
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Accecati dalla logica binaria da curve ultrà – Impero del Bene/Impero del Male, filoucraini/putiniani, democratici/trumpiani, europeisti/sovranisti, riformisti/populisti – rischiamo di perderci la realtà che, almeno fuori dall’Italia, è in continuo movimento. Nella Germania del cancelliere Merz che promette “l’esercito più grande d’Europa”, butta mille miliardi nel riarmo, straparla di truppe a Kiev con gli altri “volenterosi” e attende […]
Novità dal fronte Est
Accecati dalla logica binaria da curve ultrà – Impero del Bene/Impero del Male, filoucraini/putiniani, democratici/trumpiani, europeisti/sovranisti, riformisti/populisti – rischiamo di perderci la realtà che, almeno fuori dall’Italia, è in continuo movimento. Nella Germania del cancelliere Merz che promette “l’esercito più grande d’Europa”, butta mille miliardi nel riarmo, straparla di truppe a Kiev con gli altri “volenterosi” e attende con ansia i nuovi euromissili da puntare contro Mosca, un gruppo di deputati dell’Spd sua alleata spacca il Partito Unico della Guerra e firma un documento con la colomba della pace nel logo del partito: no al riarmo, al 5% di Pil in spese militari e agli euromissili Usa, sì a negoziati con la Russia per tornare all’ostpolitik da Brandt alla Merkel. Un nein grosso così alle politiche di Merz&Ursula, ma soprattutto dei socialdemocratici Klingbeil (vice-cancelliere e ministro delle Finanze) e Pistorius (Difesa), che agitano lo spaventapasseri dell’imminente invasione russa per ingrassare Big Arma. I pacifisti Spd chiedono che “il rispetto del diritto internazionale in Ucraina sia legato ai legittimi interessi di sicurezza e stabilità di tutti gli Stati”, inclusa la Russia, e definire “un nuovo ordine senza l’uso della forza”. È ciò che chiede la sinistra alternativa di Sahra Wagenknecht, scomunicata come populista, sovranista e putiniana: se i dissidenti dell’Spd votassero in dissenso, il traballante Merz avrebbe qualche problema in più, con un bell’effetto domino sulle Euro-Sturmtruppen.
Qualcosa si muove anche in Polonia, dove il governo dell’europeista “liberale” Tusk contende ai tedeschi e ai baltici il primato delle fregole guerrafondaie. Dopo la sconfitta del suo candidato alle Presidenziali, vinte da quello di destra Nawrocki (contrario a inviare truppe all’Ucraina e a farla entrare nell’Ue e nella Nato), Tusk ha riavuto la fiducia in Parlamento con un interessante discorso: “So bene cosa significa l’immigrazione illegale per il futuro della Polonia, dell’Europa e della nostra civiltà. Farò tutto il possibile per ridurre l’immigrazione praticamente a zero: ogni giorno effettuiamo deportazioni di migranti” e alla frontiera bielorussa “tutto è monitorato con droni, telecamere e soldati: abbiamo costruito una vera barriera, la cui efficacia è aumentata dal 30 al 98%”. È il muro anti-migranti eretto dal precedente governo di destra “sovranista”, che Tusk si vanta di aver potenziato. Poi annuncia controlli al confine tedesco e la revoca dell’accordo con la Georgia che consente ai suoi cittadini di entrare in Polonia senza visto. Più “deportazioni” per tutti. Fortuna che chi parla è un europeista liberale, sennò l’avrebbero già sbattuto fuori dall’Europa.
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Un GRAZIE alla redazione di Infosannio……
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Intanto, la nostra amata premier si piega agli ordini di Rutte…
https://www.lanotiziagiornale.it/meloni-agli-ordini-di-rutte-con-le-destre-si-passa-dallo-stato-sociale-allo-stato-militare/
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Come dicevano in Apocalypse Now prima li facciamo a fette con le mitragliatrici e poi distribuiamo i cerotti.
Perché noi siamo i buoni, ah! (questo è Marshal Law di P.Mills e K. O’Neil, dove nel volumetto Marshal Law takes Manhattan il protagonista dice anche ”La tortura, americana come la torta di mele!”)
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Ho l’impressione che MT abbia letto (finalmente!) il libro di Shara Wagenknecht, che io ho più volte pubblicizzato e di cui persino ho copiaincollato la prefazione di Vladimiro Giacchè (lo farò ancora a fine commento). Immagino che le sue ultime posizioni, peraltro molto discusse in questo blog, abbiano avuto questa origine. Ne sono compiaciuto. Però mi chiedo: ma se appoggia la nuova posizione di parte dei socialdemocratici tedeschi antitetici a Scholz, sarebbe strano che non appoggiasse quella metà PD (alias Elly) che sembra essersi finalmente emancipata dalla parte renziana che a sua volta annuncia sfracelli persino congressuali. Una parte dell’Spd tedesco sì, e metà PD no? Sarebbe strano.
Detta altrimenti: se al possibile congresso del PD la metà renziana si scindesse o comunque venisse sconfitta, non sarebbero contenti coloro (compreso Arsenio) che appoggiano MT nell’aver paradossalmente “demonizzato” la povera Schlein??
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Sahra Wagenknecht
CONTRO LA SINISTRA
NEOLIBERALE
prefazione di Vladimiro Giacché
«“Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata e dovevano mantenersi con lavori duri e spesso poco stimolanti. Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile. Chi era di sinistra credeva nella capacità della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati».
Credo che i lettori non faranno fatica a condividere questa descrizione proposta da Sahra Wagenknecht nel primo capitolo del suo libro. Questa descrizione è anche il miglior punto di partenza per introdurre quelle che ritengo siano le tesi principali di questo testo, quelle che lo rendono un libro importante e opportunamente scandaloso.
Un tempo la sinistra era questo, in effetti. E oggi? Oggi le cose sono parecchio cambiate. Se un tempo al centro degli interessi di chi si definiva di sinistra vi erano problemi sociali ed economici, oggi non è più così. Adesso, osserva l’autrice, «l’immaginario pubblico della sinistra sociale è dominato da una tipologia che definiremo da qui in avanti sinistra alla moda [l’originale tedesco è Lifestyle-Linke, letteralmente ‘sinistra dello stile di vita’], in quanto chi la sostiene non pone più al centro della politica di sinistra problemi sociali e politico-economici, bensì questioni riguardanti lo stile di vita, le abitudini di consumo e i giudizi morali sul comportamento. [… ] Il rappresentante della sinistra alla moda [… ] è cosmopolita e ovviamente a favore dell’Europa […]. Si preoccupa per il clima e si impegna in favore dell’emancipazione, dell’immigrazione e delle minoranze sessuali. È convinto che lo Stato nazionale sia un modello in via di estinzione e si considera cittadino del mondo senza troppi legami con il proprio paese». Il rappresentante della sinistra alla moda non può – né desidera – essere definito un “socialista”, neppure nell’accezione socialdemocratica del termine: semmai un liberale di sinistra.
