Il vertice Aja piega la vera situazione bellica per giustificare più fondi in un piano anacronistico che durerà 10 anni. E nel 2035 non avremo né più deterrenza né più sicurezza

(di Fabio Mini – ilfattoquotidiano.it) – Sto girando l’Italia per le presentazioni del mio libro La Nato in guerra edito da Dedalo per la collana Orwell diretta da Luciano Canfora.

Noto l’interesse della gente che vuole leggere e capire, che teme per il proprio futuro e quello dei figli e nipoti, ascolta e chiede spiegazioni con garbo e apprensione. Ma bastano cinque minuti di tv e i titoli di quasi tutti i giornali per piombare nell’irrealtà, nell’arroganza, nell’ignoranza e nella determinazione di non voler né capire né far capire. Dalla dichiarazione finale del vertice Nato all’Aja si è estratto il solo dato del 5% del Pil alla difesa. Tuttavia la dichiarazione dice molto di più di quanto è scritto. Anzi la parte più importante e “rivoluzionaria” è proprio quella non scritta. Le dichiarazioni finali dei summit non sono trattati e non obbligano legalmente nessuno. Sono linee guida con impegni o promesse politiche che per diventare esecutive devono seguire le procedure interne di ogni Stato. Ribadiscono se serve le precedenti linee guida o ne fissano di nuove. Le precedenti che non vengono riprese neppure come riferimento sono superate. Dalle linee guida discendono le pianificazioni che con altre riunioni e strumenti di approvazione dettagliano gli impegni assunti. Per valutare correttamente la portata delle dichiarazioni occorre perciò vedere ciò che è scritto e ciò che non compare più. Il 5% è un impegno politico di ogni nazione che intende adottarlo; la Nato non obbliga nessuno e infatti non sono previste sanzioni o limitazioni per chi non ce la fa o non vuole rispettarlo. Salvo i ricatti e il gangsterismo individuali.

Nel 2014 ci fu l’impegno al tetto del 2%, dopo dieci anni diverse nazioni non l’hanno raggiunto sebbene la situazione della sicurezza europea si fosse aggravata. Il 3,5% per le spese dirette in armi e l’1,5% per quelle correlate (dai ponti al decoro urbano) è un traguardo di tappa che ogni membro raggiunge secondo un proprio piano col solo vincolo che sia compatibile con quello Nato. Inoltre il 5% non è il tetto massimo ma la base per avere, secondo i calcoli Nato, la capacità di difesa e deterrenza tale da impedire alla Russia di attaccare o di resistere al primo attacco, rispondere, far affluire i rinforzi, riprendere il territorio perduto e sostenere il conflitto per un certo periodo. Lo scenario peggiore che ci vedrebbe comunque soccombenti è quello di un conflitto di logoramento. Questa capacità dev’essere raggiunta in dieci anni, entro il 2035. Fino ad allora siamo nelle mani di Dio, perché la capacità militare attuale, secondo la Nato, non consente di fare deterrenza, resistere e rispondere se non con armi nucleari. Questa è la valutazione tecnica della minaccia russa palesemente e volutamente errata. In ogni caso, dal 2035 in poi, con il conflitto si aggiungono ai costi della preparazione quelli dei “consumi” di guerra (uomini e materiali); senza conflitto proseguono le spese per ammodernare lo strumento che nel frattempo si è formato e ampliato. Nuovi armamenti, nuove spese. Nel 2029 è prevista una verifica sull’andamento della spesa: l’Italia deve recuperare 1,9% in armamenti e 1,5% in spese correlate entro il 2035, ovvero lo 0,9% in armi e lo 0,7% in correlate entro il 2029. Sembra poco, in realtà è un salasso enorme, con un Pil da signori e debiti da spiantati prossimi alla bancarotta. Gli eventuali aiuti all’Ucraina (armi da dare, importazioni, investimenti nelle fabbriche ucraine) potranno essere conteggiati come parte del 5%. Per assurdo, destinando il 3,5% del Pil all’Ucraina, l’Italia assolverebbe l’impegno senz’alcun miglioramento delle proprie forze.

Il 5% non è equamente distribuito fra gli Stati membri: i Paesi baltici spendono già di più, ma non raggiungono il grado di difesa nazionale previsto dall’art. 4 del Trattato Atlantico. Devono quindi avere rinforzi dagli altri Paesi. Considerando le posizioni provocatorie dei loro governanti verso la Russia, sono un rischio in più e non una sicurezza in più come prevedrebbe l’art. 10 per l’ingresso nella Nato. Considerando gli aiuti a Kiev, la Polonia e i Baltici superano già il 5%. Idem la Germania con i nuovi stanziamenti per la difesa, le armi all’Ucraina e la delocalizzazione di produzioni militari in quel Paese. In sostanza, nel Nord Europa dove si concentrerebbe la presunta minaccia russa, il 5% è superato o prossimo e comunque non assicura né difesa né deterrenza. I Paesi con Pil sostanziosi ma più lontani dall’obiettivo come Italia, Uk e Canada devono accollarsi spese difficilmente sostenibili, visti i deficit a tre cifre percentuali. Di fatto il 5% è una spesa pura con incerto ritorno e sicura sofferenza, mentre è un investimento solo per alcuni: soprattutto per gli Usa che aggiungono la Nato nel carnet della caccia ai soldi e i presunti alleati europei nel piano quasi secolare della “tosatura delle pecore” a sostegno del dollaro. Il vertice ha ribadito l’impegno alla difesa comune stabilita dall’art. 5 del Trattato, ma sugli europei Trump ha usato la stessa frase che gli europei riservano all’Ucraina (“aiutarla a difendersi”). Il che tradisce l’intenzione di considerare un eventuale conflitto con la Russia una questione europea in cui gli Usa potrebbero entrare come aiuto “fino all’ultimo europeo”.

