
(di Michele Serra – repubblica.it) – Mentre le cronache sono dominate da grattacieli, grafici immobiliari al rialzo, accelerazioni urbanistiche, leggere il reportage veneziano di Giampaolo Visetti su Poveglia, la piccola isola davanti a Malamocco che un manipolo di veneziane e veneziani ingegnosi è riuscito ad affittare per farne un parco pubblico, è una medicina per l’anima. Invece del centesimo grande albergo a misura di invitati alle nozze di Bezos, ecco un bene comune. Erba, canneti, piante aromatiche come rara eccezione al cemento e agli ori del turismo di lusso da un lato, alla devastazione dell’overturismo dall’altra.
Verso la fine del racconto mi ha colpito la breve frase di una delle animatrici del progetto Poveglia: “La politica sceglie la scorciatoia delle privatizzazioni”. Il termine “scorciatoia” è folgorante. Dà l’idea di un “tutto e subito” che punta diritto a fare profitto in tempi brevi; ché dei tempi medi e lunghi, poi, se ne dovranno occupare i posteri. (Parentesi: valutare i tempi medi e lunghi sarebbe il lavoro naturale della politica). Questo sguardo “corto” è la principale imputazione — non moralistica: operativa — a carico del nostro sistema economico-produttivo. Spremere il pianeta come un grosso agrume, finché ce n’è, ce n’è, chi verrà dopo si arrangerà: conviene? A chi? E per quanto?
Il bene pubblico, diversamente da quello privato, ha come presupposto il lungo periodo. Non prevede di fare cassa, ma di garantire la comunità, la sua coesione, il suo benessere, la sua cultura. Pensa in là, “vede” il tempo, fa eccezione alla regola. A Venezia l’esistenza dei veneziani (che non sono pochissimi: circa 50 mila esseri viventi) è un ostacolo rilevante all’idea che ogni metro di terra emersa sia a disposizione del miglior offerente.
Articolo alquanto grossolano.
Vuole mettere in luce la contrapposizione tra bene comune e logiche privatistiche, tra visione di lungo periodo e scorciatoie, tra una politica generatrice ed una svenditrice.
Ma lo fa in modo molto suoerficiale.
Molte imprese private, quelle che producono valore reale ( manifattura, innovazione), che credono nella responsabilita’ sociale hanno visioni di lungo periodo.
E’ la finanza, specialmente quella speculativa, che invece punta sui guadagni immediati e vede nei beni pubblici un’occasione per monetizzare, non un valore da tutelare.
Tra le righe si puo’ poi leggere di una classe politica che abdica ( o si vende) alla proria afunzione accettando di non programmare, di non proteggere e di non investire nel lungo termine sociale; su questo Serra ha ragione.
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Si, ma questa storia di Poveglia, che avevo già letto da qualche altra parte, è molto figa.
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Una rondine non fa primavera
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