Erano lì che pensavano a cosa dire da chissà quanto. A come dirlo. Sono intellettuali, scrittori e anche un po’ influencer e se ne sono stati zitti per due anni. Un silenzio colpevole che ha […]

(di Selvaggia Lucarelli – ilfattoquotidiano.it) – Erano lì che pensavano a cosa dire da chissà quanto. A come dirlo. Sono intellettuali, scrittori e anche un po’ influencer e se ne sono stati zitti per due anni. Un silenzio colpevole che ha accompagnato 22 mesi di stragi, fame, amputazioni, bombe su ospedali e campi profughi. Nel frattempo hanno partecipato a dibattiti, panel, hanno scritto e recensito, organizzato festival, usato la loro visibilità per promuovere e criticare.

Ma su Gaza mai una parola. O, al massimo, mezza parola. Poi, all’improvviso, a reti unificate, tutti insieme non si sa se per fare fronte o per farsi coraggio, decidono di parlare. Si devono essere messi d’accordo in una chat tipo quella delle mamme della scuola: “Allora domani postiamo tutti uno stralcio dell’intervista a David Grossman?”. E così è stato. L’intervista è quella concessa a Repubblica in cui lo scrittore israeliano riconosce che a Gaza si sta consumando un genocidio, anche se tra molti “se” e “però”. E siccome la parola “genocidio” viene pronunciata da un intellettuale israeliano, non da Francesca Albanese, non da esperti di diritto internazionale, non da intellettuali non israeliani o da attivisti, improvvisamente si può usare la sua voce per parlare di Gaza e di genocidio. Ieri, guarda caso, appaiono in sincrono i post con la foto dell’intervista a Grossman di Chiara Valerio, Teresa Ciabatti, Patrizia Renzi (ufficio stampa per la fiera ‘Più libri più liberi’ di Roma e per il premio Strega), Chiara Tagliaferri, Nicola Lagioia e tutto il magico mondo dell’amichettismo al completo. In alcuni casi sono solo storie di Instagram, così la parola “genocidio” sparirà in 24 ore dalla pagina e i gazawi potranno continuare a morire senza questa preoccupante impennata di visibilità. A quanto pare dunque DENUNCIARE non è mai stata una questione di realtà, di testimonianze, di diritto internazionale, di morti o di semplice decenza umana. Il punto era semplicemente che, se la parola “genocidio” la pronuncia qualcuno che non sia un autorevole scrittore ebreo, è attivismo ideologico; se lo dice Grossman, è un pensiero legittimo. Le verità scomode su Gaza, insomma, devono prima passare per la bocca dei “legittimati”.

Peccato che questi giochetti pavidi, questa codarda formazione a testuggine degli amichetti intellettuali, vengano ormai smascherati in tempo reale. I commenti al post di Chiara Valerio – quello in cui riporta le parole di Grossman “Anche se so che quei numeri passano attraverso il controllo di Hamas e che Israele non può essere l’unico colpevole di tutte le atrocità a cui assistiamo” – sono una tempesta emotiva a colpi di “vatti a nascondere”. Perfino Valerio Lundini, non esattamente un hater dell’ultima ora, le scrive: “Siamo a un livello di insostenibilità per le nefandezze israeliane che mi secca anche un po’ leggere le frasi di Grossman in cui deve dire che gli dispiace proprio dover essere arrivato al punto di parlare di genocidio, che è proprio un peccato che Israele si sia fatto ‘sta macchia. Che poi le cifre passano per Hamas, eh, sicuramente. Diciamo così: tiratina d’orecchie a questo Israele che a volte qualcosina l’ha sbagliata, ma magari è una fase, dài”. E sono molte le critiche ferme e ragionate tra lo tsunami di improperi che hanno travolto Valerio. Alcune fanno perfino ridere, per esempio quella di chi le suggerisce un nuovo ospite a “Più liberi più libri” dopo Leonardo Caffo: Benjamin Netanyahu.

Insomma. Hamas è stata spesso accusata di usare scudi umani: civili e bambini come protezione contro le bombe israeliane. Ora alcuni intellettuali usano Grossman come “scudo etico”: un modo per nascondersi dietro l’esposizione altrui e proteggersi dal rischio di dire la verità prima che sia certificata da qualcuno di universalmente “accettabile”. Questi intellettuali “di sinistra” – che in passato hanno rinfacciato a esponenti di governo e intellettuali a destra troppi silenzi complici e criminali su mille questioni etiche – si schermano dietro a chi parla per primo e aspettano la legittimazione di figure simboliche per dire ciò che sarebbe necessario gridare anche senza il via libera dello scrittore israeliano. E che andava detto, magari, con qualche mese o anno di anticipo, perché la gente muore di fame, di guerra, ma pure di codardia altrui.

La cosa tragicomica è che, per riequilibrare il tutto, Liliana Segre il giorno dopo si è affrettata a rilasciare un’intervista a Repubblica in cui critica Grossman per aver utilizzato il termine “genocidio”. Mi immagino gli amichetti intellettuali, ieri mattina, colti dal panico nella chat: “Ragazzi che si fa adesso? Vale ancora quello che ha detto Grossman o ci riallineiamo a Segre?”. Qualcuno avrà suggerito di silenziare il gruppo per 8 ore, qualcun altro di postare la foto della sagoma di un ombrellone con una frase di Franzen o di parlare di patriarcato nei thriller kazaki e far finta di niente. Poi una voce – quella di Chiara Valerio – si sarà alzata: “Dài, scrivo una di quelle cose mie che non capisce nessuno, ma di cui tanti fanno finta di cogliere i significati reconditi. Tipo ‘il punto sta tutto nella metafisica del tè al gelsomino durante i bombardamenti’. Così saranno tutti occupati a capire cosa intendessi dire e ci lasceranno stare”.

Il gruppo “Amichetti” approva questo elemento.