
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Un giorno il rumore ha fatto irruzione nelle nostre vite e le ha cambiate per sempre. Il pretesto per parlarne è la lettera accorata di una signora residente a Forte dei Marmi, dove una villa comunale situata in mezzo alle case è stata adibita a sede di concerti. Tra prove pomeridiane e spettacoli serali, si sta perennemente sotto il tallone di una colonna sonora di cui è impossibile abbassare il volume, con effetti spiacevoli sull’umore di bambini, anziani, animali. Ma anche di tutti gli altri. Ormai persino i bar e i ristoranti, nati per favorire la conversazione, sono avvolti in un frastuono che forse favorirà il consumo di alcolici, certo non la socializzazione tra esseri umani. Ai tavoli si vedono bocche chiuse e sguardi chini sullo smartphone, mentre la musica rimbomba nelle orecchie e i camerieri devono saper leggere il labiale per prendere le ordinazioni. Chi si lamenta viene accusato di intolleranza, in base alla regola per cui sono le vittime di un sopruso a doversi sentire fuori posto.
C’è dell’estremismo e del menefreghismo in tutto questo, come nell’aria condizionata sparata a palla e nei messaggi vocali sentiti in pubblico senza le cuffie. La teoria secondo cui la libertà finisce dove comincia quella degli altri è stata sostituita dalla sua variante turbo-narcisista: libertà è fare quel che mi va o che mi fa guadagnare più soldi.
Non resta che sperare nei blackout. Quando all’improvviso ci si ritrova al buio, avvolti dal silenzio. Condannati a parlare e, che angoscia, a pensare.
Ahahhahhahahaha…., il gramo difensore del jet set di Forte dei Marmi, che sorpresa!
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Anche a Gaza c’è un rumore insopportabile, assordante. Lo sente tutto il mondo, è un rumore che ha già sterminato sessantamila esseri umani.
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