La premier contro Bruxelles all’assemblea di Confindustria a Bologna, davanti a Schlein. Poi il ritorno nella capitale per la festa della sorella Arianna al Sanctuary, proprio davanti alla prima sezione del Msi

(Simone Canettieri – ilfoglio.it) – Di lotta contro l’Europa matrigna degli autodazi e di governo quando promette piani per l’industria e dice di risolvere, dopo due anni e mezzo a Palazzo Chigi, la questione delle bollette, quindi del caro energia, ma anche delle semplificazioni burocratiche e del piano casa. Rilancia, visto che c’è anche un patto sociale per lo sviluppo. Giorgia Meloni si presenta a Bologna davanti all’assemblea di Confindustria, ospite del presidente Emanuele Orsini. Chi è presente registra un certo feeling fra i due (e in generale con la platea, almeno secondo l’applausometro). Non solo la premier, ci sono altre due donne, come super ospiti: la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola (Ppe) con la quale Meloni duetta. Ed Elly Schlein, raggiante per le vittorie genovese e ravennate, con la quale Meloni non si scambia nemmeno uno sguardo. Non si vive di solo sviluppo. Di ritorno da Bologna, Giorgia torna la sorella di Arianna.
E soprattutto torna a Colle Oppio, ma non più nella sede della destra magica che la vide crescere a colpi di richiami del corno. Bensì al Sanctuary, proprio davanti alla prima sezione del Msi, in quello che ormai da tempo è il bar, minimalista ed esotico, ritrovo di tanti trentenni romani nel fine settimana. Nonché lido amico di Fratelli d’Italia perché il titolare è un dirigente romano della vecchia guarda meloniana: Pier Paolo Terranova, marito separato di un’altra fedelissima di FdI, Laura Marsilio, già assessore al Comune di Roma, e sorella del governatore abruzzese. Qui dentro, tra piattini ispirati alla cucina asiatica e musica di sottofondo, si è celebrato il cinquantesimo compleanno della sorella d’Italia, Arianna Meloni. Alla presenza di tutti i vertici della Fiamma magica: tra ministri, sottosegretari, parlamentari sceltissimi e pochi eletti.
A Bologna – dopo Confindustria c’è anche un blitz al Tecnopolo – la premier incentra gran parte del suo discorso su Bruxelles. L’Europa deve incarnare un cambio di postura, di priorità, di approccio, per essere all’altezza delle sfide che stiamo attraversando, a partire ovviamente dal rapporto con gli Stati Uniti: è il ragionamento di Meloni che richiama e cita il rapporto con Donald Trump e in generale l’approccio con gli Usa che in questa fase deve essere “più politico e meno burocratico”. E quindi niente guerra commerciale né autodazi. La mattina si nutre, all’inizio, anche di un siparietto dialettico fra la presidente dell’Eurocamera e quella del Consiglio. “L”Europa è al vostro fianco, il Parlamento che presiedo è un vostro alleato”, dice Metsola. “Sarò onesta, Roberta, questo dipende dalle maggioranze che si formano di volta in volta, ma sicuramente tu sei e sei stata dalla nostra parte. Grazie davvero”, la frase con cui la leader italiana incassa uno dei numerosi applausi della platea, ricorrenti quando chiede all’Ue di “rimuovere i dazi interni che si è autoimposta”. Meloni, con Elly Schlein presente in sala e sempre china sugli appunti, scuote la platea quando dice che sul green deal europeo “alcune scelte sono state fatte perché si è voluto anteporre l’ideologia al realismo e questo ha avuto un risultato scontato, che molti di noi qui in questa sala, anche da punti di vista diversi, avevano previsto e denunciato. Qualcuno ha scelto deliberatamente di perseguire una strategia che metteva i nostri prodotti fuori mercato per inseguire a tutti i costi, ma contro ogni logica, scelte che erano nemiche dell’industria europea. La cosa curiosa è che oggi tutti disconoscono la paternità di quelle scelte, ma quelle scelte hanno nomi e cognomi precisi”. Ce l’ha con la sinistra, chiaro. E rincara la dose così: “L’automotive è il comparto che sta pagando il prezzo