Il governo Meloni s’accinge a incassare il suo bottino. Regolando i conti con la magistratura, e mettendo all’angolo il Pd, insieme ai suoi alleati

(Michele Ainis – repubblica.it) – Nella beata incoscienza del pubblico pagante, sta per scattare la trappola perfetta. Come funziona? Con un gioco illusionistico. Tu mostri per mesi una riforma — il premierato — che capovolge l’universo mondo, o almeno il mondo disegnato dai costituenti. S’accende un dibattito infinito, con tonnellate d’interviste, editoriali, audizioni parlamentari, bla bla bla. Strada facendo (ma forse lo sapevi già da subito) t’accorgi che quella riforma può diventare un harakiri per il tuo esecutivo, come accadde a Renzi, e in precedenza pure a Berlusconi, castigati entrambi da un referendum popolare. E allora, mentre le pupille degli astanti sono ancora illuminate dalla madre di tutte le riforme, tu concepisci il figlio: una giustizia tutta nuova. Battezzandola proprio quando il decreto sicurezza innalza un monumento all’ingiustizia, quando le carceri trasformano ogni pena giusta in una tortura ingiusta, come ha ricordato ieri il presidente Mattarella.
A suo tempo (un anno fa) la creatura nasce al riparo da sguardi indiscreti, durante una riunione di 40 minuti fra 8 persone. Ma da allora in poi sgambetta veloce fra i banchi delle assemblee parlamentari. Pestando qualche piede, sicché s’alza il lamento dei contusi. Il Consiglio superiore della magistratura vota un parere di dissenso a larga maggioranza (24 consiglieri). L’Associazione nazionale magistrati proclama uno sciopero, con manifestazioni e assemblee pubbliche in 29 città. Gli avvocati invece applaudono, mentre il Consiglio nazionale forense protesta contro la protesta del corpo giudiziario. L’opposizione s’oppone, d’altronde è il suo mestiere. Ma senza troppa convinzione, anche perché gli animi sono tutti concentrati sulle guerre, sui dazi di Trump, sulla crisi della legalità internazionale.
Nel frattempo la riforma corre come un treno. Il disegno di legge costituzionale era stato presentato il 13 giugno 2024. Il 16 gennaio 2025 la Camera lo approva — senza correggerne una virgola — in prima lettura. E oggi in Senato andrà in scena il rush finale, dopo aver sterilizzato i 1300 emendamenti scritti dalle minoranze attraverso la tecnica del «canguro», altra creatura fantasmatica. Servirà poi la seconda lettura di ambedue le Camere, ma anche questo è un esito scontato.
Da qui la nuova pelle del testo costituzionale, con 7 articoli che cambiano registro. Ma da qui, anche e soprattutto, un bel trappolone per gli avversari dell’esecutivo. Perché questi ultimi, ostacolando la riforma, si trovano a vestire l’abito dei conservatori, sono costretti — loro malgrado — a difendere il sistema giudiziario così come funziona adesso, o meglio non funziona. Perché il restyling della giustizia distoglie l’attenzione dal naufragio sul quale è incappato il premierato, trasformando l’insuccesso in un successo. E perché, alla fine della giostra, ci attende un referendum. Lo vincerà il governo, un risultato diverso sarebbe una sorpresa. Intanto, nel referendum costituzionale non c’è il quorum, sicché l’opposizione non può restituire la pariglia rispetto ai referendum sulla cittadinanza e sul lavoro dei primi di giugno, cavalcando l’astensione. E in secondo luogo l’oggetto di quel referendum non saranno i poteri del Premier, non sarà il faccione di Giorgia Meloni, che oggi piace e magari domani non piace. No, sarà il consenso verso il potere giudiziario, che da tempo vola rasoterra: ne ha fiducia soltanto il 39% degli italiani, attesta un sondaggio Tecnè diffuso a febbraio. E il 68% degli intervistati voterebbe a favore di questa riforma, dichiara il medesimo sondaggio.
Conclusione: il governo Meloni s’accinge a incassare il suo bottino. Regolando i conti con la magistratura, e mettendo all’angolo il Pd, insieme ai suoi alleati. Ma in questo scenario c’è una responsabilità delle stesse opposizioni. Avrebbero dovuto scegliere una strategia diversa dal muro contro muro. Dopotutto, la separazione delle carriere è già in circolo nel nostro ordinamento: con la riforma Cartabia del 2022 il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante può avvenire una sola volta in tutta la carriera, e con l’obbligo di cambiare sede; tanto che l’1% appena dei magistrati trasmigra da una funzione all’altra. Dunque si tratta d’una riforma manifesto, sostanzialmente innocua nelle sue concrete conseguenze. Nonché appoggiata da varie personalità della sinistra, in nome d’un garantismo spesso declamato ma assai poco praticato. Non è il caso, insomma, di farne una crociata.
