Nessuno sa se ci saranno scosse più forti o arriverà un’eruzione. L’unica cosa da fare è isolare gli edifici fragili e trasferire gli abitanti

Terremoto a Napoli, treni in tilt. Ma i cittadini ignorano i rischi

(Mario Tozzi – lastampa.it) – L’incremento dell’attività bradisismica iniziato a gennaio di quest’anno raggiunge un suo culmine, nessuno può dire se il più alto, il 13 maggio nel pieno di una sequenza sismica che rovescia le persone per strada e incute paura. La magnitudo 4,4 Richter delle 12.07 è una delle più elevate attese nell’area dei Campi Flegrei, appena al di sotto di quel 4,6 del marzo scorso, record ancora imbattuto da quando si misurano questi terremoti con strumenti moderni. Anche se, in linea teorica, se ne potrebbero liberare di più elevate, soprattutto nel caso si facesse imminente un’eruzione che, al momento, resta vagamente definita sull’orizzonte lontano. Ma il corteo sismico delle regioni vulcaniche della Terra è potenzialmente pericoloso anche in assenza di un evento eruttivo.

Una sequenza sismica in pieno sviluppo in un’area ad elevato rischio vulcanico, con un sollevamento del terreno in atto, con una colonna magmatica comunque presente sotto le case da millenni, il tutto in una regione antropizzata come nemmeno a Hong Kong dove, però, la popolazione non ha nemmeno la minima idea del rischio che corre e, anzi, lo allontana costantemente dalla propria coscienza affidandosi a una impossibile protezione da parte delle autorità. Si comprende il panico, si giustifica l’agitazione, ma non si può capire l’invocazione a un potere superiore che nessuno può costituire e che l’unica cosa che potrebbe eventualmente fare è favorire l’esodo. Non ci sono santi cui appellarsi, non ci sono opere da mettere in atto, c’è solo da isolare e riconoscere gli edifici non adeguati per poi sgomberarli e decidere se recuperarli con una ristrutturazione che richiederà anni. C’è solamente da allontanare, con la necessaria dolcezza e con i necessari aiuti, la popolazione perché trovi altrove ragioni di vita sostenibile. Se guardiamo il passato, invece, soprattutto l’ultimo mezzo secolo, c’era da sfavorire in ogni modo possibile gli insediamenti in un’area che, presto o tardi, diventerà comunque quello per cui è sempre stata vocata: un grande parco naturale dove ogni visita è consentita, ma nessuna permanenza è concessa.

Come ormai dovrebbero sapere tutti, sotto i Campi Flegrei giace una immensa camera magmatica ribollente che genera e spinge treni di fluidi verso la superficie, dove noi sapiens registriamo tremori, bradisismi e fumarole. Al momento sembra siano questi fluidi a innalzare il suolo e non il magma stesso: se, invece, così dovesse essere, l’unica soluzione sarebbe l’allontanamento definitivo dalla regione, perché l’eruzione potrebbe essere devastante. Non le attraenti lave dell’Etna, ma le nubi ardenti dei vulcani più pericolosi del mondo. I Campi Flegrei sono un supervulcano per la potenzialità distruttiva di una possibile eruzione e constano di una trentina di bocche eruttive superficiali di cui pochi conoscono l’identità vulcanica. E come potrebbero, visto che in un cratere c’è un ippodromo, in un altro una base militare e che perfino nella Solfatara, questa nota a tutti, ci sono abitazioni e perfino un campeggio? In un territorio in cui sarebbe stato primario ricordare il retaggio vulcanico, noi abbiamo fatto di tutto per dimenticarlo. Come se non fosse nato qui, nel breve volgere di pochi giorni un vulcano intero nel 1538 (il Monte Nuovo) e non fosse ancora lì, a monito di future eruzioni.

Si dice: ma qui abitavano già i romani, per non dire dei magno-greci. Vero, ma furono proprio i greci a nominare “ribollenti” (Flegrei) quei luoghi e agli antichi non possiamo certo rimproverare la mancanza di conoscenze che, invece, oggi sono largamente disponibili. E allora le case di villeggiatura erano poche e le cittadine erano piccole e, anzi, si può dire che Partenope stessa, per non dire di Napoli, abbia sofferto, giustamente, proprio del limite dei Campi Flegrei e del Vesuvio (vulcano pericoloso almeno quanto i Flegrei, ma che risponde a dinamiche differenti) nel non riuscire a espandersi come, invece, toccherà in sorte a Roma, pure dotata di due apparati vulcanici, ma inattivi da tempo. Nel passato, si intende, perché poi qualcosa è cambiato profondamente nel rapporto con i vulcani e nemmeno l’eruzione più conosciuta del mondo, quella di Pompei ed Ercolano del 79, ha minimamente insegnato qualcosa agli abitanti della provincia.

Ma noi preferiamo ignorare i principi scientifici della geologia e affidarci alla fortuna o agli dei che, alla fine, ci hanno quasi sempre risparmiati. Nel marzo del 1944 il Vesuvio metteva in scena la sua ultima eruzione proprio mentre gli alleati erano appena stanziati a Napoli. Le lave raggiunsero il paese di San Sebastiano e entrarono in chiesa e nelle case. Così gli abitanti si radunarono in processione, ostentando alla colata l’immagine lignea del santo protettore locale. Ma fuori dalla cittadina era pronta, coperta momentaneamente da un lenzuolo, la statua del più potente San Gennaro, non fosse stato sufficiente il primo. E il bello è che la colata si fermò dopo due giorni. Si può salvare un Paese così?