Tra le cose dette e scritte figura la cosa più importante: la Russia è derubricata a minaccia “di lungo termine”. Esattamente com’era definita nei 113 paragrafi del vertice del Galles nel 2014, quando fu fissato il minimo di spesa militare al 2% e la Russia aveva già sistemato la Georgia e annesso la Crimea con un referendum dopo il colpo di Stato di Maidan e l’avvio della guerra civile in Donbass. La dichiarazione di allora comprendeva 113 paragrafi e non c’era programma o intervento internazionale che la Nato non facesse proprio: Balcani, M.O., Ucraina, Asia Centrale, Africa. Una Nato senza confini né limiti né vincoli di legalità: il 2% era il minimo per giocare un ruolo globale ancorché al seguito degli Usa. Mosca era sotto osservazione e sotto sanzioni, ma non una minaccia immediata. Il ritorno a quella definizione mentre la Russia è in guerra aperta e i suoi missili colpiscono sempre più l’Ucraina anche al confine con la Nato, ha lo scopo di rendere coerenti i piani di riarmo: la minaccia diretta e immediata della Russia non giustifica una preparazione decennale al conflitto.

Ma la vera novità della dichiarazione è la mancanza di tutto ciò che fino al giorno prima qualificava la Nato: ciò che era stato sottoscritto dal 2022. Ed era tanto. Subito dopo l’invasione russa, il summit di Madrid indicò i nemici: Russia, terrorismo e Cina, da contrastare ovunque e con tutti i mezzi. Nel 2023 il summit di Vilnius ribadì e ampliò in 90 paragrafi l’impegno della Nato contro la Russia e ne rivendicò il ruolo globale. Nel 2024 il vertice di Washington riprese e affinò gli stessi impegni in 38 paragrafi più 6 su Kiev. Quello dell’Aja ha solo 5 paragrafi: uno di autocelebrazione, uno di convenevoli, due di soldi, uno di precisazione sugli incentivi “Ucraina”. Nulla su tutto il resto che aveva riempito di vanagloria e arroganza la dirigenza Nato. Nulla sulla coesione (sul 5% si sono sfilati alcuni Paesi) né sul resto del mondo, quasi a ridimensionare il ruolo Nato fuori dai limiti del Trattato. Nulla su Medio Oriente e minacce alla sicurezza globale alimentate da Usa e Israele, su condanne e sanzioni a Mosca, su Kiev nella Nato, sui rapporti con Ue, Cina, Baltico, Artico, Moldova e Transnistria, Georgia e Azerbaigian, Turchia e Grecia, su basi Usa in Europa, ombrello nucleare, scudo antimissili, Indo-Pacifico, rotte commerciali, cavi sottomarini. C’è da scommettere che le proposte iniziali di dichiarazione includessero almeno una cinquantina di paragrafi e che la nota di linguaggio statunitense sia stata draconiana: nulla su Usa e Trump, la Nato rimane al servizio degli Usa in un campo strettamente regionale. Sembra paradossale, ma è esattamente ciò che dice il Trattato Atlantico, stravolto negli ultimi 30 anni. Resta un problema fondamentale: le direttive degli ultimi tre vertici sono state tradotte in piani militari. Il comando supremo Nato ha prodotto una pianificazione operativa di 4 mila pagine, attivato 32 pianificazioni di difesa, deterrenza e resilienza, emanato altre decine di requisiti operativi anche di “difesa preventiva” (cioè “pretesto artificioso per l’attacco di sorpresa”) e difesa delle basi Usa in Europa. Tutto diventato inutile? Assolutamente no! È su questi piani che si basano le illusioni di sicurezza e le previsioni dei profitti dalla preparazione alla guerra. A questi piani Trump si riferisce quando con lusinghe e minacce accampa diritti e interessi. La mobilitazione dell’industria e del personale, la produzione di sommergibili, aerei, navi, portaerei, missili, droni e munizioni bruciando il 5% delle risorse nazionali prescindono dall’effettivo impiego, dall’impoverimento delle nazioni e, sfortunatamente, anche dal loro successo nella deterrenza. Il cui fallimento è segnato dal limite fra preparazione e provocazione.