La concezione stessa del fare politica e delle sue finalità appaiono profondamente mutate: «Non si tratta più di cambiare la società, ma di trovare conferma di sé, tanto che anche la partecipazione alle manifestazioni diviene un atto di realizzazione personale: ci si sente a posto con la propria coscienza a manifestare per il bene insieme a persone che la vedono nello stesso modo». In effetti, credo che chiunque di noi abbia fatto esperienza di manifestazioni che avevano più l’aspetto di giocose performance teatrali che di dimostrazioni della volontà di lotta su temi specifici.
Beninteso, non si può dire che questa nuova sinistra alla moda rifugga dal conflitto in quanto tale. Il problema è che non di rado esso è rivolto verso l’obiettivo sbagliato. Come osserva Wagenknecht, in effetti «la sinistra alla moda risulta poco simpatica anche perché, pur sostenendo una società aperta e tollerante, mostra di solito nei confronti di opinioni diverse dalle proprie un’incredibile intolleranza, che non ha nulla da invidiare a quella dell’estrema destra. Questa scarsa apertura deriva dal fatto che il liberalismo di sinistra, secondo la concezione dei suoi sostenitori, non è un’opinione, bensì una questione di decoro. Chi si discosta dal canone dei loro precetti, appare agli occhi dei liberali di sinistra non semplicemente come un individuo che la pensa in modo diverso, ma come una persona cattiva, forse persino un nemico dell’umanità o addirittura un nazi».
Di questo atteggiamento intollerante e presuntuoso (non per caso il titolo originale del libro è Die Selbstgerechten, ossia ‘I presuntuosi’) la stessa Wagenknecht offre diversi esempi. Ne ripropongo uno che reputo significativo. Nel 2019 i giovani di Fridays for Future che si erano radunati in corteo a Lausitz (nell’Est della Germania) per richiedere l’uscita dal carbone si videro marciare contro i circa mille abitanti del paese, che intonavano i canti dei minatori. E non trovarono nulla di meglio da fare che insultare queste persone – i cui mezzi di sussistenza dipendevano dalla miniera di carbone – con l’appellativo di “nazi del carbone”. Le etichette dispregiative che la sinistra liberale e alla moda ama applicare ai propri avversari coprono del resto un ampio ventaglio di posizioni: «Chi si aspetta che il proprio governo si occupi prima di tutto del benessere della popolazione interna e la protegga dal dumping internazionale e da altre conseguenze negative della globalizzazione – un principio, questo, che per la sinistra tradizionale sarebbe stato ovvio – viene oggi etichettato come nazionalsociale, a volte persino con il suffisso -ista» (quindi “nazionalsocialista”, cioè nazista). E ovviamente «chi non trova giusto trasferire sempre più competenze dai parlamenti e dai governi prescelti a un’imperscrutabile lobbycrazia a Bruxelles è di certo un antieuropeo». Anche in Italia, come sappiamo, chi desidera che l’immigrazione sia regolamentata è un razzista, chi ritiene che il Trattato di Maastricht e la moneta unica abbiano molto nuociuto ai lavoratori e alla nostra economia è un “nostalgico della liretta” e probabilmente un “rossobruno”, chi dubita della sensatezza della conversione forzata dai motori a scoppio all’elettrico è un “negazionista del clima”, chi ritiene che lo Stato debba recuperare alcune sue fondamentali prerogative è una persona fuori dal tempo quando non direttamente un fascista.
Verso questo approccio ai problemi convergono in verità due distinte metamorfosi avvenute all’interno dei partiti di sinistra in Europa: da una parte, la defocalizzazione dal tema dei diritti sociali a quello dei diritti civili (e, più di recente, della salvaguardia ambientale); dall’altro – almeno per quanto riguarda i partiti socialdemocratici –, la sostanziale adesione alla visione neoliberale della “modernizzazione” economica.
Correttamente l’autrice individua il punto di svolta, a quest’ultimo riguardo, nella cosiddetta “terza via” di Clinton, Blair e Schröder, che diede inizio alla seconda ondata di riforme economiche neoliberali dopo quella di Reagan e di Thatcher, trovando illustri emuli anche nella sinistra italiana. Questa combinazione di liberalismo di sinistra e liberismo economico ha generato il modello politico che la filosofa americana Nancy Fraser ha definito “neoliberismo progressista”.
Precisamente l’affermarsi a sinistra di questo modello secondo Wagenknecht ha spianato la strada alle vittorie della destra, che negli ultimi anni hanno cominciato a connotare le elezioni in numerosi paesi occidentali. Ovviamente, la risposta del liberale di sinistra alla domanda perché alle elezioni vinca la destra sarà che «a votare le destre sono persone che rifiutano la società liberale, che preferiscono le soluzioni autoritarie» e che sono caratterizzate da atteggiamenti ostili nei confronti di immigrati, minoranze e omosessuali.
Ma c’è una seconda risposta a questo interrogativo. Questa risposta – osserva l’autrice – «ci dirà che il liberismo economico, la globalizzazione e lo smantellamento dello Stato sociale hanno peggiorato la vita di molti, o quantomeno hanno costretto molti a fare i conti con incertezze maggiori e con la paura del futuro. E ci dirà che l’orientamento liberale di sinistra, quello che domina la stampa, ha dato loro anche la sensazione che i loro valori e il loro modo di vivere non fossero più rispettati, ma moralmente condannabili». La seconda risposta parte insomma dal presupposto «che gli elettori votano a destra perché sono stati abbandonati da tutte le altre forze politiche e non si sentono più apprezzati dal punto di vista culturale». Questi elettori vedono nel liberalismo di sinistra un duplice attacco nei propri confronti: «un attacco ai loro diritti sociali, in quanto descrive come modernizzazioni progressiste proprio quei cambiamenti che hanno sottratto loro il benessere e la sicurezza»; ma al tempo stesso «un attacco ai loro valori e al modo in cui vivono, che nella narrazione liberale di sinistra viene svalutato moralmente e squalificato come retrogrado».
Qui in verità si intersecano due ordini di problemi: il primo riguarda l’effettiva rappresentanza di classe dell’attuale liberalismo di sinistra, il secondo i suoi valori. Riguardo a entrambi Wagenknecht è tranchant.
Sulla rappresentanza di classe: «Oggi, quando parliamo di sinistra, ci riferiamo a una politica che si occupa degli interessi del ceto medio laureato, organizzata e diretta da chi ne fa parte. Però è questo ceto sociale, insieme a quello superiore, a risultare vincente dopo tutti i cambiamenti degli ultimi decenni: ha tratto vantaggi dalla globalizzazione e dall’integrazione europea», nonché, «almeno in parte, anche dallo status quo dell’economia liberista». In realtà, «sono proprio gli sviluppi che hanno reso più ardua la vita dei vecchi elettori dei partiti di sinistra ad avere creato le condizioni per l’ascesa e la posizione privilegiata del ceto sociale che ha una formazione universitaria e che vive in città». E in effetti anche nelle nostre grandi città a votare a sinistra sono soprattutto gli abitanti del centro storico e dei quartieri bene (la cosiddetta “sinistra della ZTL”).
