
(Giulia Grilllo – lafionda.org) – Un paio di settimane fa, durante una discussione in Senato, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha affermato che la costruzione della pace si basa anche sul riarmo e lo sviluppo di una buona difesa, rilanciando così il detto latino secondo cui se si vuole la pace, bisogna prepararsi alla guerra perché la pace è anche deterrenza: Si vis pacem, para bellum. Questa affermazione voleva anche essere una risposta a chi in queste settimane, opponendosi alle politiche del riarmo, ha sostenuto e continua a sostenere che queste siano almeno in parte, responsabili dei conflitti armati passati, presenti e anche futuri. Naturalmente, la posizione del Presidente del Consiglio, e di chiunque sia di questo parere, è assolutamente legittima. Tuttavia, ci sono alcuni elementi di questo ragionamento sui quali è opportuna una riflessione più approfondita.
Storicamente, stati, imperi e nazioni hanno quasi sempre seguito proprio questa logica, in quanto si è sempre creduto che rafforzarsi a livello militare possa garantire la propria sicurezza e la propria sopravvivenza come stato e come nazione (e.g., Waltz, 1979; Mearsheimer, 2001). Questa è proprio la logica che appartiene alle teorie cosiddette realiste (attenzione, non realistiche) nelle relazioni internazionali, che in questi ultimi anni hanno ripreso ad avere una certa influenza dopo aver subìto una forma di declino, particolarmente dopo la fine della Guerra Fredda. Eppure, sono le stesse teorie realiste che ci mettono in guardia proprio dalle politiche del riarmo.
Innanzitutto, nel realismo politico non si parla neanche propriamente di raggiungimento della pace, in quanto questa viene considerata come una situazione temporanea, basata sul cosiddetto equilibrio di potere tra gli stati e, in particolare, tra gli stati più forti (Mearsheimer, 2001). Inoltre, è stato proprio un intellettuale di stampo realista, Robert Jervis (1978), a spiegare in maniera chiara e semplice come, spesso e volentieri, politiche volte ad aumentare la sicurezza di uno stato vengano interpretate come possibili minacce militari dagli stati confinanti, comportando una reazione da parte di questi ultimi volta alla loro difesa: questo è il famoso dilemma di sicurezza (security dilemma), molto simile ad un’altra argomentazione di stampo realista, nota come trappola di Tucidide. Ovviamente, questo dilemma scaturisce da fraintendimenti e dalla difficoltà di poter stabilire con certezza quali siano le vere intenzioni dietro determinate scelte politiche degli stati vicini. La cosa certa è che finora questa serie di fraintendimenti ed incertezze non ha portato a maggiore sicurezza, ma a maggiore insicurezza: l’invasione dell’Ucraina, con tutto quello che ne è conseguito, e la guerra a Gaza e, fondamentalmente, in tutto il Medio Oriente, ne sono l’evidenza più recente. Ma allora, esistono altre vie che possano portare allo sviluppo della pace e la sicurezza dei popoli?
Innanzitutto, se è vero ciò che dice Robert Jervis e cioè che i conflitti armati possono scaturire dal cosiddetto security dilemma e quindi sono frutto di fraintendimenti – si vedano a questo proposito le dichiarazioni del Cremlino rispetto all’invasione dell’Ucraina – bisogna allora affrontare proprio questo problema. E come? Generalmente, i fraintendimenti si affrontano con il dialogo, possibilmente continuo, quindi con la diplomazia (e.g., Lederach, 1997), che proprio oggi, guarda caso, è in grave crisi. Ma perché è in grave crisi? Ci sono sicuramente diverse ragioni, ma c’è una questione che qui si fa particolarmente evidente e deriva proprio dal concepire la pace come appunto una situazione temporanea basata sull’equilibrio di potere tra gli stati, specialmente quelli più influenti a livello internazionale.
Il dialogo è stato in qualche modo sottomesso alla logica del potere (e.g., Mancini, 2025). Ci si incontra non per ascoltare le ragioni di ciascun attore coinvolto e quindi per trovare una via di compromesso (uso questo termine, anche se ci sarebbe tutta un’altra discussione da fare a riguardo), ma semplicemente per imporre le proprie. Se l’altro non accetta le nostre posizioni, allora non si fa nulla, si continua a lottare finché non vince il più forte. Quindi, secondo questa dinamica, anche la pace stessa è sottomessa alla logica di potere. Di nuovo, posizione assolutamente legittima ed è anche la posizione con la quale si è fatto politica a livello nazionale ed internazionale per la gran parte della storia dell’umanità, ma non è l’unica esistente. Ci sono altre possibilità, che possono essere esplorate e tentate, visto che la logica del ‘si vis pacem, para bellum’ è stata ampiamente messa in pratica nella storia e sappiamo che tipo di sistema internazionale questa visione abbia creato.
Infine, l’attuale governo, giustamente, ogni tanto ci ricorda delle radici cristiane sia dell’Italia che dell’Europa. Ecco, una riflessione opportuna e urgente da fare, come individui e come collettività, riguarda proprio il significato di queste radici cristiane e che cosa queste comportino per la nostra politica e la nostra società. Sia chiaro, questo non per fare dell’Italia e magari dell’Europa stessa un nuovo Stato della Chiesa in stile contemporaneo, certo che no, altrimenti si rimarrebbe all’interno delle stesse logiche che ci hanno portato fin qui. Piuttosto, porsi questa domanda significa pensare a strade diverse da poter percorrere per garantire la vera sicurezza delle persone e la pace tra i popoli, oltre che a dare sostanza a quelle parole che altrimenti, come i Latini ben dicevano, volant.
Riferimenti
Jervis, R. (1978) ‘Cooperation under the Security Dilemma’, World Politics, 30(2), pp. 167–214.
Lederach, J.P. (1997) Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided Societies. Washington D.C.: United States Institute of Peace Press.
Mancini, R. (2025) ‘Fanno un DESERTO e lo chiamano PACE! Se vuoi la PACE prepari la GUERRA?’ Available at: https://www.youtube.com/watch?v=ex4KBcyAPa4&t=14s.
Mearsheimer, J.J. (2001) The Tragedy of Great Power Politics. Norton.
Waltz, K.N. (1979) Theory of International Politics. Addison-Wesley Publishing Company (Addison-Wesley series in political science).
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Si sta trattando la tregua, ma anche oggi il nazzista che non fa rimpiangere certamente Hitler….Nuovi raid di Israele a Gaza, almeno 55 morti: tra loro anche bambini in coda davanti a una clinica medica.
E il silenzio europeo …VERGOGNA!
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Trappola di Tucidide o riscoperta dell’ acqua calda?
A volte per lanciare un libro si prende un grande del passato e lo si usa per dare forza alle proprie tesi.
Quando le sfere di influenza vengono a lambirsi, quasi sempre scoppia una guerra.
Egizi e Ittiti, Romani e Cartaginesi, Grecia e Persiani.
La cosa importante dell’analisi che fa Tucidide nella sua opera ” guerra del Peloponneso” è la ricerca delle cause occulte di tale guerra. Le trova nei fatti accaduti in Grecia 30/40 anni prima .
Vale anche , ai nostri giorni, sia per la guerra in Ucraina , sia per la situazione a Gaza.
Gli storici seri della scuola di Marc Bloch, lo sostengono da anni.
Una cosa è la ricerca storica , un’ altra cosa è la propaganda.
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