ostina a considerarsi un anticonformista e un emarginato, vorrei dare una notizia: il nuovo mainstream è D’Alema, siete voi. Siamo noi la nuova minoranza reietta. Noi che, nonostante tutto, continuiamo a pensare che l’Occidente sia il peggiore dei posti possibili, esclusi tutti gli altri.