La lettera del matematico ateo a Prevost, a sua volta matematico: «Noi uniti per formazione ma divisi dalla vocazione. Il ponte di collegamento sta nella spiritualità dei numeri. E persino i testi di Agostino possono portare in altre direzioni»

(Piergiorgio Odifreddi – lastampa.it) – Caro papa Leone XIV,
spero che non si offenda se a farle i più sinceri complimenti per la sua elezione, e i migliori auguri per la sua incoronazione, è un matematico ateo. La prima qualifica ci unisce per formazione, mentre la seconda ci divide per vocazione. Se fossi credente, direi che il Signore assegna a ciascuno di noi un compito, in maniera imperscrutabile, e a noi non resta che portarlo avanti nel migliore dei modi possibili: una posizione agostiniana, in fondo.
Nell’omelia della Messa pro Ecclesia dello scorso 9 maggio, il giorno dopo la sua elezione, lei ha invece avuto parole dure per gli atei come me: «Oggi non sono pochi i contesti in cui alla fede cristiana si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere». E ha aggiunto: «La mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre, e non poco».
Mi permetta di contrapporre questa sua affermazione, che accomuna sorprendentemente fra loro l’ateismo, il materialismo, il disagio psicologico e sociale, a ciò che invece scriveva Albert Einstein nell’articolo Religione e scienza del 9 novembre 1929: «Nella nostra epoca, votata in genere al materialismo, i soli esseri profondamente spirituali sono gli scienziati». Aggiungendo: «Le idee più belle della scienza nascono da un profondo sentimento spirituale».

Come lei saprà, Einstein non era affatto religioso, nel senso usuale della parola. In alcuni saggi diceva, ad esempio, che «per lo scienziato un Dio che ricompensa e punisce è inconcepibile», e che «la scienza purifica il sentimento religioso dall’impurità del suo antropomorfismo». L’unica fede che professava era quella nel «Dio di Spinoza, che rivela sé stesso nell’armonia del creato». Ma ciò nonostante era profondamente spirituale, e sarebbe azzardato applicargli il severo giudizio che lei emette sugli atei.
Io credo invece che un ponte di collegamento tra la fede di un papa, e la ragione di uno scienziato, si possa trovare proprio nella spiritualità della matematica che ci accomuna. Una matematica che già il suo amato Agostino usava in maniera singolare nella Città di Dio, per spiegare la durata di 6 giorni della creazione con il fatto che 6 è un numero perfetto (uguale alla somma dei suoi divisori 1, 2 e 3). O nel Commento al Vangelo di Giovanni, per spiegare la pesca miracolosa di 153 pesci con il fatto che 153 è un numero triangolare (uguale alla somma dei numeri interi da 1 a 17).
Io ho avuto la fortuna e l’onore di discutere a lungo di queste cose con il suo predecessore Benedetto XVI. Un giorno gli portai un mio libro sui numeri, e quando lui lesse sul retro di copertina la citazione di Agostino “togli i numeri dalle cose, e tutte periranno”, commentò che il santo in fondo era un pitagorico.
Come lei sa, Ratzinger apprezzava molto il santo, in uno scambio di opinioni sui buoni e i cattivi credenti mi scrisse: «Agostino ha chiarito che le frontiere tra buoni e cattivi non coincidono con le frontiere della Chiesa, e sono visibili solo a Dio. Non tutti coloro che appartengono visibilmente alla Chiesa sono veri membri dell’opera di Dio, anche se sembrano esserlo: Videntur, et non sunt. Dall’altra parte, persone che non appartengono alla Chiesa possono essere dei veri ricercatori di Dio».
Confesso di sentirmi più confortato dalla benevolenza di questa posizione del suo predecessore, che dall’apparente severità della sua. Ma credo che, col senno di poi, forse anche lei potrebbe convenire che non possono essere solo la fede o l’ateismo a determinare la bontà o la cattiveria di una persona. Anche perché altrimenti l’etica, e persino il Giudizio Universale, si ridurrebbero a un mero controllo di carte d’identità religiose da parte di un Dio in divisa da Sommo Carabiniere.
