A una lettrice che dice di non aver capito che cosa voglia realmente Hamas tenteremo di rispondere prendendola un po’ alla larga. E dunque si può avere bisogno di un nemico […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – A una lettrice che dice di non aver capito che cosa voglia realmente Hamas tenteremo di rispondere prendendola un po’ alla larga. E dunque si può avere bisogno di un nemico per svariate ragioni. Umberto Eco nel suo breve ma sapido “Costruire il nemico” spiega che avere un nemico è importante “non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare nell’affrontarlo il valore nostro”. Tra i vari format che prevedono la necessità di un nemico – costruito nel corso dei secoli, di volta in volta, per motivi di razza, di religione, o anche per superstizione come nel caso delle streghe perseguitate nel Medioevo – Eco cita un testo di Anonimo pubblicato nel 1968 in America dal titolo “Rapporto segreto di Iron Mountain sulla possibilità e desiderabilità della pace”. Che, in realtà, non è altro che un elogio mascherato della guerra, “poiché solo la guerra costituisce il fondamento dello sviluppo armonico delle società umane”. Infatti, sostiene Anonimo, “solo la guerra permette a una comunità di riconoscersi come “nazione”; senza il contraltare di una guerra un governo non potrebbe neppure stabilire la sfera della propria legittimità; solo la guerra assicura l’equilibrio tra le classi e permette di collocare e sfruttare gli elementi antisociali”. Si tratta ovviamente di una “provocazione” letteraria di cui Eco è maestro ma che, tuttavia, qualcosa ci dice sui grandi conflitti odierni da cui non riusciamo a liberarci. Non è forse vero che Putin e Zelensky, a ben guardare e al di là delle questioni territoriali, hanno intrapreso e subìto la guerra per definire in termini più solidi e più stabili il riconoscersi dei rispettivi popoli nel concetto di nazione rafforzando la legittimità delle rispettive leadership? Mentre, nella guerra in Medio Oriente a queste esigenze se ne aggiunge una, forse quella determinante, riassumibile nell’espressione latina “simul stabunt vel simul cadent”. Ovvero: insieme staranno oppure insieme cadranno. Non v’è chi non veda come lo scontro tra Netanyahu e Hamas coincida con questo format infame e spietato. Che ha prodotto una gigantesca catastrofe umanitaria, iniziata con l’aggressione terroristica del 7 ottobre 2023 (1205 morti tra le popolazioni israeliane di confine e i giovani partecipanti al festival musicale, compresi gli ostaggi uccisi durante la prigionia). Che poi è proseguita con l’immensa strage dei civili di Gaza, stimati al momento in oltre 80 mila. Apocalisse che dopo quasi due anni appare pietrificata all’interno dei rispettivi scellerati interessi. Netanyahu e i partiti religiosi hanno bisogno di Hamas come pretesto per continuare a esercitare il potere supremo di guerra sul popolo di Israele. Essi puntano a una riconferma elettorale dopo che in passato il premier, ai minimi nei sondaggi, aveva rischiato perfino l’arresto con l’accusa di corruzione. Sul fronte opposto l’interesse di Hamas consiste nell’usare come ostaggio politico collettivo l’intero popolo palestinese, onde regolare definitivamente i conti con la debole e corrotta Autorità nazionale palestinese dell’anziano Abu Mazen. Anp vessata dalle incessanti incursioni violente dei coloni mirate a estendere il proprio dominio sulla Cisgiordania. Ecco perché malgrado gli infiniti annunci di tregua i due poteri criminali proseguono, come i ladri di Pisa, a combattersi di giorno per poi spartirsi col favore delle tenebre le spoglie dei loro sfortunati popoli.