Ogni giorno la domanda è: cosa bombarda oggi Israele? Dove si fermerà? È intossicata dall’invincibilità, ma per i Paesi arabi è solo colonia occidentale

La potenza e l’idolatria di Netanyahu il superbo

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Per i greci, che tutto hanno ben definito intorno alle faccende dell’anima, era il peccato sommo: l’hybris, la tracotanza, l’eccesso che porta a violare ogni misura nei confronti degli dei perennemente invidiosi, ma soprattutto degli altri uomini. E il peccato si paga con la tisis, la vendetta che, implacabile, prima o poi si abbatte su chi troppo ha scommesso sulla potenza, sempre storicamente fragile, e sulla fortuna. Nella mitologia, con i reprobi come Edipo, erano gli dei a provvedere. Ma per simili dismisure invece delle Parche basta la Storia, ovvero altri uomini.

In questi tempi uraganosi, in cui si analizzano gli avvenimenti mondiali con la stessa disinvolta dissipazione dedicata ai prodotti del consumo, forse gli israeliani dovrebbero subito riflettere se sotto la guida di Netanyahu non si stiano macchiando proprio di quel peccato: l’idolatria della potenza.

La necessità di vendicare il pogrom di Hamas li sta intossicando con una illusoria mitologia della invincibilità: macchiandosi così di esagerazioni, eccessi, negazioni troppo assolute, compiacenze crudeli nella distruzione in un micro imperialismo da cannibali che può esser letale per le dimensioni di un paese annegato nelle insidie del levante dalle infinite polluzioni fanatiche. Non mi azzardo a cercare esempi biblici, mi limito alla definizione sovietica che lo bollava come “avventurismo’’. Precisione semantica che però non tenne lontani poi i gerarchi del Cremlino dal commettere proprio questo peccato tra le squarciate muraglie afghane. La tentazione purtroppo è forte.

Insomma: l’otto di ottobre si è partiti dalla necessità di risolvere il problema Hamas; poi, proprio perché non si riusciva a risolverlo a colpi di bombe, si è passati alla idea di svuotare la Striscia e perché no? Anche le bibliche Giudea e Samaria; poi per nascondere gli inutili eccessi si è passati a bombardare il Libano, la Siria, lo Yemen. Infine (si fa per dire!) in un crescendo di brutali ma non contrastate applicazioni della forza, si approda alla distruzione dell’arsenale atomico del Satana iraniano, allo sterminio mirato dei suoi dirigenti, alla distruzione delle infrastrutture stile Gaza, alla esecuzione prossima ventura della Guida suprema Khamenei. Ogni mattina la domanda è: cosa sta bombardando oggi Israele? Gaza, Damasco, Beirut, Sana’a, Tabriz, Qom, Teheran? E poi? Il linguaggio di Nethanyau è quello di un sedicente Mosè laico dotato di F-35: siamo padroni dei cieli… Allontanatevi, se volete evitare la distruzione… Abbiamo decapitato… Arrendetevi…. Sarete puniti come Saddam, eccetera.

Già. Dove si ferma la cosiddetta sicurezza di Israele? Nessuna voce si leva all’interno di un paese per ammonire: attenzione, da perseguitati non fatevi persecutori! L’albero della sicurezza, di tanto in tanto, deve davvero essere innaffiato con il sangue dei tiranni, dei fanatici ma anche di innocenti? O non è proprio questo metodo, alla fine, a soffocarne le radici? La sicurezza di Israele: comincio a detestare questa espressione adorata da taumaturghi a domicilio.

Il primo peccato di hybris risale al 1967, alla vittoria così totale, imprevedibile, da esser considerata definitiva. Si cominciò ad esempio a parlare della sponda occidentale del Giordano come «terra redenta». Sì, c’eran lì le tombe degli avi, dei patriarchi e delle matriarche, i sentieri percorsi un tempo dai profeti, le colline per cui si batterono i re di Israele. Ma i sentimenti avulsi dalla realtà non sono una politica, sono solo pericolosa confusione. Pagata con terrorismo, isolamento e patimenti.

Il mondo in cui stanno scatenando i loro devastanti Blitzkrieg è un mondo in cui ciò che sempre stato è diventato intollerabile. L’età dell’inerzia volge al termine, tutto deve cambiare e il mutamento sta cominciando subito. Nessuno, tanto meno il piccolo Israele può dire che cosa verrà da questo imperativo categorico. Le somme della violenza ormai si tirano ogni giorno e non è detto che alla fine i conti tornino. L’idea sionista era sobriamente realistica, i suoi leader sapevano bene di quanto potevano o non potevano disporre e si attenevano al loro obbiettivi: sopravvivere. Il bisogno di salvare gli ebrei, di rimettere il destino nelle loro mani, è diventata invece l’idea di una potenza regionale, di un esercito, con l’aggiunta del Mossad, a cui tutto è concesso.

Israele fu un movimento di superstiti. Ora la attuale classe dirigente israeliana, (ma solo lei?), è divenuta autistica, ovvero sostituisce alla realtà effettiva una fittizia frutto di desideri: la distruzione di Hamas fino all’ultimo gregario e simpatizzante, il cambio di regime in un paese di novanta milioni di abitanti, un nuovo vicino Oriente a controllo israeliano nientemeno con una platea di fetidi tirannelli arabi corrotti, interessati solo alla sopravvivenza, pronti per paura e vantaggi economici a obbedire da vassalli. Una fitta nebbia autistica mi pare stia avvolgendo Israele.

Il regno latino di Gerusalemme nato dalla Crociata alla fine dell’undicesimo secolo fu il primo precoce esperimento di colonia occidentale. Era, come Israele, minuscolo e circondato dall’Islam ostile. Fidava soprattutto nella superiorità militare: la cavalleria pesante era irresistibile per gli eserciti musulmani. Ma la sopravvivenza fu assicurata per un certo periodo di tempo soprattutto dalla volontà di quei nuovi abitanti del Levante di mescolarsi a quella storia, di impararne le regole, per rispettarle e diventarne parte. Alcuni politici lungimiranti dell’Occidente come re Riccardo e Federico II di Svevia appoggiarono quella integrazione sostituendo la diplomazia alla guerra santa. Il crollo iniziò quando gli zeloti latini si illusero di espandersi, di conquistare il Cairo e Damasco, per sentirsi “sicuri’’. Furono spazzati via senza lasciare tracce. Per i musulmani Israele altro non è che l’ultima colonia dell’Occidente.