Un’altra volta, leggendo una sorta di mie Confessioni sulla ricerca di spiritualità che anche un ateo può effettuare, Ratzinger mi scrisse: «Mi ha commosso vedere come il suo intero percorso esistenziale, il viaggio attraverso i continenti e i tempi, sia sempre stato mosso dalla questione di Dio, anche se – perlomeno apparentemente – in senso opposto rispetto a quello di Agostino. Il santo nordafricano fu incessantemente alla ricerca di Dio, perché era convinto che solo all’ombra delle sue ali fossero possibili la libertà e una vita felice. Il cammino della sua vita, al confronto, sembra invece andare da una divinità all’altra, per così dire, in modo da accantonare Dio stesso come fantasma irreale, poiché evidentemente lei era convinto che Dio sia per l’uomo un ostacolo alla libertà e alla vita buona. Leggendo il suo testo, però, mi è sembrato di percepire che se questa fuga da un Dio spaventoso l’ha, da un lato, liberata da certe immagini di Dio, dall’altro, silenziosamente, la luce del Dio vero pian piano va penetrando nel suo cammino». Come vede anche Ratzinger, come lei, in fondo non sembrava accettare la possibilità che qualcuno possa vivere felicemente ed eticamente senza Dio, e immaginava che un percorso di ricerca dovesse necessariamente sfociare in una professione di fede. In particolare, nell’unica «vera fede»: cioè, il cattolicesimo.

Lei, però, in quanto agostiniano e matematico, dovrebbe ammettere che persino la lettura di Agostino può portare in altre direzioni, quand’anche sfoci nella fede. Le massime di Pascal, per esempio, vengono spesso citate con apprezzamento e ammirazione dai cattolici, che dimenticano però che il matematico era giansenista: professava cioè un’eresia, fondata sulla lettura di Agostino da parte di Giansenio, e condannata nel 1642 dal suo predecessore Urbano VIII, di galileiana memoria.
Anche il logico Kurt Gödel, il cui lavoro matematico del 1931 fornì ad Alan Turing gli strumenti teorici per l’invenzione del computer nel 1936, e dell’Intelligenza Artificiale nel 1950, era religioso alla sua maniera, e diede persino una moderna prova matematica dell’esistenza di Dio. Ma, benché austriaco, non era cattolico, bensì luterano. Professava cioè un’altra eresia, basata anch’essa su una lettura di Agostino: questa volta da parte di Lutero, che era un frate agostiniano come lei, condannato nel 1521 dal suo omonimo predecessore Leone X.
La matematica può dunque portare i suoi adepti in molte direzioni. E può persino sfociare nell’ateismo, che secondo una ricerca dell’Avvenire di qualche anno fa è appunto la posizione dichiarata dall’85% dei matematici mondiali. Spero che lei non consideri la stragrande maggioranza dei suoi colleghi di formazione come esempi di materialismo e di disagio psicologico e sociale! E che sia invece interessato a continuare con qualcuno di loro il dialogo intrapreso da papa Benedetto con me.
Da parte mia io offro la mia totale disponibilità anche a lei, e per ora le rinnovo i più sentiti auguri per il gravoso incarico che le è stato imposto dalla sua elezione.
In fede e in ragione, cordialmente suo.
CADERE NEL RIDICOLO
Ripetuto su troppi canali tv.
Il nuovo Papa fa il suo primo giro sulla papambile tra la folla. Saluta ora con la mano destra, ora con la sinistra.
La giornalista in estasi: “… lo straordinario gesto simbolico di Leone XIV che sintetizza in questo il senso supremo del significato del suo pontificato….!!!”
E come doveva salutare? Coi piedi??
Speriamo ci non starnutisca. O qualcuno ci vedrà “lo straordinario gesto simbolico dello Spirito Santo!”
E siamo messi bene!!!!
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Se tutto viene da Dio, anche la scienza viene da Dio.
Se Dio non esiste, non ha senso cercare di confermarne l inesistenza con la scienza. La teologia atea, che ha bisogno di smentire la divinità che la fede cerca senza bisogno di formule matematiche.
ma guarda un po’. la vicinanza con Ratzinger, che si può definire Papa ateo, e la lontananza da Francesco..
