Il governo sceglie la strada della dissimulazione e della menzogna. L’unica non contemplata dalla Costituzione

(di Carlo Bonini – repubblica.it) – Se lo si dovesse misurare per l’esito che produrrà, del caso Almasri non meriterebbe conto occuparsi oltre. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il ministro di Giustizia Carlo Nordio e quello dell’Interno Matteo Piantedosi resteranno al loro posto, la giunta per le autorizzazioni a procedere e l’aula parlamentare respingeranno la richiesta formulata dal collegio per i reati ministeriali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci regalerà verosimilmente qualche altra performance social in assenza di contraddittorio. Le salmerie dei partiti di maggioranza seguiranno, portando legna utile all’ordalia referendaria sulla separazione delle carriere dei magistrati. A pagare per intero il conto — forse — sarà la capa di gabinetto del ministero di Giustizia, Giusi Bartolozzi. Perché in ogni cortocircuito che si rispetti, c’è sempre un fusibile da sacrificare. A maggior ragione se, come nel suo caso, già così compresa nel ruolo di ventriloquo del ministro.

E tuttavia, questa storia ci consegna alcune incoercibili evidenze utili per un giudizio politico — e si sottolinea, politico — su una classe di governo la cui sconcertante inadeguatezza è pari solo alla sua arroganza. La relazione finale del collegio per i reati ministeriali ci offre infatti il fermo immagine di una gestione della sicurezza nazionale, dei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale, della lealtà istituzionale dovuta al Parlamento (e dunque al Paese) da Stato delle banane.

