(di Gianvito Pipitone – notiziegeopolitiche.net) –  La responsabilità dell’aggressione russa in Ucraina è chiara e non può essere messa in discussione: l’invasione ordinata da Vladimir Putin il 24 febbraio 2022 ha riportato in Europa una guerra ad alta intensità, con un costo umano stimato in centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati.

Col passare dei mesi, il quadro si è però complicato. Gli errori della NATO – come la decisione del vertice di Bucarest del 2008 di aprire la porta a Georgia e Ucraina, percepita da Mosca come minaccia – si sono intrecciati con l’emotività di un’Europa incerta sulla propria direzione e con la stanchezza per un conflitto che a poco a poco ha logorato economia, politica e diplomazia. Una guerra che ha più volte sfiorato l’escalation incontrollabile, lambendo lo spettro di un conflitto globale e il rischio dell’uso dell’arma nucleare.

Se all’inizio la difesa di Kiev appariva come una reazione legittima a un’aggressione ingiustificata, oggi le carte sono cambiate. I crimini di guerra si moltiplicano da entrambe le parti – dal sabotaggio del Nord Stream agli attacchi indiscriminati su infrastrutture civili – e non ha più senso ragionare in termini di capitolazione totale di uno dei due fronti.

Per i sostenitori più convinti dell’Ucraina, è il momento di riconoscere che la partita si gioca su una scacchiera geopolitica più ampia dove le regole non sono più quelle della difesa e dell’attacco, ma quelle dell’interesse, del logoramento e della sopravvivenza. Dove ogni mossa è calcolata non per vincere, ma per non perdere troppo. E su questa scacchiera, i pezzi non sono solo soldati e missili, ma anche gasdotti, contratti di ricostruzione, forniture militari e consenso interno.

L’Europa, intanto, appare intrappolata in sabbie mobili diplomatiche: più si agita, più affonda. Stretta tra dipendenze energetiche, fragilità politiche e divisioni interne, non riesce a trovare una posizione autonoma. Ogni tentativo di slancio si risolve in un affondamento più profondo, mentre gli Stati Uniti – oggi con Trump a proporsi nella veste del “paciere” – guadagnano in ogni scenario: se la guerra continua, alimentano il mercato delle forniture militari e consolidano la propria influenza; se si apre una trattativa, si preparano a sedersi al tavolo della ricostruzione, capitalizzando il ruolo di mediatori.

Ma una soluzione concreta va messa sul tavolo: in cambio di garanzie internazionali solide e verificabili, l’Ucraina potrebbe valutare la cessione dei territori ormai compromessi, costruendo la pace lungo una nuova linea di frontiera. Sarebbe una scelta dolorosa, come sacrificare un pezzo importante sulla scacchiera per salvare il re, ma forse l’unica in grado di fermare un conflitto che ha già inciso profondamente sul destino europeo.

Il cessate il fuoco non è resa: è un passo necessario per fermare l’emorragia di vite e creare le condizioni per un negoziato credibile. Mentre, ignorare la trasformazione del conflitto significa condannarsi a un logoramento senza fine.

L’invasione russa dell’Ucraina resta un atto da condannare senza ambiguità. Ma non si può aderire ciecamente alla retorica unilaterale dell’Occidente. Un’analisi lucida deve restare critica verso tutti gli attori in campo, riconoscendo che questa guerra è il sintomo di un collasso più ampio della diplomazia internazionale.

Una diplomazia che somiglia sempre più a una stanza buia, dove tutti si muovono a tentoni, inciampando negli ostacoli che loro stessi hanno creato. Con la propaganda a fare il rumore di fondo, a confondere le voci, mentre la logica binaria spegne ogni sfumatura. Eppure, basterebbe accendere una candela – anche piccola – per vederci meglio, per riconoscere l’altro, per tornare a parlarsi. La vera sfida è trovare il coraggio di farlo, prima che sia la guerra a spegnere anche quel barlume in fondo al tunnel.