A sinistra le manifestazioni sono l’alternativa a una piattaforma comune. Ma anche a destra c’è disagio in chi condivide le proteste su Gaza e riarmo

(Flavia Perina – lastampa.it) – La piazza come balsamo, rifugio, antidoto all’impotenza parlamentare. Ma soprattutto: la piazza come alternativa a quel che l’opposizione dovrebbe fare e non può, dovrebbe concordare e non riesce: una piattaforma condivisa sui temi massimi del momento, guerre, riarmo europeo, Gaza, Ucraina, pacifismo, sicurezza. Va benissimo, intendiamoci. Meglio la piazza con la sua franchezza guevarista – «Contro il governo dei fascisti Hasta la Victoria», diceva lo striscione d’apertura del corteo di ieri – che quelli che minacciano la figlia della presidente del Consiglio nascosti sul web. E tuttavia la piazza può diventare anche altro, elemento rivelatore di una debolezza e certificazione di una competizione interna che la sinistra non riesce a risolvere.
L’elenco degli appuntamenti di giugno è una sorta di agenda calibrata ad personam, per dare a ciascun componente del potenziale campo largo il suo bagno di folla e la sua apertura nei tg. Ieri, a Roma, il corteo contro il decreto sicurezza era il Momento Avs, e infatti la voce nobile dei manifestanti è risultata quella di Nicola Fratoianni, mentre Pd e M5S si sono limitati a mandare una delegazione e i moderati di Azione e Italia Viva si sono tenuti alla larga. Il 7 giugno, il prossimo appuntamento convocato contro il massacro di Gaza e contro Benjamin Netanyahu sarà il Momento Pd, con M5S e Avs in scia rispetto ad Elly Schlein mentre Carlo Calenda e Matteo Renzi avranno la loro piazza alternativa a Milano il giorno prima. Poi, il 21 giugno, con il corteo No Rearm arriverà il Momento Giuseppe Conte, visto che il M5S è il solo partito ad avere già formalmente aderito al raduno, convocato da trecento associazioni contro il piano di difesa europea di Ursula von der Leyen.
Intendiamoci. In tempi di nostalgie novecentesche (ah la Prima Repubblica! ) l’idea della risposta di piazza, collettiva, a un governo detestato ci sta tutta. La sinistra, per di più, ha considerato sempre la convocazione popolare come elemento centrale dell’azione politica e non può rinunciare alla sua tradizione in nome di un’opposizione «borghese», limitata alle aule della Camera e del Senato o a qualche chiassata sotto i palazzi del potere. E tuttavia sicuri che questo giugno militante a pezzetti aiuti? Sicuri che i mille fiori e le cento scuole di pensiero saranno percepiti come elementi di vitalità anziché come gran confusione?
Comunque. Ieri erano 150 mila secondo gli organizzatori e chissà quanti in realtà. Zero incidenti. Risolto pacificamente il fermo di una trentina di manifestanti e l’esposizione di una bandiera vannacciana (inneggiava alla X Mas) da una finestra di via Labicana. Il corteo era convocato contro il decreto Sicurezza che introduce 14 nuovi reati e trasforma in crimine persino la resistenza passiva o le azioni di protesta commesse in luoghi cari al ministro delle Infrastrutture come i dintorni del Ponte sullo Stretto. Molto law and order, molto di destra, molto trumpiano, e dunque, fossero stati pure mezzo milione a contestarlo, niente di preoccupante per il governo che anzi potrà utilizzare la manifestazione per associare all’opposizione le categorie più odiate dall’elettore di centrodestra: i temibili occupatori di case, le famose rom incinte, gli immigrati, i detenuti che meritano di perdere il respiro chiusi nei blindati della Penitenziaria.
Più controversi i prossimi appuntamenti. L’imminente manifestazione in favore di Gaza intercetta sentimenti che esistono anche dall’altra parte, e specialmente nel vecchio mondo di Fratelli d’Italia. Sull’aggregatore Destra.it, laboratorio di idee vicino al partito, si susseguono gli appelli. La decisione del governo di non appoggiare le misure europee contro il governo di Tel Aviv è definita «un errore morale e strategico che colpisce l’Italia nel profondo»: voltarsi dall’altra parte davanti a una catastrofe umanitaria di proporzioni storiche, si scrive, è una scelta che «ci macchia e ci espone a rischi gravissimi». Ancora: le donne, gli uomini, i giovani di Fratelli d’Italia dovrebbero «fermarsi a riflettere e tornare a difendere il diritto alla vita dei bambini e del popolo palestinese». Insomma, per la prima volta e proprio su questo tema emerge una serrata critica amica alle scelte della premier.
Pure l’appuntamento successivo, il Momento M5S contro i piani di difesa europei, parla a un pezzo di maggioranza, e soprattutto alla Lega che ha battagliato e votato per fermare il Rearm Eu, sostenendo che i soldi andrebbero piuttosto spesi in sanità e scuola: esattamente la tesi della rete pacifista che sostiene la manifestazione del 21, convocata in concomitanza con il vertice Nato dell’Aja che ricalibrerà gli investimenti in sicurezza dell’Unione. E dunque, magari ci sarà un po’di spiazzamento nell’opposizione in questo susseguirsi di appuntamenti immaginati come momenti magici ad personam dei singoli leader, ma spiazzati alla fine risulteranno un po’tutti: quelli che andranno per convinzione, o per dovere di partito, o per calcoli di convenienza sulle alleanze da imbastire in vista delle prossime alleanze regionali, e pure quelli che resteranno a casa per non mischiarsi con i nemici, anche se qualche ragione gliela riconoscono, anche se griderebbero volentieri gli stessi slogan.
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A riguardo delle presunte minacce rivolte alla virginale delfina d’Italia, bisogna dire che augurare un destino infausto a una persona è un comportamento sgradevole, da soggetto greve e maleducato, ma non è propriamente un’istigazione a delinquere e non dovrebbe suscitare un’allarme sociale così ampio da richiedere l’intervento dell’intero governo. Un governante, infatti, non può pretendere di essere solamente adulato e ossequiato in tutte le maniere, ma deve aspettarsi anche una marea di critiche, ingiurie e malauguri tra i più feroci e volgari, ai quali può opporre, se lo ritiene opportuno, delle querele o delle denunce e, soprattutto, deve rammentare che la responsabilità penale è sempre personale e non può essere estesa all’intera società. Se un anonimo docente alquanto imbecille, sfoga malamente il suo personale livore e la sua rabbia nei confronti della presidentessa del (gran) consiglio – fiera cittadina di un’urbe dove una delle espressioni dialettali più tipiche è “ma vai a morire ammazzato” – viene subito indicato come nemico pubblico n° 1, così da far scattare indagini della polizia e provvedimenti disciplinari (anche in assenza di formali denunce e senza che la magistratura abbia accertato un qualunque reato) allora la reazione può risultare abnorme e gratuita. Si potrebbe anche dire che il docente è solo un cretino matricolato e finirla lì. Anche perché non si capirebbe come mai, invece, di fronte al quotidiano operato di un infanticida conclamato e ricercato dalla giustizia, ci si limiti solamente a una flebile censura orale nelle aule parlamentari.
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