Vladimir cerca un riconoscimento di status con un incontro a due che scriva la Storia. L’obiettivo non è una tregua ma un’immagine: il ritorno al tavolo con Washington, da pari

(Domenico Quirico – lastampa.it) – I tempi sono rudi e qualcuno ha persino l’impressione che la civiltà si stia spegnendo in un tumulto di orrori e tremori. Per questo con Putin, l’ultimo Putin, quello impegnato nel confronto con Trump che lui dissemina di esche deliziose, poi le fa sparire con i fatti, aderisce e poi si nega in modi tortuosamente indiretti, promette disgeli e poi scaglia missili, guadagna tempo senza indietreggiare di un metro, con questo Putin bisogna far propria una specie di analisi botanica applicata all’individuo. Decifrarlo è arte difficile soprattutto per gli sprovveduti “missi dominici” che l’istrione Trump spedisce alla ricerca di un aggancio che gli dia quella pace a cui affida i rimasugli di una sbiaditissima immagine. Lui gli oppone quella indifferenza che è degli autocrati temprati e assuefatti, la impone con quel volto: una maschera imperturbabile, senza smorfia, senza sorriso, avvezzo come è, da un quarto di secolo, alla ipocrisia e alla violenza, due cose egualmente funeste, malsane in ogni senso e che corrompono profondamente. Ordisce le sue fila, esibisce alla Parata alleati, sudditi e famigli, illude poi fa un passo indietro. Una cosa gli sembra manifestamente infesta, la tregua, il congelamento dei combattimenti come precondizione per trattare. Che è quanto invoca il suo avversario Zelensky, che ne ha bisogno per sopravvivere e trae dalle lungaggini e dalle piogge di missili la conferma di tenace volontà omicida.
Si è agguerrito, Putin, e addestrato a rovesciare il gioco del suo nuovo e vero interlocutore, il presidente americano: non Zelensky, non Macron e i sedicenti volenterosi o riottosi europei. Trump la partita la gioca con una teoria diplomatica sgangherata che si impelaga in annunci miracolistici, minacce fumose di farsi da parte, colpi di scena, facilonerie e smargiassate con cui sta dilapidando quell’innesco di dialogo con cui aveva spezzato il mare malmostoso di tre anni di guerra, foderati di morti, rovine, insulti e finte volontà di pace.
Ma questa, dell’Ucraina, è una partita di Whist dove si vince calcolando. Per cui occorrerebbero ben altre discrezioni, pazienze e buon giudizio. Chi ricorda le partite diplomatiche della prima Guerra Fredda, per far due nomi quelle che vedevano muover le pedine, soggetti come Gromyko e Zhou En-lai, vi troverebbe motivi di speranza. E invece fanno guasti pedantucci permalosi, precipitosi, fanatici di selfie petulanti, nevrastenizzati che affidano tutto all’istante, gente che crede di essere ancora al tempo dei maghi mentre bisognerebbe aver la pazienza e i dosaggi dei farmacisti.
Insomma dopo più di tre anni di guerra siamo ancora a cercate un identikit praticabile: che vuole davvero Putin, personaggio dal triplice e quadruplice fondo? Più bruciante evidenza della tenace incapacità dei vari leader occidentali che hanno dovuto fronteggiarne mosse e prepotenze non si potrebbe registrare. Di qui in là, da questa ignoranza dell’avversario, cominciano le vere Sirti e i leoni e le balene e i mari deserti della mappa diplomatica.
Le sue mosse sono il ritratto di un tremebondo che conta quanti rubli e missili gli avanzano prima di alzare bandiera bianca, come vaticinano alcuni, o di un accorto stratega che guadagna tempo per allungare i chilometri di ucraina conquistati a caro prezzo?
Allora proviamo a semplificare. Da tre anni quello che Putin esige non sono chilometri di steppa, presunte materie rare di cui ha abbondanza, neppure fasce di sicurezza. Ha scatenato una di quelle guerre che servono per creare o confermare significati, quelle con cui si vuole imporsi anche al fato e generano l’infeconda specie del disordine. Con cui vuole ottenere un riconoscimento di status che si ricapitola e fissa, secondo la sua cosmogonia imperialistica, in un incontro a due, quello che un tempo si chiamava summit. Non affollate tavolate con Ucraina, mediatori, comparse e terzi incomodi. Vuole un vertice semplice unico definitivo: lui e un presidente americano qualsiasi che si stringono la mano e chiacchierano in qualche parte del mondo. Non è vanità analfabeta di un parvenu che aspira al club dei Grandi in cui era ammesso con la degnazione accordata al parente povero. È quella la fotografia che vuole mettere nell’albo di famiglia nei corridoi del Cremlino. Ricordate i vertici a Ginevra, a Helsinki: sorrisi, litigate, accordi, capricci verbali, ipocrisie inganni, pedanterie e devoti trionfi, disarmi, e Kruscev Breznev, Kennedy, Reagan… Per noi scadute rimembranze e vecchi ingredienti di una Storia defunta, per lui che vive ancora nelle rivincite dell’Urss è riannodare i fili, esemplificare una nuova era, la sua, in cui l’America discute di nuovo i destini del mondo con la Russia dei paria, dei vinti, quelli con il Pil del Portogallo e un arsenale di inutili Bombe. Con quella immagine Putin può giustificare i morti della guerra inutile contro i presunti nazisti di Kiev, la repressione implacabile del dissenso, la miseria da terzo mondo a cui ha disinvoltamente rassegnato milioni di russi per venticinque anni inseguendo la rinnovata potenza.
E pensare che Trump l’ha intuito quando ha esclamato, dopo l’inaridirsi dei colloqui di Istanbul a cui erano state attribuite grossolane attese palingenetiche: «Solo un incontro tra me e Putin porrà fine a questa guerra». Alcuni che la sanno lunga sul conto del secolo pensarono: è fatta. Ha confessato: la simpatia dell’aspirante autocrate per il collega di successo, la fornicazione politica con il ricercato per crimini di guerra con cui vuole fare affari a spese delle vittime e degli aggrediti. E invece era la constatazione di una realtà che neppure l’eversore di ogni buona regola sembra poter trangugiare.
Ma allora non vuole più arrivare in Portogallo?
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no ,credo che Malaga sia già di suo gradimento… buffoni !
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Economia, tutto gira intorno a quello.
A guerra finita e foto della stretta di mano con Trump incorniciata al muro, la Russia tornerà ad essere quella di prima (in realtà peggio perchè dovrà riconvertire l’industria militare e i rapporti con l’UE saranno comunque diversi).
Per cui Putin tornerà ad essere il capo di uno Stato con il PIL della Spagna (ma con molte bombe atomiche, si intende…) e tornerà ad essere considerato come tale.
Per quello Putin la sta tirando lunga.
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Sì, credo anch’io che sia soprattutto preoccupato di un possibile crollo del numero di followers sulla sua pagina Instagram
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Bravo, adesso prova a scrivere qualcosa di intelligente.
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quirico bevi di meno…..
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