(di Michele Serra – repubblica.it) – Si fa spesso notare che il bisogno di sicurezza non è abbastanza valutato a sinistra, e che averne smarrito l’importanza, specie tra i ceti meno difesi, è una grave inadempienza politica dei progressisti, che l’hanno pagata con milioni di voti in meno. La critica è legittima. Ma andrebbe sempre affiancata da una osservazione ugualmente importante: le politiche securitarie e poliziesche della destra non sono una risposta alla domanda di una vita più sicura e più pacifica. E anzi.

Chiunque abbia parenti o amici in America ne registra lo stato d’ansia crescente, il sentimento di insicurezza, la preoccupazione per il futuro. La tensione politica alle stelle, la Guardia Nazionale mobilitata a sproposito, la xenofobia rivendicata come metodo di igiene sociale, le esibizioni di brutalità ai danni dei non tutelati, l’ostracismo agli studenti stranieri, sono un problema anche per i tutelati. Un potere che minaccia e discrimina non garantisce nessuno e mette in allarme anche molti di coloro che, fino a un attimo fa, non lo erano.

Non è solo il migrante non in regola, a sentirsi sotto tiro. Ci sono scienziati e professionisti in partenza per gli Stati Uniti che si passano l’un l’altro la raccomandazione di non portare con sé computer, tablet o qualunque apparecchio con dati sensibili: è la tipica preoccupazione di chi arriva in uno Stato di polizia. E quando la mia amica A., da una vita per turismo o per lavoro a New York un paio di volte all’anno, mi dice “quest’anno preferisco non andarci, era casa mia, ora non mi sento più sicura come prima”, trovo conferma: sentirsi meno liberi vuol dire sentirsi meno sicuri.