
(Giuseppe Lorenzetti – lafionda.org) – “Dove siamo? Che cos’è questo? Dove ci ha gettati il sogno? Luce crepuscolare, pioggia e immondizie, bagliori d’incendio nel cielo grigio, continui rimbombi di tuono nell’aria umida, rotta da canti aspri. Da ululati furibondi e infernali che terminano la loro traiettoria con scoppi, spruzzi, fragori e schianti. E gemiti e grida, e voci acute di trombe e rullar di tamburi, un rullare sempre più rapido, che trascina avanti avanti… […]
Da questa festa mondiale della morte, da questo malo delirio che incendia intorno a noi la notte piovosa, sorgerà un giorno l’amore?”
Come suggerisce il grande scrittore Thomas Mann, i tempi di guerra si sentono arrivare con anticipo. Il clima di tensione a livello geopolitico e internazionale ha un suo correlato preciso nei rapporti umani quotidiani, nell’esasperazione delle liti, nel modo in cui a partire da un fraintendimento la rabbia ci trascina a sé fino alla sete di distruzione. C’è un’isteria nell’aria che ci induce all’attacco, una pauramostruosa emerge da luoghi ignoti, un terrore senza nome e senza volto da cui scappare ad ogni costo, al costo di distruggere lo specchio che ce lo può mostrare: gli occhi di un fratello. Ha davvero ragione chi sostiene che la guerrafaccia parte della vita dell’uomo?
È vero che uno strano paradosso si cela nell’essenza della guerra: in essa, a volte, il sapore della morte ha il potere di risvegliarci dalla morte stessa. Così l’uomo che perde ogni collegamento con la forza della vita è attratto, come un sonnambulo, dalla tentazione del sacrificio; come il protagonista del capolavoro di Mann, Giovanni Castorp, che si scioglie dalle catene della sua prigione, della sua rinuncia volontaria alla vita, solamente al suono della tromba militare che lo chiama alle armi. È una ricerca della morte nata per esorcizzare la paura della morte stessa da cui ormai siamo posseduti.
D’altra parte vi è un crescente problema educativo che ci rende sempre più incapaci di gestire opinioni diverse, rifiuti, delusioni, incomprensioni. Nel nome di una cultura “inclusivista” siamo infatti stati gradualmente diseducati all’arte del conflitto e della discussione; indotti nel terrore di ferire l’altro, ci siamo messi nelle condizioni di reprimere il nostro pensiero e la nostra identità, e dunque di rendere impossibile un reale incontro. C’è una faccia violenta nel mantra dell’inclusione, un annullamento forzato delle differenze, dove nell’illusione della nostra bontà, nelrinnegare l’ombra, coviamo il germe della guerra. Contemporaneamente a livello mediatico ormai su qualsiasitema, dalla politica, alla medicina, passando per la nomination del Grande Fratello, si assiste a una crescente polarizzazione delle opinioni, si sacrifica il dialogo e si premia e si alimenta una divisione in tifoserie che hanno l’effetto di placare momentaneamente le nostre insicurezze, di scaricare la nostra rabbia e di tenerci lontani dalla verità.
Tuttavia, pur riconoscendo i significati profondi, spirituali, psicologici e sociali della guerra, oltre che gli ingenti interessi economici e di potere, ciò non è sufficiente a rispondere alla precedente domanda. La guerra è un elemento imprescindibile dalla vita dei popoli? Forse lo è stato e lo sarà fino a che non riconosceremo le sue origini. Imprescindibile è la forza da cui essa scaturisce, ma non il modo in cui si manifesta.
Se è una fuga dalla paura della morte quella che ci costringe ad imbracciare le armi, dove ci conduce questa possibilità?La colpa dell’omicidio, infatti, è così grande da guardare, che spesso l’unico modo per sopportarla è continuare a vivere ad occhi chiusi. L’”antidoto” della guerra allora, il risvegliomomentaneo che ci permette, è in verità un inganno, poiché il passo che ci conduce fuori dalla palude dell’angoscia e della solitudine, ci lega per sempre nelle catene della colpa.
Come possiamo allora liberarci dalla tragedia della guerra?Trovando l’unico vero modo di sconfiggere la morte. Siamo stati ingannati. Eravamo soli, avevamo paura e ci hanno offerto un’arma e un nemico: la mano che ha ucciso non sapeva che cercava soltanto qualcuno da amare. Oltre la guerra c’è l’amore. Solo l’amore salva dalla morte e quando entriamo nell’amore la guerra non esiste più. Quando soffriamo o ci arrabbiamo di fronte alle notizie delle stragi di innocenti, di violenze domestiche, di omicidi efferati, non dobbiamo sprecare quel dolore bensì metterlo al servizio di una missione. Impariamo a domandarci innanzitutto ogni giorno la mattina al risveglio e la sera prima di dormire: “Sto diventando una persona più capace di amare?” e lasciamo che la forza di queste parole e l’impegno ad onorarle diriga la nostra vita, contagi le persone che abbiamo vicine e come un’onda travolga l’umanità. Solo così le vite delle vittime non saranno sprecate. Solo così la guerra non sarà più necessaria.