Dietro il paravento di sicurezza e privacy i potenti le escogitano tutte per ottenere corsie preferenziali e scorciatoie. Dagli imbarchi aeroportuali alla coda alla Asl

(Sergio Rizzo – lespresso.it) – Chi quella sera si trovava a Fiumicino ricorda bene la scena. Il 19 maggio 2015 Roberto Formigoni è all’aeroporto di Roma: deve rientrare assolutamente a Milano ma il volo è chiuso. Non è più presidente della Regione Lombardia, all’epoca è un semplice senatore sulla cui testa, per inciso, pende una richiesta di rinvio a giudizio per lo scandalo della sanità. Questo però non gli impedisce di rendersi protagonista di una performance indimenticabile. Afferra il telefono sul bancone e investe il responsabile dell’Alitalia con insulti irripetibili. Non c’è niente da fare. Però lui, disabituato alle avversità quotidiane dalla lunga permanenza (quasi 18 anni) al potere, non demorde. «Ho il suo nome, la denuncerò», sbraita nella cornetta. E scaraventa a terra l’apparecchio. Il giorno dopo dice che lo rifarebbe: «Ho utilizzato le parole che userebbe qualsiasi italiano». «Maschio!», per essere precisi.
La cosa fa il giro del mondo, letteralmente. Tutta colpa di Andrea Spedale, un passeggero di quel volo che riprende la scenetta con il telefonino e la posta su Facebook. Ah, i compagni di viaggio. Non ci fossero loro… E soprattutto, non ci fosse Internet…
Se poi il passeggero non è uno qualsiasi ma è il commissario Montalbano, al secolo Luca Zingaretti, ad appellarsi sui social media alla «vergogna!» perché la scorta fa saltare la fila al check-in alla moglie di «un politico nazionale», allora sì che sono problemi. Il ministro Adolfo Urso, cioè il marito che era lì ad accompagnare la consorte in partenza per le vacanze, bersagliato da tutte le parti (tranne la sua), getta la palla in tribuna. «Io ero al telefono. È la scorta che valuta le condizioni di sicurezza…». Già, la scorta. E qui si apre un altro e forse ancor più delicato fronte, tanto è ormai labile in questo singolare Paese il confine fra sicurezza e privilegio.
«Ho scoperto che aveva la scorta perfino Clelio Darida. E chi era? L’avevano lasciata anche a Paolo Emilio Taviani. Ho chiesto: perché? Mi hanno risposto: “Perché è stato ministro, al Viminale”. Sì, ho detto, ma quanto tempo fa?». È lo sfogo di Roberto Maroni, appena nominato nel 1994 ministro dell’Interno. Per inciso, Taviani aveva lasciato il Viminale vent’anni prima, nel 1974. Già allora la scorta non si negava a nessuno, ma le cose non sono mai cambiate davvero. Mai. La scorta, quando ce l’hai, capita che tu la possa tenere anche per anni, pure se ormai sei quasi nessuno. E la sicurezza, diciamo la verità, è spessissimo una comoda scusa per saltare la fila, qualunque fila, e passare con il semaforo rosso.
Certo, però, non ha bisogno della scorta nel dicembre dei 1982 il segretario socialista Bettino Craxi, futuro premier. L’addetto dell’Alitalia era bianco come un cencio. «Craxi lo aveva preso per il bavero e lo scuoteva, accusandolo di non volerlo imbarcare apposta sull’aereo», raccontò il deputato radicale Marcello Crivellini, presente a Fiumicino, anche lui in attesa di partire per Milano. «Eravamo tutti in lista d’attesa ma non c’erano posti. Bettino cominciò a dare in escandescenze, poi quando lo vidi alzare le mani decisi di intervenire. Si scagliò anche contro di me, e per fortuna c’era della gente in mezzo. Poi arrivarono altri funzionari trafelati e Craxi fu imbarcato. Io, invece, rimasi a terra».
Non serve la scorta neppure al segretario diessino Massimo D’Alema. Quando, giusto pochi mesi prima di diventare presidente del Consiglio, il 6 luglio 1998 chiede di scendere dall’aereo per Torino già sulla pista e pronto a partire, ma con un bel ritardo per la congestione del traffico aereo.
