
(di Michele Serra – repubblica.it) – «Non è una citazione, è tutto inventato!» dice furibondo un membro del Likud in risposta al deputato di sinistra che ha deciso di leggere nel Parlamento israeliano il passaggio dell’intervista di Repubblica a Grossman nel quale compare la parola «genocidio» — si comprende quanto devastante, in quel luogo, per la coscienza di ciascuno e per la memoria di tutti.
Colpisce il tipo di reazione. Non “Grossman è un traditore”, oppure “Grossman mente”. Non, cioè, il contrasto duro, anche feroce, attorno alla stessa materia dolente, che sono le parole pronunciate da Grossman. No: la negazione del fatto stesso, forse perché risulta impossibile credere che il più grande scrittore israeliano vivente, che ha perso un figlio in guerra nel 2006, definisca «genocidio» quanto accade a Gaza.
Questa cancellazione dell’evidenza, ormai da qualche anno, è epidemica. Non è più l’isolata fuga dalla realtà di chi non ne regge l’impatto. È un metodo. Se i termini della discussione sono troppo faticosi, o troppo dolorosi, o troppo impegnativi, si rovescia il tavolo: “non è vero”. Se le parole di Grossman suonano insostenibili, si nega che le abbia dette. E non sui social, dove il falso è al governo da tempo. In un Parlamento, che dovrebbe essere il luogo della discussione per eccellenza.
Discutere attorno agli stessi materiali, e con le stesse regole, sta diventando una rarità e forse un privilegio. È come se la realtà fosse diventata un bene di lusso: e invece è il pane.
Mentre ci pettiniamo i peli del sedere sperando di non trovare nodi, questi continuano a devastare un popolo inerme.
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E c’era bisogno dei deliri del membro del Likud per arrivarci?
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Lo fanno anche qui, Stefano… meglio ancora, delegittimano chi ha osato pronunciarsi.
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