(di Massimo Gramellini – corriere.it) – L’ultima cosa che avrebbe pensato di fare nella vita, il signor Schwartz, è una causa contro il governo del suo Paese, gli Stati Uniti. Ma poiché, dopo quarant’anni passati a importare vini europei, si era ritrovato sulla testa un tizio che intendeva gravarli di dazi insostenibili, gli restavano solo due alternative: subire (e fallire) o reagire. Il mite signor Schwartz non è un eroe né un ribelle, ma il cittadino di una democrazia che si è ricordato di esserlo. Siamo talmente delusi dal potere, e al tempo stesso persuasi della nostra impotenza, da aver smesso di credere che un nostro gesto sia in grado di cambiare le cose piccole, figuriamoci quelle grandi. Il signor Schwartz ha trovato il coraggio di immaginarlo ancora possibile, forse perché di mezzo c’era l’avvenire delle figlie che lavorano con lui. Così ha presentato querela contro i dazi, e la Corte del Commercio Internazionale gli ha dato ragione, bloccandoli, almeno per ora.
  
Molti lettori avranno gioco facile a dire che lo stato lumacoso della giustizia italiana non autorizza paragoni altrettanto ottimistici. Ma qui si vuole difendere un principio. Parole come democrazialibertà diritto vengono usate spesso a sproposito, consentendo a qualcuno di affermare che tutti i regimi, in fondo, si assomigliano. Sarà, ma intanto prendiamo atto che, in quell’antica democrazia governata da un aspirante autocrate, un piccolo importatore di vini ha fermato il presidente degli Stati Uniti in punto di diritto e in nome della libertà. 

(Nella notte Trump ha ottenuto una sospensiva, ma la lotta continua).