
(di Michele Serra – repubblica.it) – Referendum, in Italia, è una parola che nasce importante (il 2 giugno 1946), conosce un picco di gloria negli anni Settanta del secolo scorso (legalizzazione del divorzio, 1974, e dell’interruzione della gravidanza, 1981) e muore trascurabile, dopo una deprimente stagione di impotenza.
Non ricordo da quanti anni se ne sconsiglia l’uso per la più evidente delle ragioni: negli ultimi trent’anni nessun referendum tranne uno (quello sull’acqua pubblica del 2011, e i tre apparentati) ha raggiunto il quorum. Per rendere più esplicito il quadro va aggiunto che nemmeno le elezioni europee del 2024 hanno “raggiunto il quorum”, avendo registrato un’affluenza sotto il 50 per cento. Come si poteva sperare, dunque, di arrivare al quorum con cinque referendum osteggiati o snobbati, già in partenza, da metà della politica italiana e di conseguenza da metà dell’elettorato?
In verità, nessuno lo sperava: neppure i promotori, che sapevano benissimo che i cinque referendum avrebbero avuto una funzione puramente dimostrativa. Dimostrare che un pezzo consistente di opinione pubblica (chi scrive tra questi) è favorevole a politiche più inclusive con gli immigrati regolari; e a tutele più rigorose per i lavoratori salariati.
Ma questo già lo si sapeva. Bastava, grosso modo, sommare i voti dei partiti di opposizione per constatare che un’opposizione, per l’appunto, esiste, e può contare su molti milioni di voti. Perché dunque trasformare una certezza (l’esistenza di un’opposizione numerosa) in una inutile sconfitta?
Speriamo sia questa la domanda che si pongono, in queste ore, gli oppositori. Faticare e lavorare per nulla non è consigliabile. Battersi a vuoto, su un ring deserto, serve magari a sentirsi combattivi, non a vincere qualcosa.
Anche Michele Serra non disdegna ribadire l’esistenza dell’acqua calda! Monsieur de La Palice gli può fare solo una pippa.
E viene anche pagato per questo. Ma per giustificare lo stipendio dovrebbe raccontarla tutta la vicenda, anche per dimostrare che, umilmente, non c’è solo lui tra i pochi intelligentoni (ex post) del reame. Anche Maurizio Landini lo è. Infatti quando questi si è fatto promotore del referendum, aveva in mente di fare da contraltare alla legge sull’autonomia differenziata, gettata poi inesorabilmente nel cestino dalla Consulta. Ma solo quando era stata già da tempo avviata la raccolta delle firme… che non poteva più essere annullata, anche perché tutte le occasioni sono buone per sottolineare la immensa diseguaglianza in atto da anni, per lo meno a partire dal 2015 anno del varo del Jobs Act del lillipuziano statista di Rignano. Bastava aggiungere una frase alla sua odierna, sonnolente amaca per dare completa informazione al suo affezionato pubblico di lettori semi addormentati come lui.
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si dimentica di dire che l’acqua nonostante il referendum non e mai diventata pubblica e altre sconcezze che disertano ilvoto tipo i rimborsi parlamentari..
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