
(di Michele Serra – repubblica.it) – Quando il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Antonino La Lumia, definisce “un richiamo culturale” il comunicato nel quale si invita alla riservatezza e alla sobrietà (il riferimento, non esplicito ma evidente, è alla vicenda di Garlasco), dice una cosa giusta ma disperatamente inutile.
La cognizione che eventi e sentimenti così gravi, che spezzano vite travolgendone altre, meriterebbero un uso giudiziario e mediatico non chiassoso, non sfrenato, mantenendo ben chiaro il confine tra ciò che è pubblico e privato, è appunto un fatto culturale. Ed è una cognizione ormai perduta. Lo è da parte di tutti: magistratura, imputati, giornalisti, avvocati, parenti delle persone coinvolte, vicini di casa. Ed essendo perduta, non c’è sanzione, provvedimento, richiamo, appello ai codici che possa rimetterla al centro, perché la sensibilità dominante è irrimediabilmente diversa da quella dell’avvocato La Lumia (che coincide con la mia).
Alla spregiudicatezza, chiamiamola così, dei media tradizionali, si è aggiunta, con una pervasività devastante, l’idea che tutto possa essere esposto, come biancheria al balcone, sui social media. Ho letto un’intervista alla giovane avvocata di Sempio, mi è parsa una persona energica e intelligente ma totalmente sprovvista di quella specifica inibizione che impedisce di trattare a cuoricini ed emoticon la vita e la morte. Non gliene faccio una colpa, è dentro i tempi più e meglio di quelli come me. Verrà il giorno che il richiamo deontologico, o la sanzione, saranno per chi è renitente ai cuoricini.
È dai tempi dell’ ” Affare Dreyfus” ( una evidente persecuzione da parte della Giustizia militare francese e un conflitto politico che coinvolsero un ufficiale di origine ebraica accusato di spionaggio a favore della Germania negli anni 1894/1906), che le questioni forensi vengono urlate, sbandierate, pubblicizzate da stampa e politici. Altro che riservatezza. L’ottimo Serra non può non saperlo.
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Quando è tutto un mercato non ci si può sottrarre dalle sue leggi cliniche. La TV spazzatura si regge sulla domanda che è quello che è. A tanti piace tantissimo essere partecipi alla caccia all’ assassino con attrazione fatale verso il morboso,l’ orrido se non addirittura il truculento, e il bisogno di odiens da parte delle TV fa’ il resto .I social vengono dopo e si cibano dei resti dello spettacolo proveniente da “quarto grado”, “Chi l’ ha visto” e da tutte quelle immonde trasmissioni pomeridiane pretenziose .
Sembra che la giustizia sia compito loro non dei magistrati che,anzi, vengono sberleffati e accusati di inefficienza se non di incapacità.
La privacy e il garantismo : optional da sottolineare solo per i potenti.
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Sempre con lo spirito da servizio pubblico (grazie redazione di Infosannio), sul caso Garlasco propongo la lettura di questo articolo di Giancarlo De Cataldo oggi su Rep. A me è piaciuto parecchio 👇
Viviamo in un Paese dove si ammazza ogni minuto, il terrore serpeggia nelle strade, e i criminali non solo la fanno franca, ma irridono la giustizia scaricando le colpe su innocenti capri espiatori. È la sensazione che si ricava dal profluvio informativo che ci investe da qualche settimana a proposito del caso di Garlasco. Eppure, ci dice l’Istat che omicidi e delitti gravi sono in costante calo. Nel 2023 (ultimo dato rilevato) ne sono stati commessi 334: trent’anni prima erano quasi duemila. Da molti anni la media degli omicidi commessi colloca l’Italia sul podio dei paesi europei più sicuri. Ci dice altro, l’Istat. Ci dice che la percentuale dei casi risolti — sempre nel 2023 — è del 90% (299 su 334), con picchi del 95,7 % quando vittima è una donna, e dell’86% quando ci si muove in ambito di criminalità organizzata. La statistica ci spiega dunque che l’Italia è un paese dove si ammazza sempre di meno, e nella stragrande maggioranza dei casi i colpevoli finiscono in galera. Il dibattito intorno a Garlasco fornisce, invece, indicazioni opposte, elevando quel caso a emblema dello stato catastrofico della nostra giustizia. Qui le possibilità sono due: o le statistiche mentono, e non è vero che nove casi su dieci di omicidio si risolvono, quindi siamo al cospetto di una vicenda di numeri ingannevoli, o le statistiche sono veritiere, e falso è l’assunto che le cose vadano così male.