A sua volta, l’uso del sorteggio per formare gli organi d’autogoverno è forse l’unico sistema per arginare le correnti giudiziarie, dopo tanti tentativi andati a vuoto. La deriva correntizia, la spartizione dei ruoli di vertice in virtù del peso che assumono le diverse associazioni dei magistrati, nuoce al prestigio stesso del corpo giudiziario. Mentre il sorteggio rappresenta la più antica procedura democratica, già in uso nell’Atene del V secolo a.C. Magari la ricetta Nordio è troppo radicale, magari sarebbe stato meglio conservare una quota di membri elettivi, senza infliggere un’umiliazione al potere giudiziario. E magari le opposizioni avrebbero potuto suggerirlo con qualche emendamento costruttivo, anziché puramente distruttivo. Chissà, forse Togliatti avrebbe scelto questa posizione. Lui le trappole le fiutava, invece di caderci dentro mani e piedi.
Dotata di una perfidia infernale e fortissimamente determinata a perseguire la distruzione della Costituzione italiana dai fascisti mai accetta e come da piano di rinascita democratica del fascistissimo massone Licio Gelli .
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quindi per Ainis la riforma, con qualche aggiustamento opportunistico non sarebbe poi così male.Tra l altro era già in gran parte contenuta nell ottima riforma cartabia, impostata e sostenuta da Draghi e dal pd, liberali inclusi.Quello che mi sfugge è perché il pd sarebbe finito in un angolo per la volontà di fare muro contro muro col governo per avversare la riforma.
in realtà Meloni ha introdotto una riforma che il pd non avrebbe mai potuto fare. Assetto istituzionale che sarà portato ai prossimi governi, di qualunque orientamento siano. Con la gioia di liberalriformisti e destra pd, sostenitori della riforma e tifosi del draghismo che l ha ispirata tramite cartabia.
A parte Conte, quale politico sta provando ad evidenziare i limiti o i rischi di un simile cambiamento?
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Quanto tempo ha spettato …anni,anni, finalmente è arrivato il momento.
Anni e anni dietro il MSI volete che non si vendichi ?
Una uoma fattasi da sola, che ha tirato la carretta per anni, volete che non abbia il dente avvelenato.
Ha sistemato la famiglia e gli amici … è anche riconoscente, è affabile con tutti tranne che con la sinistra,in particolare Conte,dispensa baci,abbracci e piegamenti di capo,fa gli occhi da triglia ai suoi ammiratori e poi diciamocela tutta ammalia gli italiani in tal modo che pure i sondaggi la tengono in testa agli apprezzamenti :superiori pure al pdr il quale non si accorge che lo stanno scalzando piano piano perchè deve pure mancare il garante della carta.
Giustizia,Costituzione e premierato i pilastri della sua strategia per arrivare all’uoma sola al comando.(Wonderbomber docet)
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Timostene e l’attacco alla giustizia
In uno Stato che si proclama democratico, vedere un governo partorire leggi sistematicamente incostituzionali non può essere liquidato con la sola parola “incompetenza”. Non quando il ministro della Giustizia ha fatto tutta la sua carriera da magistrato. Non quando al Viminale siede un ex prefetto. Non quando nei due ministeri chiave siedono decine di funzionari, giuristi, dirigenti che conoscono bene ogni piega del diritto. E non quando il parere tecnico viene lautamente pagato con consulenze da migliaia di euro. Non è distrazione. Non è leggerezza. Non può esserlo.
Qui siamo di fronte a un atto deliberato. Una strategia. Una deriva. Il diritto non viene più rispettato, ma usato come arma ideologica. Si scrivono testi normativi non per garantire giustizia, ma per attaccarla. Non per rafforzare le istituzioni, ma per delegittimarle. L’obiettivo è chiaro: sabotare i meccanismi costituzionali, erodere il potere di controllo dei giudici, screditare chiunque rappresenti un limite all’autoritarismo. Sotto l’apparenza della legge si nasconde il disprezzo per la legalità.
Il punto non è che non sappiano scrivere una norma. È che non vogliono scriverla in modo conforme. Perché ciò che vogliono fare non è conforme. E allora tentano lo sfondamento. Provano a spingere più in là la soglia della tollerabilità istituzionale, mettono in conto i rilievi del Quirinale, gli stop della Corte Costituzionale, le critiche delle aule giudiziarie. Tanto, intanto, il messaggio lo mandano: la magistratura è un nemico, le garanzie sono un fastidio, i diritti un ostacolo.
Dietro questa apparente goffaggine normativa non c’è solo impreparazione. C’è ideologia. C’è disprezzo. C’è una visione del potere in cui chi governa deve poterlo fare senza vincoli, senza bilanciamenti, senza fastidi. E allora si criminalizza la stampa, si mette il bavaglio ai magistrati, si costruiscono norme che umiliano i più deboli, si prova a riscrivere lo Stato di diritto dal basso. A colpi di decreti, disegni di legge, norme spurie. Come se la Costituzione fosse un’opinione. Come se la Repubblica fosse un possesso privato.
È un progetto. Lucido. Fanatico. Spietato. E non è il frutto dell’incompetenza. È il frutto della cattiveria.
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