Quanto ai valori: ciò che oggi va sotto il nome di liberalismo di sinistra è la “grande narrazione” del ceto medio dei laureati e degli accademici, di cui rispecchia valori e interessi. In definitiva, «il liberalismo di sinistra vede la storia degli ultimi decenni dall’ottica dei vincitori: una storia di progresso e di emancipazione», al cui centro ci sono «i valori individualistici e cosmopolitici».
Tra gli aspetti importanti di questo libro vi è per l’appunto il coraggio di mettere direttamente in questione valori quali l’individualismo e il cosmopolitismo. Wagenknecht osserva infatti che «con questi valori si può sottrarre legittimità tanto a una concezione dello Stato sociale elaborata entro i confini dello Stato nazionale, quanto a una concezione repubblicana della democrazia. Ricorrendo a questo canone di valori, è possibile inserire il liberismo economico, la globalizzazione e lo smantellamento delle infrastrutture sociali in una narrazione che li fa apparire alla stregua di cambiamenti progressisti: una narrazione che parla di superamento dell’isolamento nazionalista, dell’ottusità provinciale e di un opprimente senso della comunità, una narrazione a favore dell’apertura al mondo, dell’emancipazione individuale e della realizzazione di sé». Conseguentemente, nella seconda parte del libro, dedicata a un programma politico alternativo alle idee del liberalismo di sinistra, ha un ruolo chiave la rivendicazione dell’importanza dei vincoli comunitari, unita all’osservazione che questi vincoli conservano il loro valore di collante sociale soltanto all’interno di contesti circoscritti e delimitati.
«Senza i vincoli di comunità», osserva l’autrice, «non esiste alcuna res publica». Comunità, politica e democrazia sono concetti tra loro saldamente connessi. «Non è un caso, quindi, che il concetto moderno di nazione come comunità dei cittadini di un paese sia stato formulato per la prima volta in modo consapevole durante la Rivoluzione francese e messo in rapporto diretto con la pretesa di una configurazione democratica degli affari comuni. Con il dissolvimento di questo senso di comunità [… ] scompare, dunque, anche il presupposto essenziale per una politica che possa quantomeno mettere un freno al capitalismo e, in prospettiva, persino superarlo». L’opposto di “comunità” non è, quindi, la libertà individuale, ma la libertà del potere economico di delocalizzare imprese, di fare arbitraggio tra sistemi fiscali, di aggirare – a vantaggio di pochi – le protezioni sociali costruite in decenni per la maggioranza delle persone.
Ma il vero obiettivo dell’attacco alla comunità è in realtà un altro: è lo Stato. Ed è precisamente su questo terreno che la continuità tra la narrazione neoliberista e la sua variante di sinistra emerge con particolare evidenza.
«Lo Stato», osserva Wagenknecht, «ha sempre avuto un posto come nemico nella narrazione neoliberista. È avido e inefficiente, troppo invasivo con le proprie regole e presuntuoso nel modo di organizzarsi. È abbastanza chiaro dove vuole andare a parare questa narrazione: occorre dissolvere lo Stato sociale, che è diventato troppo costoso per le élite economiche, privatizzare il più possibile i servizi pubblici e tagliare i costi dell’amministrazione, fino a quando essa, disperata, non si sottometterà all’economia privata e si affiderà in sempre più ambiti alla sua (ovviamente mai disinteressata!) consulenza e professionalità».
Ora, la variante di sinistra di questo attacco allo Stato consiste nel rappresentare lo Stato nazionale «non solo come obsoleto, ma addirittura come pericoloso, ovvero potenzialmente aggressivo e guerrafondaio. Per questo i contributi del liberalismo di sinistra sul tema culminano quasi sempre con l’avvertimento che non ci deve essere un ritorno allo Stato nazionale, come se esso facesse parte del passato e noi vivessimo già in un mondo transnazionale». In Italia, come è noto, sono molto in voga a sinistra anche le varianti dello “Stato incapace/corrotto/sprecone” (evidentemente per limiti ontologici dei nostri connazionali), che quindi deve cedere quanti più poteri e prerogative possibili a un’Unione Europea certamente benevolente e comunque più “seria” di quanto siano i cittadini di questo paese e coloro che li rappresentano.
Per quanto caratteristica del nostro paese, questa posizione ha qualcosa in comune col liberalismo di sinistra in quanto tale descritto da Wagenknecht nel suo libro. Quest’ultimo infatti si distingue dal neoliberismo anche perché «non è a favore di un passaggio del potere governativo dagli Stati direttamente alle multinazionali. La sua idea è semmai lo slittamento delle strutture democratiche su un piano transnazionale. Per questo, riguardo all’Unione Europea, propone un’integrazione più profonda che si spera possa sfociare in uno Stato federale europeo con un Parlamento perfettamente funzionante e un governo europeo. Spesso, in relazione a questo tema, si sente dire che gli Stati nazionali nel mondo globalizzato di oggi non sono comunque già più in grado di portare avanti una politica sociale ed economica sovrana. La necessità delle strutture decisionali transnazionali auspicate viene così giustificata col fatto che solo in questo modo la politica potrà tornare a essere veramente democratica».
L’autrice contesta questo punto di vista sotto un duplice profilo. Intanto, non ha alcun senso parlare di una “incapacità di agire” degli Stati nazionali. In ogni grande crisi degli ultimi decenni, «che sia il collasso delle banche o il coronavirus che ha messo in ginocchio l’economia, gli Stati nazionali ormai dichiarati morti hanno dimostrato di essere gli unici attori realmente in grado di agire». In effetti sono stati gli Stati a salvare il sistema finanziario «con enormi pacchetti finanziari di salvataggio» (non a caso definiti “aiuti di Stato”) o, «nella crisi legata al COVID-19, a mobilitare centinaia di miliardi in aiuti per la loro economia». Non solo: «Gli Stati nazionali sono anche l’unica istanza che al momento corregge in modo significativo gli esiti del mercato, distribuisce i redditi e garantisce la sicurezza a livello sociale».
Ma è soprattutto l’idea che l’UE possa essere il motore di una rivitalizzazione della democrazia a rappresentare una pericolosa illusione. È vero il contrario: «Il progressivo scivolamento delle competenze decisionali dal piano nazionale, più controllabile ed esposto alla sorveglianza pubblica, a quello internazionale, poco trasparente e facilmente manovrabile da banche e grandi imprese, significa allora soprattutto una cosa: la politica perde il suo fondamento democratico». Da questo punto di vista, gli stessi diritti attribuiti al Parlamento europeo sono non soltanto ben poco rilevanti, ma rappresentano in ultima analisi la foglia di fico che copre malamente una deterritorializzazione delle decisioni politiche a vantaggio di poteri sovranazionali opachi e sostanzialmente privi di legittimazione democratica.
