(Massimo Pasquale Cogliandro – lafionda.org) – In questi giorni ricorreva l’anniversario di una terribile strage di civili nel dopoguerra, la prima nella storia repubblicana, che si è voluta troppo presto rimuovere dalla memoria, ma che è intrecciata con torbidi legati alla vicenda dei confini orientali allora contesi con la Jugoslavia, che si avviarono a soluzione solo qualche mese dopo la strage con gli accordi tra Togliatti e Tito del novembre 1946 sul possibile ritorno di Trieste all’Italia in cambio di Gorizia e Pola.

Questi accordi prevedevano che Trieste e l’Istria nord-occidentale sarebbero rimaste sotto sovranità italiana, ma con amministrazione internazionale, andando a costituire il cosiddetto Territorio Libero di Trieste.

Al termine della Seconda guerra mondiale, dopo il ritiro delle truppe jugoslave, la città di Pola era rimasta sotto amministrazione inglese.

Il vicepresidente del Consiglio dei ministri socialista Pietro Nenni, in carica fino al 14 luglio 1946, insisteva sul punto che i confini tra l’Italia e la Jugoslavia in Istria dovessero rispettare la linea etnica, che consisteva nella cosiddetta “linea Wilson”.

La “linea Wilson” era la linea del confine proposta dal presidente USA Wilson al termine della Prima guerra mondiale e, basandosi sul principio etnico, lasciava all’Italia l’Istria occidentale fino a Pola, perché a maggioranza italiana, mentre l’Istria orientale e la città di Fiume, a maggioranza croata, sarebbero passate alla Jugoslavia.

Nenni sosteneva che, se la Jugoslavia non avesse voluto accettare questa soluzione, la situazione si sarebbe potuta risolvere esclusivamente dando la parola al popolo con un plebiscito, come proposto dal Comitato di Liberazione Nazionale Istriano, organo politico di autogoverno dello Stato dei CLN.

Dopo il ritiro delle truppe jugoslave, a Pola e nei territori circostanti operava il CLN di Pola, che collaborava con l’Amministrazione Alleata.

Il CLN di Pola, essendo un organo ufficiale dello Stato dei CLN, era l’organo istituzionale che in quel momento rappresentava la Repubblica Italiana a Pola.

L’11 agosto del 1946 il CLN di Pola fu incorporato in quello della Venezia Giulia.

Questa mossa dello Stato dei CLN chiudeva la porta alla possibilità di una cessione di Pola alla Jugoslavia, come invece ventilato dagli Alleati alla Conferenza di Parigi, i cui lavori erano iniziati il 2 luglio 1946.

Il 18 agosto 1946, cioè sette giorni dopo l’incorporazione del CLN di Pola nel CLN della Venezia Giulia, avvenne l’attentato di Vergarolla – una spiaggia di Pola – durante un evento sportivo in loco, con l’esplosione di alcune mine navali lasciate incustodite senza innesco, che causò quasi cento morti.

Dal momento che la città era sotto il controllo politico dello Stato dei CLN e non vi erano più organizzazioni fasciste in azione, è evidente che l’unico ad avere interesse a compiere la strage fosse il governo jugoslavo per opporsi al tentativo del CLN della Venezia Giulia di spingere il Governo Italiano a riportare all’ordine del giorno della Conferenza di Parigi la linea Wilson.

L’innesco delle mine poteva essere realizzato solo da un artificiere esperto.

Su Avvenire leggiamo una breve ma dettagliata descrizione della strage e delle sue immediate conseguenze:

“28 ordigni, che giacciono lì fin dai tempi della guerra ma che sono stati disattivati, dunque innocui, esplodono nell’ora della siesta: molti bambini ci stanno giocando a cavalcioni (come accadeva da mesi), le famiglie riposano nella pineta, qualcuno grazie al Cielo è in barca e da lì vede tutto. In un istante oltre cento persone (un terzo sono bambini) vanno in pezzi, tutta Pola sobbalza come per un terremoto, i vetri si frantumano, una colonna di fumo si allarga a fungo nel cielo, polvere e sassi ripiombano sulla folla attonita, i gabbiani si avventano impazziti sul mare rosso a mangiare. Mani esperte prima dell’alba hanno riattivato gli esplosivi e alla fine le vittime identificate saranno solo 65, di decine di altri morti i resti saranno raccolti in bare collettive, di altri ancora non resterà più nulla, evaporati, come per l’atomica (tra questi il piccolo Renzo, figlio del medico eroe Geppino Micheletti, che nell’attentato perse i suoi due bambini ma continuò ad operare le centinaia di feriti).”*