più alto, con ricadute pesanti sulla produzione industriale complessiva”. Gli applausi, racconta chi era presente, sovrastano i mugugni nella lunga relazione di Meloni. La quale promette di prendere di petto il caro bollette. E quindi il bubbone dell’energia per individuare eventuali “inaccettabili speculazioni”. Perché, aggiunge, contro l’aumento dei costi energetici “non si può continuare a cercare di tamponare spendendo soldi pubblici”. Nel discorso della premier c’è un mano tesa a Trump, ma anche soprattutto la ricerca di una sintonia con la Germania del nuovo cancelliere Merz perché, auspica, con Berlino che marcia dalla stessa parte di Roma molto può cambiare. Non a caso rivendica di aver già intavolato una serie di discussioni, figlie di un rapporto che dice di rivendicare. Ovviamente non cita Parigi. E poi altri dettagli non proprio marginali come il ritorno al nucleare, “scelta coraggiosa” per la “decarbonizzazione” e “la sovranità industriale ed economica dell’Italia”. Tra sogno e realtà, la leader delinea una strategia economica e industriale, spronando gli imprenditori a pensare in grande. E chiede collaborazione anche per risolvere lo stallo dell’Ex Ilva di Taranto: “C’è bisogno che tutti gli attori diano una mano e non ci siano alcuni che preferiscano mettere i bastoni tra le ruote: credo tutti comprendano cosa c’è in ballo”. La prova è superata, alla fine. Comprese le scontate contestazioni fuori dal Teatro EuropAuditorium. In serata la festa di Arianna Meloni, a Colle Oppio, dove tutto nacque.
PARADOSSI MELONIANI
Questa cosa che per amare la patria bisogna essere stronzi e non pagare le tasse mica l’ho capita.
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Ennesimo capitolo della commedia dell’arte, con un cast ricco di personaggi: Meloni, Confindustria, l’Europa, una comparsa Schlein, e sullo sfondo Trump, i dazi, il green deal, l’automotive e l’energia. Un palco in cui si muovono figure già viste, con copioni ben collaudati.
Si parla di “feeling” tra Meloni e Orsini, e non sorprende. È del tutto naturale che degli inetti riconoscano delle virtù in un’altra inetta. Similis similia solvuntur, dicevano i latini: un simile si dissolve nel proprio simile. L’esistenza degli uni giustifica e sostiene quella dell’altra, e viceversa.
In attesa che Trump e i dazi si condensino in uno stato solido, attualmente sono in forma gassosa, e pure supercritica , conviene soffermarsi sul green deal, sull’automotive e sull’energia. Temi tra loro profondamente correlati, che in Italia si legano soprattutto a due tratti distintivi della nostra classe dirigente: incapacità e impreparazione.
Incapacità di cogliere le opportunità che il green deal offre e che altrove già produce. Incapacità di identificare con lucidità i problemi. E impreparazione tecnica, tecnologica e finanziaria.
Ricordo un’intervista a Nando Dalla Chiesa in cui diceva che ciò che manca all’Italia, e soprattutto alla sua classe dirigente, è la capacità di guardare lungo. Questa è esattamente la fotografia del consesso descritto nell’articolo: una classe dirigente miope, che chiede aiuto alla politica per difendere rendite di posizione, mentre le fondamenta stesse del suo potere vanno sgretolandosi; incapace persino di riconoscere di esserne la causa.
È una classe dirigente con la testa rivolta al passato, incapace persino di immaginare il futuro.
E poi c’è la politica, con Meloni che promette di vincere la forza di gravità tirandosi su per le stringhe delle scarpe. In questo caso, dichiarando di voler cambiare la politica energetica, di stroncare le speculazioni (lei, che e’ molto permeabile agli interessi degli speculatori ), e di rilanciare il nucleare. Perché così si decarbonizza, riempiendo in compenso il sottosuolo di scorie radioattive e facendo ingrassare i soliti noti.
Ma, dice, senza usare soldi pubblici. Su questo ha ragione: non ne ha.
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