A quella pericolosa illusione “europeista” Wagenknecht contrappone un solido realismo: «il livello più alto in cui potranno esistere istituzioni, che si occupino del commercio e della soluzione di problemi condivisi e siano controllate in modo democratico, non sarà in tempi brevi né l’Europa né il mondo. Sarà, invece, il tanto vituperato e troppo precocemente dato per morto Stato nazionale. Esso rappresenta al momento l’unico strumento a disposizione per tenere sotto controllo i mercati, garantire l’uguaglianza sociale e liberare determinati ambiti dalla logica commerciale. È quindi possibile ottenere maggiore democrazia e sicurezza sociale non limitando, bensì accrescendo la sovranità degli Stati nazionali».
Pertanto non solo non bisogna cedere altri poteri a Bruxelles, ma occorre rinazionalizzare una parte di quelli che sono stati già ceduti: l’autrice si dichiara in effetti a favore di «un’Europa di Stati democratici sovrani». Sono questi Stati gli unici possibili attori di quel rafforzamento del settore pubblico dell’economia, di quella «deglobalizzazione sensata della nostra economia» e di quella «deglobalizzazione radicale dei mercati finanziari» che rappresentano aspetti essenziali del programma politico che Wagenknecht propone nella seconda parte del suo libro.
Non mi è possibile entrare nel merito di tale programma, in buona parte condivisibile. Desidero invece riproporre un passo delle conclusioni del libro di Sahra Wagenknecht: «Negli ultimi decenni, nelle società occidentali, il modo di vivere e di lavorare degli uomini è cambiato considerevolmente e anche quello di ripartire i frutti del loro lavoro. Questi mutamenti non sono l’esito peculiare di innovazioni tecnologiche, ma il risultato di scelte strategiche prese a livello politico. In molti campi ne è venuto fuori il contrario di quello che ci era stato promesso. Il credo neoliberale della competitività, con cui erano stati fondati la globalizzazione, il liberismo economico e le privatizzazioni, ha scacciato la concorrenza equa. La fede cieca nella saggezza dei mercati ha portato alla nascita di imprese enormi che dominano il mercato e a monopolisti digitali potentissimi, che oggi impongono il loro tributo a tutti gli altri operatori e distruggono la democrazia. Al posto di un’economia dinamica, ne è sorta una scarsamente innovativa, che profonde un sacco di soldi in modelli di business dannosi per la collettività e che ci rendono quasi impossibile risolvere i problemi davvero importanti».
Credo che queste righe consentano di porre in luce conclusivamente il principale pregio di questo libro: che consiste nel mettere a nudo le promesse non mantenute del mondo neoliberale e nell’indicare con coraggio una strada diversa. Senza paura di andare controcorrente e di opporsi ai dogmi della sinistra liberale e alla moda. Ogni possibile ripresa di un pensiero critico e di una politica che intenda cambiare in meglio la nostra società non potrà che passare per un confronto serio con i problemi sollevati in questo testo.
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La prefazione del libro l’ho incollata ma la moderazione se ne è stavolta appropriata. Non è un buon segno. Spero in un sussulto di generosità nelle alte sfere di infosannio.
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@ GAE Ti stupirebbe scoprire che la linea Schlein non è solo maggioritaria, ma è anche largamente appoggiata dall’elettorato del PD. La crescita nel numero di iscritti, di votanti e anche di simpatizzanti è dimostrata dai numeri, non solo nei sondaggi, ma anche delle ultime elezioni, dove la virata a sinistra sta piacendo ai vecchi elettori persi per strada. Del resto ES è una segretaria che continua a rifarsi a Berlinguer come modello, che va nelle fabbriche e inizia i suoi discorsi chiedendo scusa per le politiche del PD degli ultimi anni. Questo vuol dire che il PD ha risolto i suoi problemi? NO! Ma che almeno ci stia tentando possiamo dirlo. Il tempo dirà come andranno le cose, però l’alternativa a non provarci nemmeno è tenerci quello che abbiamo.
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@GAE grazie per la segnalazione del libro. Ho letto la prefazione e devo dire che, oltre ad acquistare il libro, penso che evidenzi alcuni errori e contraddizioni in cui io stesso mi ci ritrovo. Dare del fascista a chi non comprende la terminologia woke è effettivamente un fallo di reazione più dettato dalla frustrazione che dall’interlocutore fascista. Come è anche vero che appartengo alla classe media che maggiormente usufruisce delle politiche fiscali della destra. Però non per questo, posso scordare che vengo da una famiglia di muratori, mestiere che fortunatamente ho svolto anch’io per pagarmi gli studi. Il fatto che sia classe media e che abbia usufruito di una politica favorevole non può inficiare e non può essere discriminante nei miei confronti. Esempio: Io sono il primo che chiede l’abolizione del forfetario, e pazienza se pagherò più tasse. E’ più equo e in questo credo fermamente. Comunque ora leggerò tutto il libro e poi ti dirò. Per ora grazie per la segnalazione
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GAE il tuo mi pare un ragionamento più che valido. Ma per MT la sinistra fa male a priori anche quando tenta di far bene.
E poi come sempre all’articolo, come tra l’altro fa notare benissimo Mathias sopra, manca un convitato di pietra, il nostro PdC che sta portando l’Italia al riarmo.
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Egregio Gae, noto che c’è ancora qualcuno che si fida del PD o almeno, di una sua parte. Se ripenso agli ultimi 25 anni della sua storia, non riesco a trovare personaggi, narrazioni, fatti positivi. Per quanto mi riguarda sono AVVERSARI, né più né meno della destra. Per quel che concerne la sig.ra Schlein ha avuto successo in ciò che sembra essere stato il compito affidatole: sabotare il partito e la sinistra. Alla larga …
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Quando caccierà cacicchi e capibastone dal partito e i “suoi” parlamentari seguiranno la sua linea e smetteranno di votare l’esatto contrario, sarà credibile.
Se predichi bene e razzoli male la credibilità non c’è la puoi avere. Se c’è l’avrà, ben venga, perché ci sarà un’alternativa credibile e concreta ai melones!
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@flamenco 1967
hai detto cose ovvie (non voglio assolutamente sminuirle, ormai evidenziare l’ ovvio è operazione assennata che in pochi riescono a fare, perciò il mio è un complimento), sensate e vere.
E lo sono a tal punto che risulteranno incomprensibili o sgradite (ai più..).
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Dipende dall’evoluzione dell’eventuale scissione o sconfitta (?) che di per sé, accadendo nel PD, desterebbero preoccupazioni sul futuro dell’intero Parlamento. La legge di Murphy comunque è la teoria applicabile più attendibile quando si tratta di PD.
Spero di sbagliarmi, anche se l’esperienza che genera la cruda realtà del pessimismo, quando si parla di PD, è meglio di un ottimismo buttato lì per fare bella figura.
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Anche per l’Austria Zeze è diventato persona non grata:
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E vai con la propaganda !!!!!
