
(Dario Lucisano – lindipendente.online) – La tensione tra il governo israeliano e il capo delle Forze di Difesa Israeliane Eyal Zamir è sempre più alta e sta finendo per erodere il già precario rapporto tra Netanyahu e l’esercito. Zamir, che si era già opposto al piano di invasione di Gaza City, sta infatti premendo perché il governo accetti un cessate il fuoco temporaneo per fare respirare l’esercito e recuperare gli ostaggi, ma le sue richieste non stanno venendo ascoltate. Il governo, anzi, ha deciso di proseguire con la mobilitazione dei 60mila riservisti chiamati a fine agosto, mentre l’insofferenza dei soldati avanza, spingendo sempre più militari a disertare. La perdita di presa sull’esercito sta gradualmente portando la campagna genocidaria israeliana al collasso: l’operazione Carri di Gedeone è «un fallimento», e Israele «ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare», recita infatti un dossier segreto delle IDF; Hamas, di contro, mostra di avere la capacità di rimanere solida nonostante le perdite, e sta riuscendo a «sopravvivere e vincere».
I segni di rottura tra Netanyahu e l’esercito sono diversi. Lunedì 1° settembre, il quotidiano israeliano Ynet ha rilasciato delle indiscrezioni su un incontro del gabinetto di sicurezza, in cui Zamir avrebbe proposto un piano alternativo per la prosecuzione della campagna a Gaza. Zamir aveva già contestato il piano di occupazione totale di Gaza City, sostenendo che fosse troppo rischioso per gli ostaggi e troppo sfiancante per l’esercito. Ancora oggi, a due settimane dal suo lancio, continua a premere sul governo per abbandonare il piano e muovere piuttosto incursioni mirate sulle zone più calde della Striscia. Zamir, inoltre, avrebbe avanzato un piano di cessate il fuoco di 60 giorni per fare rientrare gli ostaggi. L’accordo in discussione, riportano i media israeliani, prevedrebbe il rilascio di 10 ostaggi vivi e dei corpi di altri 18, mentre intanto verrebbero portati avanti colloqui sulla fine della guerra e la liberazione degli ostaggi rimasti. Netanyahu avrebbe boicottato la proposta di Zamir, non facendola nemmeno arrivare ai voti.
Tra le scintille con il capo dell’esercito, il governo insiste con il piano di occupazione di Gaza che prevedrebbe lo spostamento in massa dei palestinesi verso sud. Per portarlo avanti, ha mobilitato 60mila riservisti, che stanno venendo schierati proprio in questi giorni. La maggior parte delle persone mobilitate, sostiene il quotidiano israeliano Haaretz, avrebbe già prestato servizio per centinaia di giorni dall’escalation del 7 ottobre, e sarebbe tenuta a garantire la propria presenza per altri tre mesi, con la possibilità di un’estensione di un mese in base all’evoluzione dei combattimenti nella Striscia. Tra le persone chiamate, continua il quotidiano, vige ormai un generale sentimento di sconforto: in molti non si fiderebbero dei piani dichiarati del governo e altrettanti starebbero descrivendo tale rotazione come la più dura degli ultimi due anni. Haaretz riporta che circa 350 soldati avrebbero deciso di schierarsi apertamente contro la campagna a Gaza, disertando la chiamata, e che in generale il numero di volontari nelle IDF starebbe diminuendo, tanto che l’esercito starebbe occultando i numeri esatti per manipolare i dati e minimizzare l’impatto mediatico dell’assenteismo.
Di fronte a tale scenario di crisi, non stupisce il contenuto del rapporto segreto delle IDF, condiviso dall’emittente israeliana Channel 12. «Abbiamo fallito», si legge nel dossier; «Israele ha fatto ogni possibile errore conducendo una campagna contraria alla sua dottrina di guerra». Il riferimento è all’operazione Carri di Gedeone, lanciata lo scorso giugno, con la quale lo Stato ebraico intendeva distruggere completamente Hamas e fare rientrare gli ostaggi: eppure, «Hamas non è stata sconfitta né militarmente né politicamente e gli ostaggi non sono stati restituiti né con un accordo né con un’operazione». Tra i motivi del fallimento, si legge nel piano, la scarsa pianificazione dei combattimenti, l’assenza di discussioni per raggiungere un accordo, la gestione degli aiuti umanitari. Sul campo, le IDF sostengono di avere agito senza un chiaro cronoprogramma, basando le proprie azioni su vantaggi immediati piuttosto che inserendole in una visione a lungo termine; non hanno pianificato attacchi mirati, hanno invaso aree già attaccate in passato, non sono state capaci di gestire le proprie risorse e sono state sopraffatte troppe volte dalle firme di resistenza. Hamas, di contro, «presenta tutte le condizioni per sopravvivere e vincere: risorse, una dimensione sicura, e un metodo di combattimento adeguato».