Ci sono molte cose che non funzionano, nel nostro sistema, ma non è un certo un omicidio irrisolto su dieci la cartina di tornasole. Piuttosto, nell’osservare il morboso interesse su questa nuova indagine, si è autorizzati a concludere che la questione sostanziale — qual è la verità? — sia molto rilevante per i diretti interessati — il condannato, l’attuale indagato, gli inquirenti, i difensori, la famiglia della vittima — ma fondamentalmente marginale per molti, troppi altri. I temi alla ribalta sono evidentemente diversi. Un aspetto riguarda la sovrabbondanza. Ore di trasmissione dedicate a questo (e anche a tanti altri casi di cronaca nera) costituiscono un eccellente diversivo rispetto a questioni complesse e contraddittorie di altra natura, per non parlare della tumultuosa fase storica che stiamo vivendo. Il macabro della scena del delitto può giocare un duplice ruolo: distrarre da altre tematiche, come suol dirsi, “divisive”, e offrire un paradigma narrativo persino rassicurante, intessuto di inquietudini più concrete e riconoscibili rispetto a una guerra o una crisi economica sulla quale nessuno di noi è in grado di intervenire. Un altro tema riguarda la costante delegittimazione della magistratura. Qualcuno ha sintetizzato brillantemente la situazione nei seguenti termini: se Stasi è innocente, è stato commesso un tremendo errore giudiziario, e dunque siamo di fronte a una débacle della giustizia. Ma anche se dovesse essere confermata la responsabilità di Stasi si sarebbe commesso un tremendo errore giudiziario, trascinando nel fango cittadini incolpevoli, e dunque saremmo di fronte a una débacle della giustizia. Da qui la conclusione, tratta da altri commentatori, che, comunque vadano le cose, alcuni colpevoli sono certi: i magistrati. Sia che abbiano condannato sbagliando, sia che si sbaglino riaprendo oggi l’inchiesta. Questa ultima tendenza interpretativa, del resto, cade stranamente in coincidenza quasi perfetta con i lavori parlamentari in tema di decreti sicurezza e separazione delle carriere, leggi che vedono la magistratura contrapposta alla politica. Il mantra che, espressamente o tacitamente, si leva da tanti talk di approfondimento, è di palese leggibilità: non solo questi (i magistrati) non sanno fare il loro mestiere, ma si mettono sempre per traverso quando si cerca di difendere (da loro) i cittadini. Quindi, qualunque cosa facciano, non fidatevi. Per quanto sia arduo, in questo clima, occorrerebbe mantenere lucidità, e continuare a sperare nella giustizia. Il sillogismo della sfiducia potrà essere ribaltato solo se e quando l’inchiesta sarà conclusa. Potremo allora dire: se Stasi risulterà innocente, bene si è fatto a scagionarlo. Se si confermerà colpevole, bene si fece a condannarlo a suo tempo.
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Se delitti e omicidi sono in costante decremento, non lo sono i fatti della microcriminalità ( borseggi, scippi, truffe telefoniche o informatiche) che colpiscono tutti. Le varie riforme della Giustizia hanno dato l’impressione (?) di una sostanziale impunità dei loro autori ( depenalizzazioni, improcedibilità senza querela di parte anche in caso di arresto in flagranza etc.) Quanto al fatto della distrazione da altri temi più gravi, ricordo che un certo Vespa creò un modello plastico della casa del delitto di Cogne già 20 anni fa.
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fonte Deepseek
Ecco i dati nazionali 2023/2024 vs 2019 (variazioni percentuali):
Furti
Furti in generale: -8%
(2023 vs 2019)
Borseggi/scippi: -5%
Furti in abitazione: -15%
Reati contro la persona
Rapine: -10%
Stupefacenti (spaccio minore): +18%
Truffe
Truffe (incl. online): +25%
(Fonti: Viminale, ISTAT, elaborazione su dati pre-pandemia vs 2023).
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