
(di Giandomenico Crapis – ilfattoquotidiano.it) – C’era una volta il duopolio tv, o magari c’era una volta la televisione. Ma è davvero così? Davvero è finalmente scomparso il duopolio che tanto fece parlare di sé la pubblica opinione negli anni ‘80/90, magari anche perché nel frattempo è morta pure la tv?
Qualcuno forse lo pensa; ma le cose non stanno così ed è il segno di un passato che non passa. O che passa ma lo fa molto, molto lentamente. Nonostante l’avvento del web, del digitale, dei social e tecnologia. Certo la tv non ha più le platee di quaranta anni fa, gli anni d’oro, quando Sanremo, Fantastico o la Piovra facevano d’ufficio dai 15 ai 20 milioni di spettatori, ma ancora oggi è capace di giungere a punte di penetrazione molto alte. La media di ascolti giornaliera è di più di otto milioni di italiani, ma nella prima serata si arriva a punte anche di 20. E poi c’è il consumo sui telefonini, i tablet o i pc, aumentato di parecchio negli ultimi anni soprattutto tra i giovanissimi. Insomma la televisione rimane centrale nei media e nell’industria culturale del paese, un fatto che chi si dovrebbe occupare di riforma del sistema farebbe bene a non sottovalutare. Come bisognerebbe non sottovalutare l’altro fatto: e cioè che qui in Italia la platea dei telespettatori, ancora grande appunto, se la dividono sostanzialmente in due, Rai e Mediaset, mentre agli altri vanno le briciole o poco più, sebbene dentro un trend che ha registrato una crescita dei canali La 7, Discovery, Sky e altre piattaforme.
Prendiamo una settimana qualsiasi come quella della fine del mese di marzo: in questo periodo i due principali player realizzano share che stanno tra il 70 e il 75% ed oltre degli ascolti, e la gran parte con i soli sei canali generalisti. Dunque il duopolio è vivo più che mai ed insieme alla politicizzazione delle emittenti principali (di cui la lottizzazione Rai è parte, a condizione di non dimenticare il ‘latifondo’ Mediaset, il quale, attenzione, gode di una concessione pubblica) rappresenta una anomalia rispetto ai paesi a noi vicini. I riformatori, ove mai si dovessero annunciare rompendo decenni di immobilismi, farebbero bene a tenerne conto. Memori del passato noi però di riforme di sistema non ci facciamo illusioni, pensando che sarebbe già utile la messa in sicurezza del servizio pubblico. Come ci chiede e ci imporrebbe Bruxelles con il Media Freedom Act. Purtroppo da mesi assistiamo al balletto miserabile di una maggioranza che reiteratamente boicotta la Commissione di vigilanza, dove la Agnes non ha i numeri per essere votata presidente Rai, e al contempo disattende l’avvio della discussione parlamentare sulla riforma, come pure aveva promesso quando si nominarono i membri del Cda (e ingenuo fu chi allora ci credette).
Il che vuol dire che la nuova premier, i post missini e i suoi alleati al governo dopo il 2022 non hanno fatto che ripetere, non senza l’arroganza dei neofiti, quanto accaduto in passato: con la politica che è sempre caduta nella tentazione di assecondare le logiche tradizionali della spartizione delle spoglie, quelle stesse che si erano vivacemente criticate quando si stava fuori dalle stanze del potere.
Bisogna aggiungere infine che a peggiorare le cose c’è il silenzio di una pubblica opinione, in passato piuttosto combattiva su questo fronte, che appare da troppo tempo come assuefatta al veleno duopolistico e ai suoi risvolti politico mediatici. Come mitridatizzata. Tanto che parlare della questione tv potrebbe sembrare démodè e rispolverarla un gesto di cattivo gusto, il segno di un ideologismo nostalgico, il frutto di un radicalismo poco chic di chi non sa stare al tavolo delle buone maniere. Un silenzio che ha accomunato, tranne sia chiaro qualche nobile eccezione, tutti i componenti della sfera pubblica: non solo i politici ma pure i giornalisti e gli intellettuali.
Trova le differenze….hahahahah!
Opera completata di scilvio!
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Vero.
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Decine di anni assieme nella mala informazione hanno reso questo duopolio inscindibile nella mistificazione dell’informazione …
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