Posti di fronte a un dilemma complesso e ricorrente in ogni democrazia quale è quello che misura il rapporto e il confine tra la tutela della sicurezza nazionale e il rispetto delle leggi ordinarie e del diritto internazionale, Meloni, Mantovano, Piantedosi e Nordio si muovono infatti con la dabbenaggine, l’approssimazione e l’assenza di cultura istituzionale propria non solo di chi non ha nel proprio bagaglio strumenti adeguati a risolvere il dilemma. Ma, peggio, di chi, risolvendo l’azione di governo nell’atto del comando, ignora quale sia il confine oltre il quale il potere si trasforma in arbitrio.
Non potendo e non volendo spiegare al Paese — il che è comprensibile — che l’integrità dei nostri vitali interessi in Libia (dalla sicurezza dei nostri cittadini che lì lavorano, a quella delle nostre aziende, a cominciare da Eni) e il controllo dei flussi migratori diretti verso l’Italia dipendono in buona misura dalla “Rada”, milizia trasformata in forza di polizia e formalmente alle dipendenze del ministro dell’Interno di Tripoli e dal torturatore che quella milizia guida (il generale Almasri), il governo aveva una strada maestra. Assumere su di sé la responsabilità di porre il segreto di Stato sull’indicibile. Lì dove l’indicibile era ed è, appunto, il potere di ricatto che le milizie libiche oggi esercitano sui nostri interessi vitali. Di comunicare dunque quella decisione con lealtà alla Corte penale internazionale, al Parlamento, e, ovviamente, di pagarne il prezzo politico. Va da sé che di strada ne esisteva anche una seconda. Ottemperare agli obblighi cui l’Italia è tenuta con la Corte penale internazionale, consegnare il torturatore Almasri al suo giudizio, e risolvere in separata sede e lontana dai riflettori i conti con i malumori di Tripoli. Ne avrebbe giovato la nostra immagine e forza di Stato sovrano (parola inflazionata dalla destra ma mai utilizzata a proposito). Ma, a quanto pare, l’idea non è mai neppure balenata a Palazzo Chigi.
Come ormai sappiamo, le cose sono andate altrimenti. Il governo sceglie la strada della dissimulazione e della menzogna. L’unica non contemplata dalla Costituzione. E per farlo affida la pratica al ministro Nordio che, disonorando la toga di magistrato indossata per molti anni, arringa il Parlamento con una impettita oratoria che dovrebbe suonare come la lectio magistralis di un fine giurista indignato per come la Corte penale internazionale maneggia le norme penali e il sacro principio dell’habeas corpus. Ma che è soltanto il soliloquio da improvvisato avvocato d’ufficio di un torturatore, come il collegio per i reati ministeriali avrà modo di segnalare nella sua relazione richiamando con puntuale severità e rigore i principi generali del diritto internazionale, la dottrina, la giurisprudenza. Lo zelo di Nordio è tale che forse qualcuno potrebbe consigliargli misura, non fosse altro perché a tenergli bordone è un ministro dell’Interno che, mai come in questa occasione, mostra cosa significhi essere e definirsi “un questurino”.
Ma, appunto, nessuno frena Nordio. Non Mantovano, pure magistrato come lui. Non l’avvocatessa e parlamentare Giulia Bongiorno. Neppure quando sceglie scientemente di dissimulare, tacere e manipolare la sequenza di fatti e circostanze che hanno portato alla scarcerazione di Almasri e al suo rimpatrio in Libia. Per il quale sarà poi Piantedosi a fornire una giustificazione da film di Totò. Era un uomo così pericoloso per la nostra sicurezza nazionale — dice — che abbiamo deciso di non tenerlo in galera in Italia, di non mandarlo in galera in Olanda, ma di farlo ritornare libero in Libia con un aereo di Stato per riconsegnarlo alla sua milizia di torturatori.
Di questa drammatica farsa la presidente del Consiglio, non più tardi di tre giorni fa, si è assunta la piena responsabilità politica. Incapace infatti di distinguere tra il suo ruolo di presidente del Consiglio e quello di capopartito, tra un’idea tribale e partigiana della politica e quella propria di un capo di governo, ha ceduto ancora una volta al richiamo della foresta. Convinta, probabilmente, che non ne dovrà pagare il conto. Che anche Almasri scivolerà lentamente nei titoli di coda agostani e tra due mesi nessuno ricorderà più. Forse qualcuno farebbe bene ad avvertirla che la sicurezza nazionale è materia molto delicata e molto scivolosa. Dove non si recita a braccio e, soprattutto, dove i nodi, prima o poi, vengono al pettine. E a quel punto un selfie potrebbe non bastare più.
È fuorviante dire che sull’immonda vicenda del boia libico si potesse mettere il segreto di stato, in quanto tutti gli atti inerenti la richiesta d’arresto, il verbale dell’arresto, l’ordinanza di scarcerazione e le leggi nazionali e internazionali che intervengono in questi casi, sono tutti atti pubblici. Su cosa si doveva mettere il segreto di stato? Sul fatto che non si possono svelare le eventuali ragioni (un segreto di pulcinella) che hanno motivato la decisione illegittima, illegale, banditesca di liberare il boia? Ma delle motivazioni non sono necessariamente delle giustificazioni e non estinguono un reato, anche perché solitamente un tribunale può accettare le responsabilità di un delitto anche ignorando le motivazioni di chi lo compie. Tirare in ballo il segreto di stato (che comunque e perunque per reati gravissimi, come quelli di strage, terrorismo o contro l’umanità non può essere ovviamente evocato per legge) è quindi una falsa argomentazione. Il governo aveva solo un obbligo: osservare la legge. La ragion di stato è un’altra falsa argomentazione, perché semplicemente non esiste più da quando non è più Macchiavelli la fonte del diritto ma Kelsen; anzi l’unica ragione che lo stato deve perseguire è sempre la stessa: ottemperare alle leggi, se non lo fa non siamo più in uno stato di diritto, quindi in una democrazia. In questa faccenda oscena del boia libico siamo difronte a una banda di delinquenti che ha calpestato lo stato di diritto solo per i loro interessi privati e di partito. Se i libici per ritorsione avessero aperto il rubinetto dei migranti, la sicurezza nazionale non sarebbe affatto stata in pericolo; sarebbe peggiorata solo l’immagine del governo. Ma i libici, poi, perché mai avrebbero dovuto fare saltare tutti gli accordi e le munifiche prebende, per salvare un tagliagole come tanti, sostituibile a piacimento con altre dozzine in qualunque momento?L’unica ragione che può aver determinato la scarcerazione del boia è che si voleva impedire che Almasri giungesse davanti a una corte di giustizia e che magari cantasse come un gallo all’alba per evitare l’ergastolo, spiattellando tutti gli sporchi e illegali accordi che il governo ha preso con i mafiosi libici.
Poi c’è lo strano caso del dottor Mantovano, il deus ex machina dell’ ordine pubblico del G8 di Genova, che ha determinato la più grave violazione dei diritti democratici n occidente, dalla fine della seconda guerra mondiale. Qualcuno conosce quale legge può sottrarre un semplice sottosegretario alla giustizia ordinaria? No, perché il sottosegretario Delmastro è stato recentemente condannato da un normale tribunale e il reato lo ha potuto commettere solo grazie alla sua funzione ministeriale e al suo esercizio.
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Ci andrei piano sulla più grande violazione dei diritti civili in Occidente, dai.
Purtroppo gli esempi non mancano da nessuna parte.
Meglio un G8 che un Sunday bloody sunday.
Ad ogni modo.
A Roma arrestarono Ochalan del PKK e lo spedirono in Turchia.
Sempre a Roma arrestarono Vanunu e lo spedirono in Israhell.
Strano.
Quando vogliono, sono molto efficienti.
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