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TRA TE e il tuo ALTER EGO, ci fosse stata una sola contestazione, UNA, su quel che ha detto Lilin.
Siete patetici per quanto deficienti.
L’Austria è favorevole o no all’Ucraina? Pare proprio di NO.
Vi rode?
Ca22i vostri!
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Ma come si fa ad informarsi da un personaggio come Lilin, da cui persino Santoro si è dissociato (dopo averlo candidato)? Non ho parole.
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Lilin si è “radicalizzato” da un anno, forse poco più. Prima era una voce “diversa” dal mainstream ma interessante.
Ora si è incattivito e ha perso di equilibrio nelle valutazioni.
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Basta dare un’occhiata ai suoi profili social per verificare che certe posizioni le ha sempre avute, ben prima dell’ultimo anno…
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Toh! Gli austriaci ne hanno fatta una giusta!
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Ma quanto è grossa la fronda che si è opposta nei socialdemocratici tedeschi ? Il governo di Merz è nato già con difficoltà quindi basterebbe poco a metterlo in minoranza . Non vorrei che facessero come da noi : siamo contrari ma approviamo per ordine di partito.
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Ancora non è successo, ma mi aspetto il solito purista che lo pensi e me lo rinfacci, tipo: ma cosa c’entra con la obamiana Elly il luminoso libro della Wagenknecht?? Non sarai mica impazzito a confondere “il burro con la ferrovia” (direbbe Bersani)??
Bene, in effetti ciò che mi divide dalla Elly è solo qualche milioncino di anni luce. Altra testa, altra formazione… non ultimo il mio solenne giuramento che piuttosto di votare il PD accetterei volentieri la tortura con la garrota seguita da morte certa. Dico solo, per dirla in breve, che è una poveretta che tenta di farcela e per ciò stesso va aiutata se non altro per la buona volontà – peraltro non sempre coronata da successo – dimostrata finora in quel covo di serpenti a sonagli che è il suo partito. Vedremo cosa realmente combinerà. Già immagino, nel 2027, l’alleanza elettorale per battere la Melona. Alleanza concorrenziale al suo interno che vedrà soprattutto Conte giocarsi (giustamente) la vita per essere l’anima critica della stessa combriccola giocoforza ecumenica. Vedremo chi prevarrà e di quanto, per poi delineare, in caso di vittoria, un possibile governo discretamente innovativo. Vedremo l’esito della disfida interna a base di pedigree concorrenti. Comunque… Hasta Siempre Comandante!
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Sarei tentato, vista la generosità di infosannio, di aggiungere la PREMESSA scritta di suo pugno dalla stessa autrice del libro.
Massì…ddddààààiiiiii…. meglio abbondare che lesinare!
CONTRO LA SINISTRA NEOLIBERALE
premessa di Saha Wagenknecht
Mentre scrivevo questo libro, gli Stati Uniti hanno visto un’escalation di conflitti. Sostenitori e avversari di Trump hanno ingaggiato una lotta senza esclusione di colpi. Da tempo, a un cambio al timone di un governo democratico non si accompagnavano tanta incertezza, tanto odio e tanta violenza. Il giorno dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, a Washington, il Campidoglio era una fortezza in stato di guerra.
Per quanto, negli Stati Uniti, le spaccature siano più profonde e le contraddizioni sociali particolarmente grandi, per quanto il surriscaldarsi degli animi rappresenti un pericolo non da poco, visto che molti cittadini statunitensi possiedono armi, l’America non è un caso isolato. Non è inverosimile, purtroppo, che in futuro le immagini provenienti dagli Stati Uniti possano essere replicate anche qui, come riflesse da uno specchio ustorio… a meno che non avremo il coraggio di imboccare al più presto una strada nuova. Anche la Germania, infatti, è profondamente spaccata. Anche nel nostro paese la coesione sociale va dissolvendosi. Anche nel nostro paese, quelle che un tempo erano comunità unite sono spesso afflitte da divisioni e ostilità. Bene comune e senso civico sono termini pressoché spariti dal vocabolario di ogni giorno. Ciò che definiscono non sembra più fatto per il nostro mondo.
Addio argomenti, ecco le emozioni
Con la pandemia, la situazione è peggiorata ulteriormente. Mentre milioni di persone con lavori spesso malpagati continuavano a fare tutto il possibile per mantenere in piedi la nostra vita sociale, su molti media, nei siti internet, su Facebook e Twitter regnava un’atmosfera da guerra civile. Una spaccatura capace di dividere famiglie e di mettere fine ad amicizie. Sei favorevole o contrario al lock-down? Usi l’app di tracciamento? Ma davvero, dice, davvero lei non vuole vaccinarsi? Chi ha messo anche solo parzialmente in dubbio il senso e l’utilità di chiudere nidi e scuole, ristoranti, negozi e molte altre attività si è sentito accusare e definire indifferente di fronte alla morte di tante persone. Chi, contemporaneamente, riconosceva la pericolosità del nuovo coronavirus veniva aggredito allo stesso modo da quelli che vedevano in ogni misura adottata un mezzo per seminare il panico. E il rispetto per chi la pensa diversamente? E la riflessione ponderata sugli argomenti? Scordiamoceli. Invece di discutere tra noi, abbiamo fatto a chi urlava di più.
La cultura della discussione, però, la nostra società non l’ha persa con l’arrivo della pandemia. Già in passato c’erano stati dibattiti controversi condotti in maniera simile. Facendo cioè della morale invece di argomentare. Un concentrato di emozioni ha sostituito i contenuti e le motivazioni. Il primo dibattito in cui tutto questo è emerso è stato quello sull’immigrazione e sulla politica da adottare nei confronti dei migranti, tema che, dopo l’apertura dei confini tedeschi, nell’autunno 2015, ha oscurato per quasi tre anni tutti gli altri. Allora la narrazione governativa non parlava di lockdown, ma di cultura dell’accoglienza, e le obiezioni erano non meno sgradite di quelle espresse durante la pandemia. Mentre il pensiero politico dominante, a sua volta, bollava come razzista chi manifestava preoccupazione o accennava ai problemi derivanti da un’immigrazione incontrollata, sul fronte opposto dello schieramento politico si formava un movimento che paventava l’imminente tramonto dell’Occidente. Il tenore e i toni della discussione avevano più o meno la stessa acrimonia che ha caratterizzato il dibattito su quale fosse la politica giusta per contrastare la diffusione del coronavirus.
Non molto più obiettivo è stato il dibattito sul clima che ha dominato il 2019. Allora non si temeva il tramonto dell’Occidente, ma quello dell’umanità intera. Gli ambientalisti che ritenevano opportuno reagire con il panico combattevano contro veri e presunti negazionisti della crisi climatica. Una lotta che non ha risparmiato chi continuava ad andarsene in giro con il suo diesel, chi comprava la carne al discount o chi poteva permettersi di pagare di più l’energia e i carburanti. Intanto, al Bundestag, quello che era ormai diventato il più grande partito di opposizione, Alternative für Deutschland (AfD, Alternativa per la Germania), rispondeva a suon di cannonate contro la «lurida dittatura d’opinione dei sinistro-verdi».
