Mentre a Roma – ancella di Tel Aviv – sfilano missili, gli umani della Striscia aspettano l’ultima ora: “Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare”

(di Tomaso Montanari – ilfattoquotidiano.it) – Mai come in questo 2 giugno 2025 ci sente remoti da una Repubblica che dovrebbe ripudiare la guerra, ma ancora festeggia la sua Costituzione facendo sfilare i carri armati sulla via fascista dell’impero coloniale. Se il linguaggio tronfio e grottesco del potere appare di questi tempi ancora più ripugnante, è quello della poesia a restituirci dignità. Perché, come scrive Franco Marcoaldi nella sua ultima, mirabile raccolta poetica (Una parola ancora, Einaudi): “L’unica cosa buona dell’assoluto | caos in cui siamo finiti | è la misera fine dei pigri | cliché dei tempi andati: il Bene, | il Male, la Patria, l’Occidente. | Parole passe-partout che ormai | non aprono piú niente. Parole | cieche, sorde, disossate. Buone | soltanto per tornei, marce, | caroselli, ridicole parate”. Semmai qualcosa è capace di ridare un senso a quelle parole vuote non si trova certo dalle parti della ripugnante parata del 2 giugno, no. Ma semmai a Gaza: dove il Male è visibile, a occhio nudo. E dove perfino la parola ‘patria’ può recuperare un senso. Quando, il 10 giugno del 1940, la radio portò anche alla Scuola Normale di Pisa la voce di Benito Mussolini che scandiva la dichiarazione di guerra, preparandosi a maramaldeggiare oscenamente sulla Francia piegata dalle armate naziste, un gruppo di normalisti intonò la Marsigliese: affrontando poi la punizione. Un modo di pensare la patria che ne preparava l’idea (pacifica, antinazionalista e fondata sui diritti umani) che sarà poi quella della Costituzione. Nello stesso momento, Piero Calamandrei annotava nel suo diario: “Gli inglesi e i francesi e i norvegesi che difendono la libertà sono ora la mia patria”. Ecco, se in questo 2 giugno si può sentire di avere una patria, quella patria è Gaza. Questa città nostra, del nostro mare e della nostra storia. Quasi prefigurata dall’Albert Camus che – parlando di ‘cultura mediterranea’ nel 1937, ad Algeri – affermava che “la patria non è l’astrazione che manda gli uomini al massacro, ma un certo gusto della vita che è comune a certi individui: … la sua vita, i cortili, i cipressi, le trecce di peperoni”. La nostra patria mediterranea è Gaza: teatro di un genocidio che nessuna censura, nessuna complicità, possono ormai riuscire a nascondere. E le parole che ci annodano a quella patria non appartengono alla politica, e nemmeno alla giustizia o alla storia – tutte vuote, se messe accanto a quella indicibile realtà che pure vediamo minuto per minuto, con una presa diretta senza precedenti storici. Invece sono, ancora una volta, le parole della poesia. Tra le voci che ci giungono da Gaza, come echi dall’inferno dei viventi, ce n’è una singolarmente alta, e terribile: quella di Ibrahim Nasrallah, la cui raccolta Maria di Gaza, scritta sotto i bombardamenti, è ora tradotta da Wasim Dahmash per le Edizioni Q. “Dove torna la patria quando tanta gente è uccisa?”: è la domanda che il poeta fa risuonare tra le macerie di Gaza. Intrecciandola ad altre domande senza risposta, come quelle della devastante litania che un bambino rivolge ai suoi coetanei liberi, fuori dal muro: “Come qua, là bombardano alla viglia della festa? |E dopo la fine delle vacanze estive | ci sono lezioni, scuola, appello | insegnante, direttore, capoclasse? |Le parole sulla lavagna | lunghe come la mia lingua | cominciano con una lettera? Come il mio nome | il nome del mio paese? Esiste una biblioteca? Libri? Quaderni? | Ci sono bambini | come l’ucciso qua al posto di blocco? | Ci sono bambini che come me | amano tutti i gatti | tutti i boccioli di mandorlo, bambini bravi? | E quando i soldati sparano alle bambine | sotto il sole di mezzogiorno | ridono come qui e se ne vantano?| È solo una domanda”. Una domanda scarnificante, lo sguardo del condannato a morte – un bambino – verso i suoi coetanei che invece vivranno. Un modo vertiginoso di mettere insieme loro, decimati senza alcuna colpa, e noi, vivi senza alcun merito: noi che abitiamo silenziosi nelle “capitali che sotto il sole | giocano il ruolo delle ancelle”, subalterne ad Israele e alla sua politica di sterminio e cancellazione culturale. Mentre a Roma, capitale ancella di Tel Aviv e Washington, si festeggia con la parata militare, gli umani di Gaza, abbandonati dal mondo, si dispongono alla loro ultima ora con dignità straziante: “Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare | qui | vicino alle tombe dei nostri cari | qui | e alle nostre case qui. | Non ci assentiamo, | rimarremo vicini. Prendici se vuoi… lasciaci se vuoi | quando vuoi, come vuoi | non siamo lontani dall’occhio del tuo cuore |oppure…, oh, Dio, | sii la nostra muraglia: | non sfuggiremo, quando scenderà la notte, | alla nostra morte”. E noi? Non pensiamo di salvarci, neanche noi sfuggiremo: ‘ma voi dove eravate?’. Non sfuggiremo alla responsabilità morale della soluzione finale di Gaza, unica patria possibile, “perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale, e con la patria di tutti gli uomini liberi” (Carlo Rosselli).