Dopo la pubblicazione del documento, le IDF hanno commentato che «questi contenuti sono stati distribuiti senza autorizzazione e senza l’approvazione delle parti interessate», difendendo i risultati raggiunti, e confermando indirettamente la paternità dei fogli. Nonostante quanto dicano le IDF, il dossier parla chiaro: lo stesso esercito israeliano è conscio del fatto che la campagna militare a Gaza non sta andando come sperato; su stessa ammissione delle IDF, l’obiettivo di distruggere completamente Hamas appare ancora oggi inverosimile, mentre Israele ha perso completamente credibilità davanti alla comunità internazionale.
Cialtroni incapaci e criminali.
In 60.000 non riescono a prendere una striscia di territorio 3/4 della superficie del Garda, hanno avuto quasi più suicidi che morti in battaglia.
Però per uccidere i bambini sono bravissimi. Ieri 11 in un colpo solo, per esempio.
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secondo me, non la raccontano giusta. Si tratterebbe di più di 18 mesi di combattimenti e bombardamenti continui per eliminare Hamas. Per scontrarsi occorrono dei nemici armati. Ghaza è assediata, non entra e non esce uno spillo, è alla fame e quanto ai tunnel di cui non si conoscono entrate e uscite, gli Israeliani lo vadano a raccontare a chi ci crede. Con quali mezzi e con quali combattenti Hamas continua a lottare contro uno degli eserciti meglio armati del mondo ? Possiamo pensare che si tratti di una crudele MENZOGNA per avere una scusa e ammazzare sotto gli occhi di tutti i Palestinesi ?
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Vediamo come nasce il suprematismo sionista.
L’Unione dei Sionisti Revisionisti nasce a Parigi il 25 aprile del 1925. Il fondatore sarà Ze’ev Jabotinsky. Costoro avanzano forti critiche alle teoria dei due popoli due stati. Alla morte di Jabotinsky nel 1940, la guida del movimento sarà assunta da Menachem Begin, che porterà i Revisionisti nell’arena politica israeliana fondando il partito Hirut. Begin era stato anche il leader dell’Irgun, la più radicale milizia armata degli ebrei trasferitesi in Palestina che agì sotto il Mandato britannico, utilizzando anche il terrorismo come arma di pressione e politico/militare.
Uno degli attentati più spettacolari dell’Irgun avviene a Roma nel 1946, quando viene fatta saltare in aria l’ambasciata Britannica.
L’Irgun fu accusata di diversi massacri di civili arabi durante gli scontri precedenti la nascita di Israele. Da questo momento comincia una lunga fase in cui la destra sionista sarà all’opposizione. Dopo la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni nel 1967, Israele si trovò ad occupare per la prima volta territori esterni ai confini del 1948, con milioni di palestinesi sotto il loro diretto controllo facendo tornare centrale il tema attorno a quali dovessero essere i confini di uno stato ebraico.
Nel 1973 nasce il Likud. Nel 1977 la destra israeliana raggiunge per la prima volta il governo del paese, dopo trent’anni all’opposizione. Da questo momento in poi cominceranno a spuntare a destra movimenti e partiti, nati soprattutto dalla delusione nei confronti della vecchia destra sionista, considerata troppo moderata.
Il primo vero partito di estrema destra (Tehiya), nascerà dalla rottura di una piccola parte del Likud per la scelta di Begin, diventato nel frattempo primo ministro, di restituire all’Egitto i territori del Sinai occupati nel 1967.
Si formava così un nuovo spazio all’estrema destra. Tehiya non era solo un partito che propugnava un nazionalismo più duro di quello del Likud, ma cominciò ad attrarre tra le sue file soggetti nuovi.
dell’estrema destra israeliana con posizioni sempre più razziste e suprematiste, e il peso elettorale dei coloni e delle comunità ultra ortodosse aumenta di tornata elettorale in tornata elettorale.