Pare proprio che la nostra società abbia disimparato a discutere dei suoi problemi senza aggredire e con un minimo di educazione e rispetto. A sostituire la disputa democratica tra idee oggi sono i rituali emotivizzati dell’indignazione, della diffamazione morale e dell’odio palese. Tutto questo fa paura. Dall’aggressione verbale alla violenza vera e propria, infatti, il passo è breve, come ci dimostrano anche le vicende statunitensi. Ecco quindi che sorge un interrogativo: da dove viene l’ostilità che ormai spacca la nostra società su quasi tutti i temi di maggiore importanza?
Chi avvelena l’opinione pubblica?
La classica risposta a questa domanda recita: la colpa è della destra in ascesa. È colpa di politici come Donald Trump, che con le sue aggressioni verbali e i suoi tweet malevoli ha aizzato la gente seminando risentimento e discordia. È colpa di partiti come AfD, che fomentano l’odio e diffondono campagne denigratorie. È colpa, infine, dei social media, che fungono da gigantesca cassa di risonanza per le menzogne e per i commenti astiosi e che consentono agli utenti di muoversi soltanto nella propria bolla.
C’è del vero. I politici di estrema destra contribuiscono senz’altro ad avvelenare il clima politico. Gli Stati Uniti dopo Donald Trump sono un paese ancora più spaccato degli Stati Uniti prima di Donald Trump. Se il politico di AfD Björn Höcke vorrebbe, senza tante cerimonie, «ausschwitzen» [verbo che, letteralmente, significa ‘espellere sudando’ ma foneticamente appare come la trasformazione in verbo del nome “Auschwitz”, N.d.T.] chi la pensa diversamente, a noi viene la pelle d’oca. È anche vero che i social media favoriscono l’aggressività e i comportamenti più bassi perché sono fatti proprio per questo. Tutto ciò non ha migliorato la nostra cultura della discussione. Questa però è solo una parte della spiegazione. La verità, infatti, è che l’opinione pubblica non viene avvelenata solo da destra. Una destra più forte non è la causa, ma solo il prodotto di una società profondissimamente dilaniata. Non ci sarebbe stato nessun Donald Trump, e nessuna AfD, se gli avversari di entrambi non avessero preparato il terreno al loro avvento.
Hanno preparato l’ascesa delle destre dal punto di vista economico, distruggendo le garanzie sociali, liberando i mercati da ogni vincolo e amplificando all’estremo le disparità sociali e l’incertezza economica dei cittadini. Molti partiti socialdemocratici e di sinistra hanno però appoggiato l’ascesa delle destre anche dal punto di vista politico e culturale, schierandosi dalla parte dei vincitori mentre molti dei loro portavoce invitavano a disprezzare i valori e il modo di vivere di quello che un tempo era il loro elettorato, con i suoi problemi, le sue rimostranze e la sua rabbia.
Il liberalismo di sinistra: un nome fuorviante
Per la visione del mondo di queste nuove sinistre, che hanno cambiato schieramento, da qualche tempo si è affermata l’espressione liberalismo di sinistra. Il liberalismo di sinistra nel senso odierno del termine è oggetto della prima parte di questo volume. Si tratta di una corrente politico-intellettuale relativamente giovane, che soltanto negli ultimi decenni ha cominciato a fare presa sulla società. L’espressione liberalismo di sinistra, o più ancora il termine tedesco Linksliberalismus, però, sono fuorvianti, perché ricordano o contengono la parola “liberalismo” e la parola “sinistra”. A guardar bene, la corrente che designa, infatti, non è né di sinistra né liberale, ma contraddice l’orientamento di fondo di entrambi gli schieramenti.
Una rivendicazione importante del liberalismo, ad esempio, è la tolleranza di fronte alle opinioni diverse. Il tipico liberale di sinistra, invece, è l’esatto opposto: estrema intolleranza verso chi non condivide la sua visione delle cose. E se, tradizionalmente, il liberalismo combatte per l’uguaglianza giuridica, il liberalismo di sinistra lotta per le quote e per la diversità, dunque per un trattamento disuguale dei diversi gruppi.
Dell’ideologia di sinistra ha sempre fatto parte l’impegno soprattutto a favore di chi è in difficoltà e si vede negare dalla società un più elevato livello di istruzione, di benessere e migliori prospettive di crescita. Il liberalismo di sinistra, invece, ha la sua base sociale nel ceto medio benestante e laureato delle grandi città. Ciò non significa che ogni laureato con un buon reddito, residente in una grande città, sia un liberale di sinistra. In questo ambiente, però, il liberalismo di sinistra è di casa, e da questo ceto relativamente privilegiato vengono i suoi opinion leader. I partiti liberali di sinistra, a loro volta, si rivolgono soprattutto ai cittadini più istruiti e benestanti, che rappresentano il loro bacino elettorale.
I liberali di sinistra, dunque, non sono due cose: non sono liberali socialisti, dunque liberali interessati non solo alla libertà, ma anche alla responsabilità sociale. Liberali come molti di quelli che, per lungo tempo, hanno trovato casa nel Freie Demokratische Partei (FDP, Partito Liberale Democratico) e probabilmente ce ne sono anche di più al di fuori del partito stesso. Con il liberalismo di sinistra odierno non hanno nulla a che fare. I liberali di sinistra, però, non sono nemmeno progressisti liberali, dunque uomini di sinistra che rifiutano le tradizioni totalitarie e illiberali. Questo libro rappresenta invece, espressamente, la difesa di una sinistra liberale e tollerante al posto di quella corrente di pensiero illiberale che oggi molti definiscono sinistra. Dunque non si parlerà della sinistra liberale nel senso letterale del termine: in questo libro si parla solo di liberalismo di sinistra.
Illiberalismo e intolleranza
Al declino della nostra cultura del dibattito il liberalismo di sinistra ha dato un grande contributo. L’intolleranza dei liberali di sinistra e i discorsi carichi d’odio della destra sono vasi comunicanti: l’una ha bisogno degli altri e viceversa, l’una rafforza gli altri e viceversa, l’una vive grazie agli altri e viceversa. Che si parli di politica migratoria, di cambiamenti climatici o di coronavirus, il modello è sempre lo stesso: la superiorità dei liberali di sinistra fa guadagnare terreno alla destra. E più sono strillate le campagne denigratorie di quest’ultima, più il liberale di sinistra si sente rafforzato nella sua posizione. I nazisti sono contro l’immigrazione? Allora, sotto sotto, ogni critico dell’immigrazione è un nazista! I negazionisti della crisi climatica rifiutano la carbon tax? Allora sono sullo stesso piano di chi critica l’aumento dei prezzi dei carburanti e dei combustibili! I complottisti diffondono fake news sulla pandemia? Chi ritiene che i lockdown siano la risposta sbagliata probabilmente è anche lui influenzato dalle teorie del complotto! In breve, chi non sta con noi è di destra, è un negazionista del cambiamento climatico, è un complottista… ecco come funziona il mondo dei liberali di sinistra.