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che il loro Dio ,non il nostro stramaledica questi paesi che non fanno niente per fermare questa carneficina o chiamatela come vi pare ! Questo popolo sterminatore va fermato ! Ad ogni costo !]
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è con la Germania e l Italia che se la devono prendere per la Shoah! I Palestinesi non c’entrano niente con la loro paura ,non gli hanno fatto niente, in compenso li hanno schiavizzati e rubato le terre ,prendetevela con chi vi inflitto quelli che avete subito . Ma gli arabi Palestinesi sono dei cittadini delle terre che avete rubato per 70 anni.anche basta!
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Cara Eli…. oggi che è stato quasi finito il lavoro sporco dell’ebreo,i nostri e qualcun altro dell’UE, stanno dicendo basta.
Ma dalla loro fogna non esce la parola eccidio e silenzio assoluto da 60 anni di predazione ed uccisioni.
Adesso anche i Presidenti di Regione fanno gne,gne,gne,: bastardi ipocriti fanno vergognare anche le persone oneste. Grandi pezzi di m-
Non hanno certo paura di un dio che li fulm,ini ,perchè sono i primi a non credere a nulla se non al profitto,al denaro,al potere.
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Grande Montanari! Ci sono ancora alcuni, troppo pochi, intellettuali che hanno il coraggio di guardare il mondo e di dire quello che pensano. Pochi, che non si vendono per 30 denari.
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Vorrei rivolgermi al Prof. Montanari solo per dirgli, dopo aver letto, il Suo articolo….”CHAPEAU”…e grazie prof……!!!!
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E in fine anche il nostro presidente prese la parola contro lo sterminio dei palestinesi e la necessità di un loro stato . Perché sei mesi o dodici mesi fa’ no ? Chi gli ha dovuto dare l’ ok per poterli fare ? Si sono accorti del disastro tutti all’ unisono compreso il colle . Che strano !
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Le parate militari non servono a più niente perché da quando i soldati non sono più dei coscritti che adempiono al loro sacro dovere, ma dei cittadini che scelgono di svolgere una professione come un’altra (con un’incidenza di mortalità bassissima, se confrontata con quella dei carpentieri, tanto per fare un banale raffronto) non ha più senso farli sfilare il 2 giugno. Una repubblica fondata sul lavoro e sull’uguaglianza dei propri componenti in questa giornata dovrebbe piuttosto onorare le rappresentanze di tutti i cittadini che effettivamente la costituiscono, magari facendole sfilare con in mano ogni parola della Costituzione e coinvolgendo soprattutto bambini e ragazzi. Assistere gaudenti a marce marziali è una forma di insano feticismo e uno spreco di denaro pubblico.
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Grandissimo articolo di Montanari. Ero anch’io, come lui, alla presentazione del libro di poesie di Marcoaldi. Tutte così, semplici, dirette, e profonde. E la citazione di Camus mi ha commosso. La patria mediterranea, quella che accomuna certi individui con un certo gusto della vita. Meraviglia! Detto questo, mi sento distante mille miglia dalla ridicola parata militare ai Fori Imperiali, oggi come tutti gli altri anni. Né più né meno.
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Grazie professore per dare voce ai sentimenti, al dolore di tanti che non riescono ad esprimere, ma sono nel loro cuore, un cuore devastato.
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Parlano ancora di due stati, per decenni non hanno detto una parola sull’occupazione di territori palestinesi, sugli insediamenti illegali, ora ditemi dove dovrebbe situarsi lo Stato di Palestina. ipocriti.
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Verissimo…son dei gran ipocriti a cui non va data nessuna fiducia,ma gli italiani pecoroni esistono…. purtroppo!
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