Il governo sceglie la strada della dissimulazione e della menzogna. L’unica non contemplata dalla Costituzione

Il generale libico Njeem Osama Almasri Habish atterra a Tripoli il 21 gennaio 2025

(di Carlo Bonini – repubblica.it) – Se lo si dovesse misurare per l’esito che produrrà, del caso Almasri non meriterebbe conto occuparsi oltre. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il ministro di Giustizia Carlo Nordio e quello dell’Interno Matteo Piantedosi resteranno al loro posto, la giunta per le autorizzazioni a procedere e l’aula parlamentare respingeranno la richiesta formulata dal collegio per i reati ministeriali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci regalerà verosimilmente qualche altra performance social in assenza di contraddittorio. Le salmerie dei partiti di maggioranza seguiranno, portando legna utile all’ordalia referendaria sulla separazione delle carriere dei magistrati. A pagare per intero il conto — forse — sarà la capa di gabinetto del ministero di Giustizia, Giusi Bartolozzi. Perché in ogni cortocircuito che si rispetti, c’è sempre un fusibile da sacrificare. A maggior ragione se, come nel suo caso, già così compresa nel ruolo di ventriloquo del ministro.

E tuttavia, questa storia ci consegna alcune incoercibili evidenze utili per un giudizio politico — e si sottolinea, politico — su una classe di governo la cui sconcertante inadeguatezza è pari solo alla sua arroganza. La relazione finale del collegio per i reati ministeriali ci offre infatti il fermo immagine di una gestione della sicurezza nazionale, dei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale, della lealtà istituzionale dovuta al Parlamento (e dunque al Paese) da Stato delle banane.

Posti di fronte a un dilemma complesso e ricorrente in ogni democrazia quale è quello che misura il rapporto e il confine tra la tutela della sicurezza nazionale e il rispetto delle leggi ordinarie e del diritto internazionale, Meloni, Mantovano, Piantedosi e Nordio si muovono infatti con la dabbenaggine, l’approssimazione e l’assenza di cultura istituzionale propria non solo di chi non ha nel proprio bagaglio strumenti adeguati a risolvere il dilemma. Ma, peggio, di chi, risolvendo l’azione di governo nell’atto del comando, ignora quale sia il confine oltre il quale il potere si trasforma in arbitrio.

Non potendo e non volendo spiegare al Paese — il che è comprensibile — che l’integrità dei nostri vitali interessi in Libia (dalla sicurezza dei nostri cittadini che lì lavorano, a quella delle nostre aziende, a cominciare da Eni) e il controllo dei flussi migratori diretti verso l’Italia dipendono in buona misura dalla “Rada”, milizia trasformata in forza di polizia e formalmente alle dipendenze del ministro dell’Interno di Tripoli e dal torturatore che quella milizia guida (il generale Almasri), il governo aveva una strada maestra. Assumere su di sé la responsabilità di porre il segreto di Stato sull’indicibile. Lì dove l’indicibile era ed è, appunto, il potere di ricatto che le milizie libiche oggi esercitano sui nostri interessi vitali. Di comunicare dunque quella decisione con lealtà alla Corte penale internazionale, al Parlamento, e, ovviamente, di pagarne il prezzo politico. Va da sé che di strada ne esisteva anche una seconda. Ottemperare agli obblighi cui l’Italia è tenuta con la Corte penale internazionale, consegnare il torturatore Almasri al suo giudizio, e risolvere in separata sede e lontana dai riflettori i conti con i malumori di Tripoli. Ne avrebbe giovato la nostra immagine e forza di Stato sovrano (parola inflazionata dalla destra ma mai utilizzata a proposito). Ma, a quanto pare, l’idea non è mai neppure balenata a Palazzo Chigi.

Come ormai sappiamo, le cose sono andate altrimenti. Il governo sceglie la strada della dissimulazione e della menzogna. L’unica non contemplata dalla Costituzione. E per farlo affida la pratica al ministro Nordio che, disonorando la toga di magistrato indossata per molti anni, arringa il Parlamento con una impettita oratoria che dovrebbe suonare come la lectio magistralis di un fine giurista indignato per come la Corte penale internazionale maneggia le norme penali e il sacro principio dell’habeas corpus. Ma che è soltanto il soliloquio da improvvisato avvocato d’ufficio di un torturatore, come il collegio per i reati ministeriali avrà modo di segnalare nella sua relazione richiamando con puntuale severità e rigore i principi generali del diritto internazionale, la dottrina, la giurisprudenza. Lo zelo di Nordio è tale che forse qualcuno potrebbe consigliargli misura, non fosse altro perché a tenergli bordone è un ministro dell’Interno che, mai come in questa occasione, mostra cosa significhi essere e definirsi “un questurino”.

Ma, appunto, nessuno frena Nordio. Non Mantovano, pure magistrato come lui. Non l’avvocatessa e parlamentare Giulia Bongiorno. Neppure quando sceglie scientemente di dissimulare, tacere e manipolare la sequenza di fatti e circostanze che hanno portato alla scarcerazione di Almasri e al suo rimpatrio in Libia. Per il quale sarà poi Piantedosi a fornire una giustificazione da film di Totò. Era un uomo così pericoloso per la nostra sicurezza nazionale — dice — che abbiamo deciso di non tenerlo in galera in Italia, di non mandarlo in galera in Olanda, ma di farlo ritornare libero in Libia con un aereo di Stato per riconsegnarlo alla sua milizia di torturatori.

Di questa drammatica farsa la presidente del Consiglio, non più tardi di tre giorni fa, si è assunta la piena responsabilità politica. Incapace infatti di distinguere tra il suo ruolo di presidente del Consiglio e quello di capopartito, tra un’idea tribale e partigiana della politica e quella propria di un capo di governo, ha ceduto ancora una volta al richiamo della foresta. Convinta, probabilmente, che non ne dovrà pagare il conto. Che anche Almasri scivolerà lentamente nei titoli di coda agostani e tra due mesi nessuno ricorderà più. Forse qualcuno farebbe bene ad avvertirla che la sicurezza nazionale è materia molto delicata e molto scivolosa. Dove non si recita a braccio e, soprattutto, dove i nodi, prima o poi, vengono al pettine. E a quel punto un selfie potrebbe non bastare più.