Un appuntamento per le élite occidentali, sulla pelle dei popoli europei, ucraino e russo

(Giuseppe Giannini – lafionda.org) – La conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, tenutasi a Roma, è stata un’occasione ufficiale per ribadire — con toni retorici — ciò che si è già fatto. Il Capo dello Stato ha parlato di una “pace apparente”, perché “non è possibile abdicare all’aggressore”. Eppure, dopo tre anni e mezzo di carneficina, con un coinvolgimento militare occidentale diretto, supporto di intelligence, sconfinamenti e attentati anche su territori russi non interessati dal conflitto, e sacrifici umani enormi, la situazione resta drammaticamente immutata.

Si invoca il rispetto del diritto internazionale pur sapendo di non rispettarlo. L’enfasi posta sui diritti umani e sulla difesa degli oppressi, almeno nei discorsi ufficiali, non si riscontra — ad esempio — quando si parla dei crimini commessi da Israele.

Una cena per “fare il punto”. Come siamo messi con le forniture d’armi? E con le scorte? L’unica certezza, finora, è che l’economia ucraina è al collasso. Gli “aiuti occidentali” stanno portando Kiev verso la bancarotta, e l’impatto si è sentito anche in Europa e negli Stati Uniti: aumento dei costi energetici, difficoltà di approvvigionamento e stagnazione produttiva.

Il presidente ucraino, sempre in mimetica, riceve fondi a debito e pretende pure di imporre condizioni ai fornitori, considerando “donazioni” i miliardi di dollari americani spesi per supportarlo. Non è un caso se Trump, durante i suoi incontri, abbia chiesto in cambio l’accesso alle terre rare, ricordando a Zelensky di non avere alcuna leva per “fare il gradasso” alla Casa Bianca.

I prestiti e le sovvenzioni dovranno essere restituiti — con interessi salati. Più la guerra si prolunga, più il disastro economico e sociale si aggrava. I creditori? I soliti noti: fondi privati, FMI, Banca Mondiale. Ma la parte più ambigua la sta giocando l’Unione Europea.

Con una gestione fondata sul terrore — oggi incarnata dalla sempre più impopolare Von der Leyen — si passa dal racconto tossico della pandemia a quello della “minaccia russa” come nuova leva per alimentare la paura e tenere unita un’Europa spaccata. L’UE istituzionale, impegnata a sostenere una guerra che i popoli europei non vogliono (come nel caso del genocidio palestinese), è ora esposta per oltre il 40% del debito ucraino.

Kiev non è in grado di onorare gli impegni. E mentre fondi come Blackrock iniziano a sfilarsi, la “patata bollente” resta agli europei.

La cena organizzata da Giorgia Meloni, sospesa tra l’ambiguità filo-Trump e la fedeltà alla tecnocrazia continentale, è servita ufficialmente a confermare il sostegno economico. In realtà, si è trattato di una parziale resa dei conti: i debiti vanno ripagati, e bisogna solo trovare il modo.

Come? Con le solite liberalizzazioni — il modello Iraq insegna — svendendo il patrimonio ucraino per risarcire i creditori occidentali. Il governo italiano, per edulcorare l’operazione, parla di “semplificazione delle regole”. Ma è chiaro: si tratta di scegliere chi, tra soggetti pubblici e privati dei Paesi “filantropi”, metterà le mani sulla ricostruzione.

Il vincolo politico? Atlantismo e austerità europea.

Come nel film francese La cena dei cretini: si invitano gli ingenui, e si ride alle loro spalle. Così, tra sventolii di bandiere gialloblu e gesti simbolici di “empatia”, gli avvoltoi democratici sperano almeno di riuscire dove hanno fallito in passato. Poco importa se ciò comporterà la normalizzazione della destabilizzazione globale.

E anche se le conseguenze dovessero essere ancora peggiori, c’è un piano di riarmo che unisce le cancellerie europee. A meno che — forse — non sia stata davvero l’ultima cena.