Non più solo violenza, così la camorra prova a travestire i patrimoni criminali e ad accreditarsi con l’universo progressista

(di Roberto Saviano – corriere.it) – Oggi è un giorno cruciale per la storia dell’antimafia italiana, ci sarà l’udienza davanti al Tribunale del riesame di Napoli che rivaluterà la decisione del tribunale di scarcerare i boss Moccia a fine Luglio scorso. Il Tribunale valuterà l’interpretazione dei giorni conteggiati per arrivare alla scarcerazione dell’intero gotha del cartello, intanto si sono fatti l’estate in libertà i capi Moccia Antonio Moccia, Luigi Moccia, Gennaro Moccia, Pasquale Credentino, Antonio Nobile e Gennaro Rubiconti, e poi Filippo Iazzetta, il proconsole del clan Moccia, e Francesco Di Sarno, Angelo Piscopo e Benito Zanfardino. Antonio Moccia suo nipote Gennaro (che porta il nome del padre che vendicò uccidendo a 13 anni l’uomo che l’aveva assassinato) suo fratello Luigi ciò che dovevano fare, incontri, pianificazione, strategia, l’hanno già fatto.
I Moccia sono l’emblema della borghesia mafiosa, i loro affari tutti legati all’edilizia, al turismo, alla distribuzione generi alimentari, distribuzione benzina. Provengono dal capitalismo criminale ma con la strategia della diversificazione, ossia ormai loro dirigono solo il segmento legale mentre quello illegale è subappaltato ad altre famiglie che si occupano esclusivamente di narcotraffico ed estorsioni e non hanno alcun rapporto diretto con la famiglia Moccia. Ma ribadisco, e con forza, la camorra è sempre una, anche quando si tramutano in manager e costruttori. È uno scandalo che i boss siano fuori dal carcere ma è uno scandalo che in tre anni in cui sono sotto processo non si sia arrivati a una sentenza.
I Moccia sono stati capaci di sfruttare le falle del sistema normativo (troppe leggi, troppe leggi scritte male) e alcuni cedimenti dell’organizzazione giudiziaria per farla franca. Il processo penale italiano ormai è irrazionale, farraginoso, inefficace, facile, facilissimo strumento per ricchi e potenti. Questo le organizzazioni criminali lo sanno benissimo. Gli avvocati dei Moccia che li rappresentano, sono lo strumento dell’organizzazione per cercare di ottenere di fatto il ruolo di «dissociati», la linea presa in prestito dal terrorismo politico. In breve i Moccia vogliono dichiarare i loro «singoli» reati, non coinvolgere altri ottenendo uno sconto di pena e l’ufficiale interruzione di rapporto con il crimine. È solo una strategia furba che apparentemente vuole comunicare «pentimento morale» ma di fatto proteggere i patrimoni.
Confessare i singoli delitti lasciare il clan in piedi e proteggere i patrimoni. La dissociazione riguardo le mafie è una truffa che i Moccia portano avanti da decenni e per farlo devono ammantare di ravvedimento morale, di lotta per i diritti, di rivoluzione culturale le loro decisioni. Infatti i loro legali vengono quasi tutti dalla sinistra radicale. Il libro di Angelo Moccia una Mala Vita (Pironti edizione) dove Moccia cerca di teorizzare la «dissociazione» come strumento per combattere la camorra (di fatto un modo per dire legalizziamo i patrimoni legali rendiamoli imprenditori) è scritto da Libero Mancuso (Pm in importantissime inchieste e poi senatore DS) insieme con l’avvocato dei Moccia Saverio Senese (ex avvocato di Soccorso Rosso) prefazione di Nicola Quatrano ex magistrato, era giudice proprio al riesame e ora è avvocato dei Moccia e con una lunga lunghissima storia di vicinanza alla sinistra radicale: Quatrano da magistrato nel 2002 partecipò a un’assemblea della CGIL in cui avrebbe invitato i presenti alla «disobbedienza civile» contro la legge Bossi-Fini sull’immigrazione. Fu accusato di istigazione a delinquere e sottoposto a procedimento disciplinare. Dopo anni di processo, venne assolto con formula piena. Ora è avvocato dei Moccia. E la postfazione al libro di Angelo Moccia è di Paolo Mancuso magistrato antimafia che ha portato avanti tra i più importanti processi antimafia della storia. Ecco i Moccia guardano a sinistra da sempre, per legittimare la loro trasformazione.
Nel 1981 Cesare Battisti militante dei Proletari Armati per il Comunismo evase dal carcere di Frosinone proprio insieme a Luigi Moccia. Un giorno bisognerà raccontare i lunghi e articolarti rapporti ideologici e amicali tra estrema sinistra napoletana e camorra. Mentre la camorra uccideva negli anni settanta Mimmo Beneventano del PCI e Pasquale Cappuccio del PSI le Brigate Rosse di Senzani facevano trattavano con Cutolo, facevano il favore di uccidergli un poliziotto coraggioso suo nemico Ammaturo e teorizzavano il “PEL” proletariato extra legale ossa la necessità di legarsi al crimine come forma antiborghese per destabilizzare lo Stato.
Questa vicinanza si protrarrà per tutti gli anni 90 e 2000, Maurizio Prestieri personalmente mi dirà in intervista «con tutti i soldi della droga venduta nei centri sociali ci pagavamo i manifesti politici proprio dei candidati che li volevano sgomberare» e ancora Prestieri analizzava che Moccia hanno sempre guardato a sinistra con l’intento di «nobilitare» la propria conversione a imprenditori cioè far passare la loro tattica di conservare i soldi come una «rivoluzione morale»” e in più preferivano che sul territorio i giovani si occupassero di Medioriente, di pace nel mondo, di ecologia e non di appalti, discariche, occupazione.
Insomma distrarre con la politica internazionale per evitare che l’attenzione andasse sugli affari locali. Non tutta ovviamente la sinistra radicale napoletana flirtava con questi ambienti considerandoli «nemici della borghesia» e «innocenti perché figli della povertà». Come argomentò Bruno Arpaia scrittore di Ottaviano presentando il suo romanzo di ormai 20 anni fa , -Il passato davanti a noi – «mentre noi facevamo le manifestazioni a Parigi in nome di Ho chi Minh e volevamo cambiare il mondo sui principi della rivoluzione comunista di Mao, nel vesuviano c’erano ragazzi che venivano ammazzati per esseri opposti alla costruzione di un parcheggio, reputazioni distrutte perché avevano osato denunciare un assessore che stava in combutta con le famiglie criminali. Pensavamo con bandiere occupazioni e botte con la polizia di cambiare il mondo nelle grandi città ma era sul territorio, nei paesi da cui scappavamo che si stava costruendo resistenza e coraggio difendendo la democrazia».
Ecco quello che accade, le mafie vogliono l’attenzione sulle guerre, sui grandi conflitti, sui temi universali in infiniti dibattiti che allontanino le persone dal territorio, da come funziona l’economia da come vengono gestiti i finanziamenti delle banche alle imprese o da come vengono gestite le assunzioni. Lo stesso sta accadendo ora distratti dal mondo le organizzazioni criminali si stanno mangiando il paese, evitano il carcere, decidono loro il destino di grossa parte della nostra economia.