Comunque 1521 è composto dalle prime due cifre unite alla loro somma.
beh, io preferisco Francesco
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Caro OttavioBrambilla, l’idea di una, o più divinità è per l’appunto una “idea” (un meme) che si è sviluppata nel corso dell’evoluzione. Non l’hanno avuta solo i primati, ramo al quale apparteniamo anche noi (i cani, ad esempio, è dimostrato che credono in creature inesistenti). La “fede” è un’altra cosa, è la “fiducia” nella testimonianza di altri esseri umani che ci raccontano delle “favole” a cui alcuni di noi (troppi) “prestano fede”.
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Caro Thomas. Lei ha talmente ragione che ha ragione. Tutti viviamo avendo avuto fiducia nelle favole che ci sono state raccontate, e in quelle che ci vengono raccontate, ogni giorno, senza bisogno di doverne verificare sempre e comunque il contenuto. La fiducia negli altri diviene parte della fiducia in noi stessi e parte quindi del nostro sistema di valori e di giudizio.
ma cosa rendeva necessaria una favola, un racconto che attendevamo come un momento fondamentale della nostra giornata? Il fatto di ascoltarla da una persona cara, tra le più care. E anche le favole meno spiritose, prima di dormire, erano il momento in cui, addormentandosi, ci affidavamo a queste persone care. Fiducia assoluta, non per la favola, ma per la loro presenza anche durante il sonno, vicini a noi.
Non sono un gran cattolico, penso che la Chiesa e il Papa siano uomini tra gli uomini, sono un credente anarchico del messaggio evangelico, che propone uno stile di vita ed un atteggiamento verso gli altri, gli ultimi, che ha ispirato la mia fede politica. Fede per me più facile da agire di quella religiosa.
Le beatitudini, ed il racconto di Cristo uomo tra gli uomini per portare speranza. Un racconto che può appassionare, e che non alimenta odio o paura, molto meno dei tre porcellini o del lupo cattivo.
La fede che non odia, che ama cercando amore, è un dono. Non toglie nulla. Aggiunge misericordia e speranza.
Ed è un alternativa alla fede che genera infedeli, e che così facendo allontana speranza e misericordia.
Se proprio devo fidarmi, di Gesù mi fido. Racconto, storia, dogma, che sia, a Gesù Cristo la mia fede non la preslto, la regalo.
Anche perché, convenzionalmente, è alla sua nascita che è stato attribuito il prima e il dopo delle epoche storiche. Non a quella di Odifreddi.
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Caro Ottavio, la tua esposizione presenta una piccola falla che ne invalida completamente le conclusioni. Evidentemente non ho esposto chiaramente il mio pensiero.
Tu non puoi prestare fiducia ad un personaggio mitico, sulla cui storicità vi sono non pochi dubbi, perché non l’hai conosciuto. La diffusione planetaria di questa setta locale non la si deve agli “apostoli” ma a Paolo di Tarso e neppure lui l’aveva conosciuto. Lui comunicava direttamente con Dio, attraverso le sue crisi epilettiche (cfr. Galati 4:13), perché i Vangeli non erano ancora stati scritti. Ti definisci “anarchico” proprio nei confronti degli unici testimoni sui quali dovresti fare affidamento, ma in questo modo interrompi la catena di testimonianze sulla quale si fondano tutte le religioni.
Vi sono solo due strade per arrivare all’idea di Dio. Puoi inventarne uno da solo (come fanno i teologi) oppure credere (avere fede) in quello che viene tramandato da una comunità.
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E’ sconfortante vedere un grande divulgatore, la cui cultura in campo scientifico (non solo matematico) è invidiabile sollecitare (piatire) un confronto con chiunque sia più conosciuto di lui. Benedetto XVI, Oscar Farinetti (sic!) e ora Leone XIV. La scelta degl’interlocutori con i quali pubblicare qualcosa lascia alquanto interdetti ma… “pecunia non olet”!
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