Oggi, anche a causa di questo atteggiamento nei dibattiti, agli occhi di molti la sinistra non lotta più per la giustizia, ma soprattutto per la presunzione: per uno stile di confronto davanti al quale molti si sentono offesi, moralmente umiliati e respinti.
Nell’estate del 2020, 153 intellettuali di vari paesi, tra cui Noam Chomsky, Mark Lilla, J.K. Rowling e Salman Rushdie, hanno attaccato, in un’accorata lettera aperta, l’intolleranza e l’illiberalismo dei liberali di sinistra. Ecco la loro accusa: «Il libero scambio di informazioni e idee […] si riduce giorno dopo giorno. Dalla destra radicale ce lo aspetteremmo, ma anche nella nostra cultura va diffondendosi sempre più un’atmosfera di censura». Con preoccupazione, i firmatari della lettera constatavano «l’intolleranza verso chi la pensa diversamente, la condanna pubblica e la discriminazione, oltre che la tendenza a trasformare complesse questioni politiche in certezze morali». Poi indicavano le conseguenze: «Per tutto questo paghiamo un prezzo elevato: scrittori, artisti e giornalisti, infatti, non rischiano più nulla perché costretti a temere per il proprio sostentamento non appena si allontanano dal consenso comune e smettono di seguire il branco»1.
La destra e i liberali di sinistra, però, non si assomigliano solo per l’intolleranza. Anche dal punto di vista dei contenuti, destra e liberali di sinistra non sono certo in netta opposizione. La destra, nella sua concezione originaria, è appoggio alla guerra, allo smantellamento dello Stato sociale e alla disuguaglianza. Si tratta, però, di posizioni condivise anche da molti Verdi e da molti socialdemocratici liberali di sinistra. Non è di destra, invece, dire che gli immigrati vengono sfruttati per il dumping salariale e che non è possibile insegnare a una classe in cui più della metà degli alunni non parla tedesco, o che anche noi, in Germania, abbiamo un problema con gli estremisti islamici. Consapevolmente o inconsapevolmente, una sinistra che bolla il confronto realistico con i problemi come una cosa di destra proprio alla destra fornisce uno splendido assist.
Perdere la coesione
Chi volesse comprendere i motivi della nascita del liberalismo di sinistra o del declino della nostra cultura del confronto deve considerare le cause più profonde della crescente frammentazione della nostra società. Deve fare i conti con la perdita di sicurezza e di coesione legata allo smantellamento degli Stati sociali, alla globalizzazione e alle riforme del liberismo economico.
Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, in tutti i paesi occidentali si è assistito a una lunga fase di ripresa economica. Allora la maggioranza della popolazione guardava con ottimismo al proprio futuro e a quello dei suoi figli. Oggi, parlando di futuro, domina la paura e molti temono che ai loro figli andrà ancora peggio. I motivi di preoccupazione non mancano. Nello scenario internazionale siamo indietro dal punto di vista economico. Le tecnologie del futuro nascono sempre più spesso in altre nazioni. L’economia europea e l’economia tedesca rischiano di finire stritolate nello scontro tra Stati Uniti e Cina. Parallelamente, nei paesi occidentali le disuguaglianze sono cresciute enormemente mentre le garanzie sociali in caso di malattia, disoccupazione e vecchiaia si sono ridotte.
Le regole del gioco per i vincitori
Ad avere la peggio, per colpa di un capitalismo globalizzato e senza regole, è soprattutto la cosiddetta gente comune. Il reddito di molti non aumenta ormai da anni, il che costringe queste persone a una lotta senza tregua per mantenere il proprio tenore di vita. Se qualche decennio fa i figli di famiglie disagiate avevano ancora concrete possibilità di ascesa sociale, oggi il tenore di vita individuale è determinato soprattutto dalla famiglia di provenienza.
Nell’epoca attuale, a vincere sono soprattutto i proprietari di grandi patrimoni finanziari e aziendali. La loro ricchezza e il loro potere economico e sociale sono cresciuti moltissimo, negli ultimi decenni. Tra i vincitori, però, c’è anche il nuovo ceto medio dei laureati delle grandi città, l’ambiente in cui il liberalismo di sinistra è di casa. L’ascesa sociale e culturale di questa borghesia è riconducibile agli stessi cambiamenti politici ed economici che hanno reso la vita difficile agli operai dell’industria e agli impiegati nel settore dei servizi, ma anche a molti artigiani e piccoli imprenditori. Chi però si trova sul carro dei vincitori ha un’altra visione delle regole del gioco, ovviamente diversa da quella di chi ha pescato la carta perdente.
Mentre le differenze di reddito, di prospettive e di mentalità aumentavano sempre più, cresceva allo stesso tempo anche la distanza fisica. Se mezzo secolo fa i cittadini abbienti e quelli meno privilegiati condividevano spesso gli stessi quartieri e a scuola i loro figli erano compagni di banco, l’esplosione dei prezzi degli immobili e l’aumento degli affitti ha fatto sì che benestanti e meno abbienti oggi vivano in quartieri distinti. Di conseguenza sono diminuiti i contatti, le amicizie, le convivenze o i matrimoni che vadano oltre il proprio ambiente sociale.
Nella bolla della propria classe
È in questo aspetto che vanno individuate le cause più importanti della distruzione della coesione sociale e della sempre crescente ostilità. Due persone che vengono da diversi ambienti sociali hanno sempre meno cose da dirsi proprio perché vivono in mondi differenti. Se i borghesi laureati e benestanti delle grandi città riescono ancora a incrociare nella vita reale chi è meno fortunato, lo fanno solo grazie al prezioso lavoro di mediazione del settore dei servizi, in grado di offrire loro chi gli fa le pulizie in casa, chi gli recapita i pacchi e chi gli serve il sushi al ristorante.
Le bolle non esistono soltanto nei social media. Quarant’anni di liberismo economico, di smantellamento dello Stato sociale e di globalizzazione hanno spaccato a tal punto le società occidentali che la vita reale di molti si muove ormai soltanto nella bolla in cui è situata la propria classe. La nostra società, apparentemente aperta, in realtà è piena di muri. Muri sociali che, rispetto al secolo passato, rendono molto più difficile per i figli delle famiglie più disagiate l’accesso all’istruzione, l’ascesa sociale e il raggiungimento del benessere. E anche muri di indifferenza, che proteggono chi non conosce altro che una vita nell’abbondanza da chi sarebbe felice se solo potesse vivere senza la paura del domani.
