Così la politica in tilt non sa più cosa dire

(Flavia Perina – lastampa.it) – Va detto: la Milano da Bere fu più creativa di questa Milano da Abitare, ed il blob della vecchia Tangentopoli che mischiava i mariuoli in manette con le modelle e le ballerine della città che “sa vivere, godere, amare” mette quasi nostalgia. Era facile sapere da che parte stare, e ci si stava con facilità sia a destra sia a sinistra. Ora che il tempo è passato e che si è stati un po’ da tutte le parti, con i giudici e con gli indagati, con il raddoppio delle pene e con l’abolizione dell’abuso d’ufficio, con la legge e contro le pastoie della legge, per le dimissioni e contro, ci si sente assai sbandati. La Milano da Abitare non solo è più triste, ma manda in tilt l’algoritmo. La magistratura teoricamente nemica del governo stavolta indaga un avversario del governo, Beppe Sala, e il suo sistema di potere immobiliare. Però, il decreto che avrebbe dovuto salvarlo è nato con l’appoggio dall’intera maggioranza governativa, oltreché di due terzi degli amici di Sala. E dunque non si capisce bene cosa si dovrebbe dire del sindaco, di questi palazzoni costruiti con la Scia come se fossero tramezzi abbattuti di un monolocale, di queste toghe: sono rosse, nere o cosa?

A destra, avanti in ordine sparso. Coi cartelli “Dimissioni” alzati da FdI nell’aula del Consiglio Comunale. Col cofondatore di FdI Guido Crosetto che in perfetto controcanto accusa i giudici milanesi di interpretare la legge a loro uso con condotte “molto pericolose”. Con la Lega, tra i maggiori sponsor della legge per sanare retroattivamente gli abusi contestati a Sala, che cambia idea e chiede elezioni subito. Con il governatore leghista Attilio Fontana che difende il sindaco in nome del garantismo dovuto a ogni indagato. Dall’altra parte, a sinistra, una imbarazzata ritirata dalla logica del “dimissioni subito” che ha segnato ogni precedente inchiesta perché Sala non è solo un sindaco importante, è uno degli uomini-immagine del possibile contrappeso moderato all’alleanza con i Cinque Stelle, e dunque: solidarietà, vicinanza.

La famosa questione del rapporto tra politica e giustizia è andata in tilt forse in modo definitivo. Nessuno sa più con esattezza come maneggiarla, come esercitare quel minimo di coerenza che si richiede nel discorso pubblico e nemmeno come rapportarsi con la magistratura. Ma non è solo la confusione a distinguere i vecchi tempi della Milano da Bere da questa Milano da Abitare. C’è anche altro, c’è di più. All’epoca si coltivò la speranza di una possibile palingenesi politica, di partiti che affrontassero la questione della legalità a prescindere dalla magistratura, e se ne facessero garanti nella scelta delle rispettive classi dirigenti e nella vigilanza dei comportamenti. Si immaginava che un certo controllo su ambizioni e appetiti personali fosse possibile. Che la via della modernizzazione potesse essere percorsa aggiornando le regole, non eludendole con la scusa della loro inefficienza. Ora il cerchio si chiude: forse era possibile, ma non è successo. Così il tifo pro o contro l’azione della magistratura e la denuncia del famoso potere di condizionamento delle toghe risulta poco più di un riflesso pavloviano. L’azione giudiziaria non sposta più un ministro, un assessore, un sindaco, forse nemmeno un voto, e allora ci si chiede: perché scaldarsi tanto?