Claudio Radivo descrive in questi termini l’opposta interpretazione delle cause e delle responsabilità della strage date dal giornale del CLN di Pola e dalla stampa titina:

“Sia La Posta del Lunedì, settimanale del CLN, sia L’Arena di Pola, sia Il Nostro Giornale (di orientamento titino) accusarono il Governo Militare Alleato (GMA) di trascuratezza, chiesero l’individuazione dei responsabili (se di attentato si trattava) e reclamarono la rimozione e distruzione del munizionamento ancora presente. L’Arena di Pola invocò altresì le dimissioni di chi non aveva saputo evitare «un tale orrendo strazio di cittadini» malgrado le reiterate richieste dell’amministrazione comunale filo-italiana, mentre Il Nostro Giornale pretese che a dimettersi fosse quest’ultima. La Voce del Popolo di Fiume e il Glas Istre (entrambi quotidiani filo-jugoslavi) puntarono il dito contro il solo GMA.

A seguito di tali polemiche gli Alleati non consegnarono agli jugoslavi gli esplosivi reclamati come bottino di guerra, ma li fecero brillare sul posto o li gettarono in mare. L’operazione avvenne tra l’11 settembre e i primi di dicembre del 1946.”**

Quello che manca in tutte le pubblicazioni è il movente politico della strage. Si dice genericamente che si volevano cacciare gli italiani, spostando la questione sul piano etnico, assumendo la prospettiva ermeneutica neofascista tesa a criminalizzare la Resistenza in toto, deformando i fatti.

L’attentato fu invece un attacco di natura militare, mirante a rovesciare politicamente il CLN di Pola che si opponeva all’annessione della città alla Jugoslavia.

Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che a realizzare l’innesco delle mine sia stato l’artificiere triestino Giuseppe Kovacic, attivo in Istria durante la Resistenza come commissario della Terza Divisione della Brigata Garibaldi fino all’8 giugno 1945.

In realtà, non esiste alcuna prova del coinvolgimento di Giuseppe Kovacic nella strage. Del resto, dopo la guerra non andò a vivere nella Jugoslavia socialista, come sarebbe stato naturale se fosse stato il responsabile materiale della strage, ma a Torino, in Italia.

I responsabili materiali della strage resteranno probabilmente ignoti. Se guardiamo invece alle responsabilità politiche, il principio del cui prodest spinge a concludere che il decisore politico della strage non potesse che essere il governo jugoslavo, che non intendeva cedere alle rivendicazioni dello Stato partigiano italiano (lo Stato dei CLN), non ancora smantellato, nonostante l’elezione dell’Assemblea Costituente il 2 giugno 1946, evento che – a giudizio della Democrazia Cristiana – avrebbe dovuto determinare la fine dello Stato consiliare dei Comitati di Liberazione Nazionale e il passaggio a una compiuta democrazia parlamentare. Passaggio che avvenne effettivamente solo nel 1947, dopo un periodo di transizione che portò a un progressivo trasferimento di poteri dai CLN alle nuove istituzioni repubblicane.

È necessario spezzare l’egemonia culturale neofascista dominante in Italia nell’interpretazione della strage di Vergarolla, che tanta parte ha avuto nel determinare l’esodo istriano dopo la firma del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947, mostrando come le forze nazionaliste egemoni nel Partito Comunista Croato, con la strage di Vergarolla, avessero di mira soprattutto le forze antifasciste del CLN della Venezia Giulia e di Pola, che puntavano a costruire in Istria una società multietnica fondata sulla pacifica convivenza dei molti gruppi nazionali presenti nella regione.

NOTE

* https://www.google.com/amp/s/www.avvenire.it/amp/agora/pagine/un-nuovo-documentario-rai-per-la-strage-di-vergarolla

** https://arenadipola.it/index.php/atti-memorie-e-documenti/50-atti-memorie-e-documenti/983-vergarolla-una-strage-su-cui-va-fatta-piena-luce-di-paolo-radivo