Via le spaccature, via le paure
Ora che la vita è diventata molto più incerta e il futuro più imprevedibile, i confronti politici mettono in gioco una quantità molto maggiore di paure. E che la paura sia in grado di irrigidire il clima delle discussioni ce l’ha dimostrato lo scontro sulla politica da adottare per contrastare la pandemia. La cui particolare aggressività era naturalmente legata al fatto che il coronavirus è una malattia che può portare alla morte molti anziani e, in determinati casi, anche soggetti più giovani. Al contrario, i lunghi lockdown hanno fatto sì che molti temessero per la propria sopravvivenza sociale, per il proprio posto di lavoro o per il futuro dell’impresa che gestiscono da una vita. Chi ha paura diventa intollerante. Chi si sente minacciato non vuole discutere, vuole solo resistere. È comprensibile. La situazione diventa tanto più pericolosa quando i politici scoprono che si può fare politica alimentando proprio tali paure. E a fare questa riflessione non è stata certo solo la destra.
Una politica responsabile dovrebbe fare l’esatto contrario. Dovrebbe preoccuparsi di eliminare le divisioni e la paura del futuro e di garantire più sicurezza e protezione. Dovrebbe introdurre cambiamenti che arrestino la diminuzione della coesione sociale e che ostacolino l’incombente declino economico. Un ordinamento economico in cui la maggioranza dei cittadini pensa che il futuro sarà peggiore del presente non è un ordinamento in grado di garantirlo, il futuro. Una democrazia in cui una notevole quota della popolazione non ha voce né rappresentanza non può chiamarsi tale.
Possiamo produrre in maniera diversa, in maniera più innovativa, più legata al territorio e in modo più sostenibile per l’ambiente, e possiamo distribuire quanto prodotto in maniera migliore e più meritocratica. Possiamo rendere democratica la nostra collettività, invece di lasciare che qualche gruppo di interesse per cui conta solo il proprio profitto decida della nostra vita e del nostro sviluppo economico. Possiamo tornare a una convivenza positiva e solidale, che in definitiva giovi a tutti: a quelli che negli ultimi anni hanno perso e che oggi hanno paura del futuro, ma anche a quelli che se la passano bene, ma che non vogliono vivere in un paese spaccato che rischia di finire come gli Stati Uniti di oggi. Nella seconda parte di questo libro presenteremo alcune proposte e la prospettiva di una nuova strada verso un futuro comune.
Parlare alla maggioranza
Con questo libro, naturalmente, ho illustrato anche le linee di contrasto che, nel 2019, hanno contribuito alle mie dimissioni da presidente del gruppo parlamentare. Tuttavia non avrei scritto nessun libro se questa discussione non fosse andata molto oltre Die Linke, il partito della sinistra tedesco. Per me è una tragedia constatare come la maggioranza dei partiti socialdemocratici e di sinistra abbia imboccato la folle via del liberalismo di sinistra, che svuota teoricamente la sinistra di ogni significato e allontana grandi fette del suo elettorato. Una folle via che cementa il neoliberismo nella sua centralità malgrado da tempo, tra la gente, la maggioranza sia per un’altra politica: per un maggior equilibrio sociale, per una regolamentazione razionale dei mercati finanziari e dell’economia digitale, per maggiori diritti ai lavoratori e per una politica industriale intelligente, orientata al mantenimento e al potenziamento di un ceto medio forte.
Invece di rivolgersi a queste maggioranze con un programma che fosse attraente ai loro occhi, il Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD, Partito Socialdemocratico di Germania) e Die Linke hanno aiutato AfD a vincere, trasformandola nel più grande “partito operaio”. Hanno accettato i Verdi addirittura con sottomissione, come avanguardia intellettuale e politica. Allontanandosi così dalla possibilità di formare una maggioranza da soli.
In questo libro si parlerà anche di tutto ciò che significa essere di sinistra nel XXI secolo. Un essere di sinistra al di là dei cliché e degli slogan di moda. Il che per me significa anche chiedersi: cosa deve imparare la sinistra da un conservatorismo illuminato? Penso che le linee programmatiche abbozzate nella seconda parte siano quelle di un vero partito popolare e sociale. Un partito che contribuisca non a un’ulteriore polarizzazione della società, ma alla rivitalizzazione di valori comuni.
Questo libro esce in un clima politico in cui la cancel culture ha sostituito i confronti leali. Lo faccio sapendo che potrei finire cancellata anch’io. In fondo però Dante, nella Divina Commedia, a quelli che in tempi di profondi mutamenti si “astengono”, agli “ignavi”, ha riservato proprio il cerchio più basso dell’Inferno…
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Massiccio attacco dei LURIDI contro uno stato sovrano (ah, come era quella dell’aggressore e aggredito?):
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Mi fa impazzire MT quando si occupa di Germania o Polonia come fosse il giardino di casa sua. E comunque si, è vero. Ci sono novità dal fronte Est. Israele ha attaccato l’Iran e sta per scoppiare il finimondo.
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Se MT si occupa di paesi UE/Nato si allarga troppo (e pazienza se siamo bombardati da profezie di sventura se solo pensiamo di essere fuori da tali club)
Se MT si occupa solo di Italia evidentemente è nazionalista e sovranista
Se MT si occupa anche di Italia lo fa in maniera poco equilibrata, e c’è chi glielo ricorda ogni santo giorno
MT è di scuola montanelliana, perciò è di dx
Sul FQ scrive anche chi ha simpatie pd, perciò rema contro
A MT piace la Wagenknecht, la rossobruna
MT strizza l’ occhio alla Meloni , è fascio, si si è fascio, sto controllando i suoi editoriali
MT, oggi mi hai deluso con questo articolo, perché non va nella mia direzione, non ti voto
Però! che bravo MT!
MT è bravo, niente da dire, però ..
Tipo la storia del vecchio , del bambino e dell’ asino.
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Guarda, forse hai ragione. Per quanto mi riguarda prenderò una bella pausa dalla lettura quotidiana dell’editoriale di MT. C’è tanto altro su Info.
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Prenditi una pausa dall’ossigeno.
Basta che trattieni il respiro per 5 minuti.
Se sei di polmone ridotto, anche 2 vanno bene.
Pensaci la prossima volta che fai bondage con JD e Frankie.
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@Santo più che altro appare assurdo che se la prende con Polonia, con Germania e niente da dire sull’Italia che ieri ha confermato a Rutte un incremento fino al 5% delle spese per la difesa se pure con il tempo.
Ormai è uno strabismo impossibile da non vedere.
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Amid the latest strikes, United States President Donald Trump said that the Israeli attack on Iran was “excellent” and warned there is much more to come.
E OVVIAMENTE LORO NON SONO COINVOLTI, VERO???
Trump, un BLUFF come nessun altro.
Non ha rimosso nessuna guerra, ma ha finito per infilarsi in un’altra.
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Scusa Spar …oggi stavo seguendo pubble in live… a un certo punto il mio tel… ha fatto le bizze,ci spegneve,si accendeva,aveva sbalzi di tensione… ho dovuto resettarlo!
Mai stanno boicottando il canale?
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Di grazia che non gli lanciano un missile anche a lei… ah, qui c’é Dibba: https://www.youtube.com/watch?v=lkkwbQYeWGE&ab_channel=AlessandroDiBattista
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