Si chiude ogni prospettiva per il processo di pace, vengono affossati gli Accordi di Oslo, basta con l’ipotesi di “due popoli e due stati. Il governo si sposta sempre più a destra, è dal 2001 che i laburisti non tornano al governo del paese.
Il Likud radicalizza le sue posizioni con una destra più aggressiva, radicale, razzista. Fino all’attacco portato su larga scala all’esterno della striscia di Gaza da Hamas, come detto, il governo di Israele era il più a destra della sua storia. Fino a quel momento un certo “cordone sanitario” aveva retto nei confronti degli esponenti politici suprematisti e apertamente razzisti, visto e considerato che anche senza il loro contributo la politica di apartheid e l’avanzamento della colonizzazione nei territori palestinesi procedeva indisturbata sotto la guida del Likud.
Netanyahu dal 2019 (dal 2009 quasi ininterrottamente in carica) viene messo sotto accusa per corruzione, frode e abuso di potere. Nel 2020 inizia il processo e questo indebolisce il Likud e allontana i partiti centristi. Per rimanere saldamente ancorato al potere Netanyahu ha solo la guerra. Mette le mani sul sistema della giustizia e il ruolo della Corte Suprema: una riforma che ha polarizzato come non mai la società israeliana, con mesi di manifestazioni ininterrotte nelle scorse settimane, e la presa di posizione contraria addirittura di elementi dell’esercito e dell’intelligence, un fatto senza nessun precedenti.
L’estrema destra israeliana vuole annettere definitivamente la Cisgiordania, riducendo in uno stato di ulteriore minorità la popolazione palestinese, negando di fatto i diritti civili anche ai cittadini di origine araba che abitano nei confini di Israele. Da qui il sostegno ai coloni e alla loro visione millenarista della creazione di una grande Israele, ma anche a chiunque agisca con i fatti (leggi la violenza). C’è poi, ovviamente, una politica culturale non dissimile da quella di altre forze di estrema destra: la difesa della famiglia tradizionale, l’ostilità ai diritti civili, l’odio per l’egualitarismo di stampo socialista.
Chi sono i capi ideologici :
Itam Ben Gvir è stato messo sotto accusa 46 volte per reati gravi come vandalismo, istigazione al razzismo e sostegno a un’organizzazione terroristica. Ed è stato condannato otto volte, una delle quali per istigazione al razzismo. È lui il leader di Potere Ebraico. A 18 anni aveva un curriculum così fitto da essere esentato dal servizio militare, ma oggi è a capo del Ministero della Sicurezza Nazionale. Dopo la sua nomina a ministro il Washington Post ha tirato fuori un video in cui si vede un giovanissimo Ben Gvir miniacciare in televisione il premier Yitzhak Rabin: “Siamo arrivati alla tua macchina, presto arriveremo fino a te”. Due settimane dopo Rabin veniva assassinato.
Ben Gvir è un noto sostenitore di Baruch Goldstein, il terrorista che entrò nella moschea Ibrahimi a Hebron, uccidendo 29 palestinesi. A lungo il suo ritratto è stato appeso a casa sua. Ha difeso da ogni tipo gli estremisti israeliani e i coloni. A sua volta vive in un insediamento in Cisgiordania.
Ben Gvir arma i coloni
Allo scoppio della guerra Ben Gvir ha distribuito migliaia di armi automatiche ai coloni (già armati fino ai denti) per difendersi, mentre negli scorsi mesi le forze di sicurezza hanno quotidianamente garantito copertura all’aggressività proprio dei coloni che rappresenta.
L’altro volto del suprematismo ebraico è il leader del Partito del Sionismo Religioso Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze, che in una conversazione privata resa recentemente pubblica si è dichiarato “omofobo e fascista”. La summa del suo pensiero? “Il popolo palestinese è un’invenzione che ha meno di cent’anni di vita. Hanno una storia o una cultura? No, non le hanno. I palestinesi non esistono, esistono solo gli arabi”.
Bezalel Smotrich arrestato nel 2005 dopo violente proteste contro il ritiro di Israele da alcuni insediamenti occupati
E sempre Smotrich ad aver chiarito che “il villaggio di Huwara va cancellato”, con riferimento al villaggio palestinese oggetto di veri e propri pogrom da parte dei coloni israeliani. Parole che avevano provocato lo sdegno addirittura del portavoce del dipartimento di Stato Usa, Ned Price, che aveva parlato di parole “irresponsabili, ripugnanti, disgustose”. Ovviamente anche Smotrich è un colono che vive in un insediamento illegale.
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