Mi si nota di più se vado a due manifestazioni o a una soltanto? La scelta della minoranza dem riformista (Delrio, Malpezzi, Sensi, Madia, Fassino, Gori) spiega in maniera plastica […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Mi si nota di più se vado a due manifestazioni o a una soltanto? La scelta della minoranza dem riformista (Delrio, Malpezzi, Sensi, Madia, Fassino, Gori) spiega in maniera plastica natura e tattica del campo largo opportunista. Che sa far di conto solo quando gli conviene. Come a Genova dove con un voto amministrativo e con una candidata trasversalmente azzeccata come Silvia Salis (padre comunista, lei ospite alla Leopolda di Matteo Renzi) la somma ha fatto il totale. Subito dopo, però, Giuseppe Conte ha tenuto a precisare che proiettare il risultato di Genova a livello nazionale non è così facile, poiché i cittadini “votano i progetti e non le sommatorie”. Si potrebbe rispondere che è difficile spiegare al popolo del centrosinistra per quale motivo pur essendo esso maggioritario rispetto a quello della destra (i cari leader riuscirono a perdere con quasi due milioni in più nel 2022) non possa sperare di andare al governo. Si potrebbe replicare citando l’esempio del secondo governo Prodi, quello del 2006, che per battere Silvio Berlusconi mise insieme una dozzina di partiti e cespugli (dalla Margherita ai Comunisti italiani). Ammucchiata che sopravvisse tra rotture e litigi per un paio d’anni spianando la strada al ritorno trionfale del presidente-padrone.

Infatti, la doppia manifestazione per la pace (a Roma: Pd, M5S, Verdi e Sinistra; a Milano: Azione e Italia Viva) sta a dimostrare come sulla politica internazionale spesso emergano due, o anche tre, diverse opposizioni. Si dirà che, in fondo, il giudizio sui crimini di Netanyahu non è poi così diverso. Così come l’idea di smettere di armare Zelensky in una guerra che appare ormai perduta e che sta convincendo perfino ampi settori della maggioranza (oltre a Matteo Salvini, forse la stessa Giorgia Meloni). In realtà, non è facile costruire un’alternanza di governo se poi non si decide come sarà scelto il candidato premier. Problema che la destra ha risolto con la formula spiccia ma efficace del comanda chi prende più voti. Criterio che applicato nel centrosinistra oggi direbbe: Elly Schlein. Ma che la stessa segretaria evita di menzionare per non incrinare l’immagine di un Pd “testardamente unitario”. Strategia che sta premiando i dem in termini di consenso e che, nello stesso tempo, permette a Conte di tessere la sua tela senza troppe pressioni. Attenzione però al terzo incomodo di stampo centrista: proprio quella Silvia Salis apprezzata da Renzi e Calenda, un’altra signora bionda che buca lo schermo, e che nell’intervista al “Corriere” giudica, sapientemente, “prematuro” un suo ruolo nazionale. Ovvero: mai dire mai.

Quanto al corteo romano per la pace del 7 giugno, un pro e un contro. Bene che faccia da traino ai referendum dell’8 e 9 giugno. Occhio ai ProPal e alle loro incursioni, non sempre pacifiche, mirate a prendersi la scena (con grande soddisfazione della destra).