Qui si misura la differenza. I ritardi colpiscono tutti, ma c’è chi può per “impegni istituzionali” far fermare un treno, scendere e andarsene con auto blu e corteo di scorta a tutta velocità mentre i comuni viaggiatori osservano dal finestrino. Ma bisogna capire. Poteva forse non ricorrere a quell’espediente il ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e deludere quanti lo aspettavano trepidanti a Caivano per una manifestazione pubblica? Quelli di Trenitalia si sono arrampicati sugli specchi: «Potevano scendere a Ciampino anche gli altri viaggiatori».
La verità è che la formula coniata due secoli orsono dal grande poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli è sempre più attuale. «Io so’ io, e voi non siete un cazzo», è diventato per certi politici un passepartout che non conosce freni inibitori. Né forse li ha mai conosciuti.
Un esempio? Nel luglio 1994 arriva al governo la Lega dei duri e puri contro la Roma Ladrona del Marchese del Grillo e il senatore leghista Maurilio Frigerio salta la fila delle auto all’imbarco del traghetto per il Lido di Venezia. L’Ansa dice che Frigerio lo ha fatto adducendo urgenti impegni parlamentari e facendo leva sulla legge che permette a onorevoli e senatori la precedenza sui mezzi pubblici. Una legge? Quale legge?
Anni dopo, è il 2012, siamo già nel dominio dei social media e a capo della Lega c’è Matteo Salvini. Che quando il settimanale “Chi” pubblica la foto del poliziotto di scorta che spinge il carrello della senatrice Anna Finocchiaroall’Ikea, non riesce a resistere. E sfodera un post intriso di curaro: «Anche io vado spesso all’Ikea, ma il carrello me lo spingo…». Peccato che a fine luglio del 2019 il figlio del ministro dell’Interno Salvini venga filmato a Milano Marittima, dov’è in vacanza con il padre, mentre un agente lo scorrazza su una moto d’acqua della polizia di Stato. «Un errore mio da papà», si giustifica il ministro. E la faccenda si chiude lì, con la Procura che mette una pietra sopra anche alla denuncia del giornalista cui sarebbe stato impedito dalla scorta di documentare il fatto. E Valerio Lo Muzio, il giornalista di “Repubblica”, ci può stare. Decisamente peggio era andata, qualche anno prima, al suo collega della “Gazzetta del Sud” Nicola Lopreiato, che cercando di intercettare il ministro della Sanità Girolamo Sirchia finì al pronto soccorso con una prognosi di 15 giorni. Denunciò di essere stato picchiato da un carabiniere della scorta che gli impedì di avvicinarsi al ministro. E meno male che all’ospedale, quel giorno, non c’erano vip.
Perché si scopre che al pronto soccorso le Asl hanno addirittura un “corridoio per la tutela della privacy” dei personaggi noti. Il 30 agosto del 2023 la ministra del Turismo Daniela Garnero Santanché accompagna con la scorta dei carabinieri il suo compagno al pronto soccorso del Lido di Camaiore. Il parente di un paziente racconta la vicenda sui social sospettando un trattamento di favore, e la Asl si sente in dovere di smentire il presunto salto di fila precisando che «però può venire attivato un corridoio di tutela della privacy» soprattutto se richiesto dalle forze d’ordine per evitare, come in questo caso, ogni problematica di ordine pubblico». Un corridoio della privacy per garantire l’ordine pubblico? Ma che roba è?
Detto questo, non si può disconoscere che ci siano dei prezzi da pagare e vivere sotto scorta per qualcuno possa essere assai faticoso. Al netto, ovviamente, dei vantaggi. Ma la verità è che la lotta ai privilegi per risultare vincente dovrebbe essere combattuta in primo luogo da chi ne beneficia. E com’è evidente, ciò è impossibile. Almeno, però, ci vengano risparmiati i tentativi grotteschi di negare la regola dell’«Io so’ io». Che ci sono, eccome.
Qualche anno fa il “Manifesto” ha ricordato che nell’estate del 2006 l’agenzia “Adnkronos” «rilanciò una nota dell’ufficio stampa del senatore Renato Schifani (attuale presidente della Regione siciliana, ndr) con cui si raccontava che il politico aveva fatto un’ora di fila prima di entrare in un ristorante a Lipari, mettendo in evidenza l’educazione del capo, che pur potendolo fare, non approfittò del suo status». Un comunicato stampa, ma ci pensate?
un oscenità tutta italiana ,da cui sarà impossibile liberarsi ,lo prendono per diritto acquisito e sono nostri dipendenti pagati da noi ! Licenziamento per abuso ? No eh
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