La strada del Colle per evitare i conflitti

(Chiara Saraceno – lastampa.it) – «Non può esserci pace duratura senza salari equi, senza protezione sociale, senza rispetto della libertà sindacale. Principi che sono anche alla base della nostra convivenza civile». Il Presidente Mattarella all’inaugurazione dell’anno accademico al Centro Internazionale di formazione delle Nazioni Unite di Torino, richiamando la necessità di difendere il “lavoro degno”, in quanto svolto in condizioni di libertàuguaglianzasicurezza remunerazione adeguata, prosegue quell’opera di pedagogia civile caratterizzata da una forte attenzione per le diseguaglianze che segna il suo secondo mandato.

Diversi fenomeni, infatti, insieme rafforzano vecchie diseguaglianze e emarginazioni e ne creano di nuoveindebolendo i diritti dei lavoratori: una globalizzazione non ben governata in cui si compete anche ricercando situazioni in cui il lavoro sia a più basso costo e con meno diritti, cambiamenti tecnologici non accompagnati da una riqualificazione dei lavoratori e da una formazione adeguata e inclusiva, conflitti bellici diffusi e sempre più prossimi non solo spazialmente, ma in quanto modificano equilibri acquisiti nell’acquisizione di risorse, oltre che nelle alleanze internazionali. Mattarella non parlava solo dell’Italia e della situazione italiana, anche se è facile coglierne i riferimenti sotto traccia. Le questioni che ha posto riguardano, anche se in modo e grado diverso, tutti i Paesi, più o meno sviluppati.

La percezione di insicurezza e di squalificazione sociale sperimentata da ampi segmenti della popolazione a seguito dei mutamenti nel mercato del lavoro, che spiazzano opportunità e speranze e talvolta diritti, favorisce la ricerca di capri espiatori (i migranti) e di uomini o donne “forti”, cui affidare non tanto le proprie speranze quanto le proprie paure e rancori. Nei paesi più poveri, la mancanza di lavoro in condizioni decenti e che garantisca un livello di vita accettabile per sé e la propria famiglia è una delle cause dei processi migratori. Anche se non è l’unica e forse non prevalente, ma si accompagna ai conflitti, alle violenze di regimi dittatoriali, alle conseguenze dei mutamenti climatici, nel caso delle donne anche al desiderio di sfuggire da norme di genere repressive e talvolta violente. In tutti i casi, tuttavia, a muovere le persone a cambiare paese è la ricerca di una vita più decente di quella che si lascia alle spalle e la speranza di trovarla altrove. Ciò che, purtroppo, non sempre avviene a causa dell’ostilità che si incontra. Eppure è lo stesso desiderio che da secoli fa spostare le persone, inclusi i milioni di italiani che emigrarono nelle Americhe, o in vari paesi europei, e le centinaia di migliaia di giovani che negli ultimi anni hanno lasciato l’Italia per paesi che offrivano loro opportunità di valorizzazione migliori.

Ci si potrebbe chiedere che cosa c’entrino con la pace la dignità del lavoro, la garanzia di condizioni di lavoro dignitoso e il contrasto alle diseguaglianze. Se posso permettermi un’interpretazione, c’entrano per diversi motivi. In primo luogo, pace non riguarda solo l’assenza di guerra tra paesiRiguarda anche il clima sociale e politico di ciascun paese. Ridurre le disuguaglianze, riconoscere a ciascuno (anche alle persone ristrette in carcere, ha ricordato Mattarella nello stesso discorso) la propria dignità di persona dotata di diritti, è essenziale anche per prevenire e ridurre i conflitti, o per non farli diventare contrapposizioni incomunicabili nella logica amico-nemico. In secondo luogo, se nei rapporti internazionali, tra stati, ma anche nei comportamenti delle imprese che operano a livello interazionale, ci fosse maggiore rispetto per la dignità dei lavoratori e dei loro diritti, se le politiche salariali fossero più eque e non basate sulla competizione al salario più basso, la competizione sui mercati sarebbe più civilizzata, i cittadini di ciascun paese avrebbero meno ragioni di sentirsi in competizione tra loro per il lavoro e meno oggetto di espropriazione e sfruttamento da parte di chi – stato o impresa – è più forte. Temo non basti ad evitare guerre e garantire la pace. Ma è una precondizione indispensabile per rapporti non basati sulla asimmetria del potere e delle forme di riconoscimento, quindi meno esposti al rischio di violenza e sopraffazione.